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MARIA ROSA CUTRUFELLI racconta IL GIUDICE DELLE DONNE

marzo 26, 2016

MARIA ROSA CUTRUFELLI racconta il suo romanzo IL GIUDICE DELLE DONNE (Frassinelli)

Un estratto del libro è disponibile qui

Maria Rosa Cutrufelli - Sperling & Kupfer Editore

 

di Maria Rosa Cutrufelli

Un’importante scrittrice spagnola, Rosa Montero, confessa che a volte le fa paura mettersi al lavoro e cominciare a delimitare un’idea con le parole. Un’idea scritta, dice, “è un’idea ferita e incatenata a una precisa forma concreta; perciò fa così paura sedersi a scrivere, perché è un’azione irreversibile”. E’ in quel momento che puoi sciupare tutto con parole inadeguate, sprofondando “nell’aridità della scrittura intesa come mestiere”.
Il giudice delle donne - Maria Rosa Cutrufelli - copertinaE’ una paura che sperimento anch’io ogniqualvolta mi siedo davanti al computer per dare inizio a una nuova storia. Ed è forse per questo che ho bisogno di molto tempo prima di fermare sulla carta le mie fantasie e incanalare la mia immaginazione, compiendo un gesto – il gesto della scrittura, per l’appunto – che è tanto semplice quanto abbacinante.
Perché i romanzi, dice sempre Rosa Montero, “così come i sogni, scaturiscono da un vasto territorio costellato di sabbie mobili che va al di là delle parole”. Devo quindi stare molto attenta e procedere con lentezza, badando a dove metto il piede, per evitare trappole difficili da individuare a un primo sguardo.
Anche il mio ultimo romanzo, “Il giudice delle donne“, non fa eccezione a questa regola. Ha avuto una lunga gestazione, benché sia nato da una scintilla improvvisa. O meglio, da un incontro fortuito con una storia che mi ha coinvolta immediatamente. Da subito mi è parsa straordinaria, singolare e per certi versi epica: una storia che ‘voleva’ essere raccontata. Che ‘io’ volevo raccontare, su questo non avevo dubbi. Ma affrontare un fatto storico, che non si conosce per via diretta, e tradurlo in narrazione è un bel rischio e non a caso il mio antico professore di estetica, Renato Barilli, lo sconsiglia caldamente: non è facile avvicinarsi al passato (a un passato ‘storico’) e restituirgli la semplice quotidianità della vita…
Per farla breve, tutto è cominciato da una targa intravista in un giorno di vacanza. Ero a Senigallia e a un tratto ho notato, sul muro del municipio, questa targa che commemorava le ‘prime elettrici d’Italia’, dieci donne che nel 1906 avevano chiesto il diritto di voto. E che l’avevano ottenuto (anche se solo per un anno, fino all’intervento della Corte di Cassazione). Un episodio sorprendente: com’è possibile, mi chiesi, che dieci donne, dieci maestre di provincia senza esperienza politica, si mettano in testa di combattere una simile battaglia, che affrontino la riprovazione sociale, l’isolamento e, molto probabilmente, anche il malumore familiare per portare avanti un’impresa pressoché disperata. Pensai a come dovevano essersi sentite, ai loro dubbi e alla loro tenacia… Alla forza dei loro sogni, soprattutto.
Un pensiero che mi emozionò. E i romanzi, si sa, nascono dalle emozioni: i ‘fatti’ non bastano.
Tuttavia quelle donne mi apparivano ancora molto distanti e il loro mondo troppo lontano dall’intimità richiesta dalla scrittura. Ma ormai mi avevano catturato, non potevo più sottrarmi e dunque presi a pedinarle: andai a vedere le colline marchigiane e il panorama che si gode da Montemarciano, camminai per le strade di Senigallia, mi fermai sulle rive del Misa, mi immersi nel dialetto locale, frizzante come un buon vino bianco.
Virginia Woolf dice che lo scrittore, a differenza degli altri artisti, non smette mai di lavorare. Anche quando chiude dietro di sé la porta dello studio, resta vigile e pronto a cogliere il più piccolo sussulto della propria fantasia. Così feci anch’io. E finalmente, a poco a poco, i miei personaggi presero forma ed ebbero un nome: Teresa, Alessandra, Adelmo… Poi un giorno sentii dentro di me la voce di Alessandra, che si arrabbiava perché Adelmo la chiamava ‘maestrina’, un diminutivo insopportabile. Sentii lo sconcerto di lui, che non capiva la reazione infastidita di lei… A questo punto iniziai a scrivere.

(Riproduzione riservata)

© Maria Rosa Cutrufelli

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Il libro
Teresa non è una bambina come le altre: nasconde un segreto e per questo ha scelto di chiudersi in un mutismo che la isola e, al tempo stesso, la protegge. Alessandra, al contrario, è una giovane maestra esuberante. Fa parte di quella folta schiera di donne che, all’inizio del Novecento, si spinse nei paesini più sperduti a insegnare l’alfabeto. Un lavoro da pioniere. Difficile, faticoso, solitario. Anche Alessandra è sola, per la prima volta nella sua vita. Ma le piace insegnare e sfida con coraggio i pregiudizi e le contraddizioni di una società divisa tra idee antiche e prospettive nuove. Nuovo è pure il mestiere di Adelmo, che cerca di farsi strada nel mondo appena nato del giornalismo moderno. Una sfida esaltante per un giovanotto ambizioso e di talento. E le occasioni non mancano in questa Italia ancora giovane, una nazione tutta da inventare. È il 1906, siamo nelle Marche, all’epoca una delle zone più povere della penisola. La maestra e la bambina sono nate qui. Una ad Ancona, l’altra a Montemarciano. Un piccolo paese sconosciuto, che di lì a poco conquisterà, insieme alla vicina Senigallia, le prime pagine dei quotidiani nazionali. Il nuovo secolo infatti porta sogni strani. Come il suffragio universale. Esteso alle donne, addirittura. Ed è per inseguire questo sogno che dieci maestre decidono di chiedere l’iscrizione alle liste elettorali. Sarà un giudice di Ancona, il presidente della Corte di Appello, a dover prendere la decisione. Lodovico Mortara, il giudice delle donne. Maria Rosa Cutrufelli ha recuperato questo episodio storico ingiustamente dimenticato e – attraverso un romanzo avvincente e delicato, commovente e appassionante – lo ha reso vivo e attuale. Perché la battaglia iniziata dalle dieci maestre e da Lodovico Mortara segna l’avvio della nostra (ancora oggi difficile) modernità.

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Maria Rosa Cutrufelli, nata a Messina, si è laureata in lettere presso l’università di Bologna e vive attualmente a Roma. Oltre a questo, ha pubblicato altri sette romanzi. Con “La donna che visse per un sogno”, Frassinelli 2004, che è stato finalista nella cinquina del Premio Strega, ha vinto il Premio Donna-Città di Alghero, il Premio Racalmare-Sciascia, la selezione del Premio Volponi e quella del Premio Penne. “La Briganta” (2005), “Complice il dubbio” (2006) e “D’amore e d’odio” (2008), vincitore del premio Tassoni e “I bambini della Ginestra” (2012). Autrice anche di due libri di viaggio e di numerosi saggi, ha curato inoltre antologie di racconti e scritto diversi radiodrammi per la RadioTelevisione Italiana. I suoi libri sono stati tradotti in ventidue lingue.

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