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IL DANNATO CASO DEL SIGNOR EMME di Massimo Roscia: incontro con l’autore

dicembre 3, 2020

“Il dannato caso del Signor Emme” di Massimo Roscia (Exòrma Edizioni): incontro con l’autore e un brano estratto dal libro

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Massimo Roscia è nato a Roma nel 1970. Scrittore, reporter di viaggio, critico enogastronomico, insegna comunicazione, tecniche di scrittura, editing e marketing territoriale. Autore di romanzi, saggi, ricerche, guide e sceneggiature, ha esordito in narrativa nel 2006 con Uno strano morso, ma il grande successo di pubblico è̀ arrivato con il romanzo La strage dei congiuntivi (Exòrma, 2014). Ha poi pubblicato con Sperling & Kupfer Di grammatica non si muore (2016) e Peste e corna (2018). Nel 2019 ha debuttato a teatro con il suo spettacolo “Grazzie”.

Dopo il grande successo di La strage dei congiuntivi, Massimo Roscia torna in libreria con un nuovo libro pubblicato da Exòrma. Si tratta di un romanzo, colto e divertente; una storia di grande fantasia imperniata sul tema della damnatio memoriae. Si intitola: “Il dannato caso del signor Emme”

Abbiamo chiesto all’autore di parlarcene…

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«Come è nato “Il dannato caso del Signor Emme”? Per partenogenesi», ha detto Massimo Roscia a Letteratitudine; «la cellula-uovo letterario si è sviluppata autonomamente, senza essere stata fecondata. L’idea di scrivere un romanzo sulla damnatio memoriae mi è venuta un paio di anni fa (settecentoventiquattro giorni fa, per la precisione). A quel tempo ero – e sono tuttora – ossessionato dalla condanna della memoria, supplizio che ritengo più turpe, severo e spietato persino delle pene corporali (e ve lo dice uno che ha una soglia del dolore molto bassa, che sviene alla sola vista del sangue e che, come la quasi totalità degli uomini adulti, con una temperatura corporea prossima ai 37,2°C, piagnucola, si infila sotto le coperte e si lamenta per il febbrone da cavallo, i malanni insopportabili e la fine del mondo che verrà, amen).
220Stavo giusto iniziando a scarabocchiare alcune pagine con la penna Bic (già, per la prima stesura, uso ancora quell’antichissimo strumento scrittorio che rilascia inchiostro, di norma di colore nero, da un serbatoio interno attraverso l’azione di rotolamento di una sfera metallica a contatto con la carta). Carla, i due gemelli, zio Giordano e Buf stavano acquisendo una loro distinta fisionomia e una discreta tridimensionalità quando il Signor Emme ha fatto la sua improvvisa comparsa, rendendo tutto più grottesco e paradossale. Perché proprio il Signor Emme? Ancora una volta, tutto è nato per caso. Tempo addietro un critico letterario mi aveva fatto notare alcune presunte similitudini e affinità (le attività professionali e gli interessi comuni, un certo eclettismo, le tendenze narcisistiche, l’ironia, le crociate a difesa dei congiuntivi e della grammatica, lo stile di scrittura e la ricerca flaubertiana della parola giusta) tra me e Paolo Monelli. «Monelli chi?» era stata la mia prima irrispettosa reazione. Una volta appurato che non si trattava di Paolo Monelli calciatore, un attaccante dal fisico prestante, assai abile nel gioco aereo (i tifosi della Fiorentina si ricorderanno di lui), ma di Paolo Monelli giornalista, scrittore e gastronomo, ho deciso di documentarmi e, dopo approfondite ricerche, ho capito che avevo finalmente trovato il mio dannato ideale, il grande intellettuale, dimenticato, messo ai margini, condannato all’oblio, da riscoprire/riabilitare/glorificare, il personaggio pienamente rispondente alle mie egoistiche necessità, il soggetto perfettamente funzionale alla narrazione (uso questo termine così inflazionato solo perché lo fanno tutti e non vorrei sentirmi escluso). E così non ho fatto altro che incistare, con una biografia romanzata, all’interno del libro, il mio – a questo punto l’aggettivo possessivo è più che pertinente – Signor Emme».

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Brano estratto dal Cap. 1 di “Il dannato caso del Signor Emme” di Massimo Roscia (Exòrma Edizioni)

