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SENZA L’OMBRA DI UN BEL FIOR di Roberto Cattaneo (ExCogita)

aprile 25, 2022

Senza l'ombra di un bel fior - Roberto Cattaneo - copertina“Senza l’ombra di un bel fior” di Roberto Cattaneo (ExCogita edizioni): recensione e intervista

Un libro per il 25 aprile

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di Nicoletta Bortolotti

Gianna e Neri sono partigiani. E sono uccisi dai partigiani. Senza l’ombra di un bel fior, dello scrittore comasco Roberto Cattaneo, narra con stile, ritmo e veridicità magistrali una delle pagine più oscure e vergognose della Resistenza. Così come Gianna e Neri, che alla Resistenza hanno consacrato giovinezza, affetti e vita, continuano a narrarci una delle pagine più luminose e struggenti della nostra libertà.
Giuseppina Tuissi, nome di battaglia Gianna, ha ventun anni, ha gli occhi blu e viene da una famiglia operaia poverissima di Baggio. Il comando garibaldino di Milano decide di mandarla a fare la staffetta partigiana sulle montagne intorno al lago di Como, di cui ogni giorno, in sella alla sua bicicletta, percorre salite e discese. Qui incontra il giovane Luigi Canali, nome di battaglia Capitano Neri, dall’eroismo dei “neri