Da quando questa mattina abbiamo lasciato Sintra e quell’ultimo pennacchio di terra tanto caro a Lord Byron, mamma è stata ininterrottamente al volante per più di nove ore, facendo inerpicare questo asmatico camper nelle gole tortuose del Tago e sulle cime della Serra de São Mamede, lungo stradine ripide, abbandonate e foderate da una fitta vegetazione di querce da sughero e lecci secolari, alberi ai quali mio fratello non ha rivolto la parola, considerandoli vigliacchi latifoglie.
– Silenzio. Fate un po’ di silenzio, per favore. Vorrei chiedere a nostra madre un po’ quanto. Dieci minuti, un’ora, un chilo, dodici joule, un semitono diatonico, un atomo di carbonio ionizzato, un parsec, due litri, un poemetto in terza rima, sei metri, venti chilometri? Vorrei chiederle quanto pesa il silenzio, quanto è lungo o intenso, a che equivale o come si misura, ma più di tutto vorrei chiederle cosa ne pensa. Non credo che non voglia o non possa rispondermi, anche se una convinzione che si poggia su ben tre negazioni traballa come un tavolino zoppo. Sarei comunque curioso di conoscere la sua opinione sulla natura del silenzio, visto che la maggior parte delle persone è generalmente restia a esplorare i misteri della sua inestricabile densità. Lo teme, lo evita, al più lo equipara a una semplice assenza – di voci, di suoni, di vita – e di conseguenza finisce per avvertirlo come un limite, una privazione. Per me invece è proprio l’opposto.
Il silenzio non è rinuncia all’esercizio della parola, è esso stesso parola, una parola speciale che permette di esprimere l’inesprimibile. Altro che assenza, il silenzio è pienezza e rivelazione, è il seme da cui nasce il dialogo, è il filtro che ci consente di riattribuire il giusto significato a vocaboli logorati da un utilizzo superficiale e ipocrita. Sì, il silenzio rappresenta il vero disporsi all’ascolto, collega il nostro Esserci all’Esserci dell’Altro e, come modo del discorso, articola così la comprensibilità dell’Esserci che da esso trae origine.
Lo so, non sono molti gli undicenni che hanno letto tutte le opere di Martin Heidegger e conoscono a memoria interi brani dei Prolegomeni alla storia del concetto di tempo o di Essere e tempo. Così come non sono molti quelli che sanno eseguire alla perfezione l’Opus Clavicembalisticum del virtuosissimo Sorabji, quelli capaci di dare scacco matto sacrificando un alfiere, entrambe le torri e persino la regina, come fece il grande Adolf Anderssen al Torneo di Londra del 1851, quelli in grado di risolvere equazioni differenziali lineari omogenee del secondo ordine a coefficienti costanti o di confutare il teorema di Fermat… D’accordo, svelo subito il mio segreto, che poi non è un segreto ma un’evidenza scientifica: sono un bambino P.
Dopo avermi sottoposto a un’interminabile e faticosa serie di visite, prelievi del sangue e del midollo, consulti e diagnosi, dopo avermi più volte auscultato, palpato, pesato, misurato, neurostimolato, elettroencefalogrammizzato, tacchizzato, pettizzato, ecografizzato, risonanzamagneticizzato, dopo avermi passato al setaccio con ripetuti sequenziamenti completi dell’intero genoma, alcuni medici mi hanno ufficialmente definito un bambino P (Prodigio).
Altri specialisti hanno invece preferito sottolineare con più efficacia la singolarità del caso clinico anteponendo un avverbio di modo e qualificandomi come un bambino PD (Particolarmente Dotato); altri ancora hanno optato per un più scientificamente preciso AAPC (Ad Altissimo Potenziale Cognitivo); altri poi, a cui evidentemente sfuggono il dono della sintesi e il concetto elementare di utilità di un acronimo, mi hanno dichiarato bambino PAPASPEACEDTSCEEEAERDAC (Plusdotato A Pensiero Arborescente Straordinariamente Precoce E Attivo Con Evidente Dissincronia Tra Sviluppo Cognitivo Ed Emozionale E Altrettanto Evidente Rifiuto Dell’Autorità Costituita).

(Riproduzione riservata)

© Exòrma Edizioni

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La scheda del libro: “Il dannato caso del Signor Emme” di Massimo Roscia (Exòrma Edizioni)

Restituire dignità, onorabilità e reputazione a una figura non trascurabile del Novecento italiano, sferzante, raffinata, sensibile, ma che rischia l’oblio come tante altre vittime della “damnatio memoriae”: questo è l’obiettivo di Carla, ex giornalista, specializzata in topografia della miseria e della disperazione e perennemente votata al prossimo. Per farlo dovrà ricomporre la vita e le opere del fantomatico Signor Emme e mettere insieme un fascicolo da sottoporre al giudizio dell’oscura “Congregazione dell’Indice delle vite cancellate e delle opere proibite”. Siamo in un’Europa totalmente lacerata, mosaicizzata in una miriade di piccoli stati, separati da dogane, muri, filo spinato, e in un tempo in cui passato, presente e futuro sono deliberatamente mescolati. A bordo di un vecchio scuolabus (forse rubato), trasformato in camper e targato Zagabria, Carla intraprende un folle e strampalato viaggio che le regalerà incontri con più o meno noti personaggi, accompagnata dai due figli gemelli: il primo è un bambino prodigio “in grado di risolvere equazioni differenziali lineari omogenee del secondo ordine a coefficienti costanti o confutare il teorema di Fermat”; il secondo, nonostante lo stesso patrimonio genetico, è candido, simpaticissimo, ha una sensibilità tutta sua di percepire il mondo ed è a suo modo geniale. Insieme a loro viaggia lo zio Giordano, autore del trattato filosofico “De gli eroici furori”, arso vivo a Campo de’ Fiori. Prima della stesura di questo romanzo, Massimo Roscia ha svolto un lungo lavoro di ricerca documentale/storiografica nel Fondo “P.M.”, custodito presso una biblioteca romana, visionando un patrimonio archivistico vasto ed eterogeneo. Tra manoscritti, appunti stenografici, diari, ritagli di stampa, opere edite e inedite, fotografie, una fitta corrispondenza con direttori di giornali, editori e lettori, poesie e appunti di viaggio, Roscia si è avventurato nella grande varietà dei temi di cui il Signor Emme si è occupato: le due guerre mondiali, la politica internazionale, la tutela ambientale, il turismo culturale, la lingua italiana, la gastronomia, l’enologia, per trarne un romanzo tra il vero, il verosimile e il falso, sicuramente colto e divertente. Solo alla fine del romanzo scopriremo chi è questo fantomatico Signor Emme.

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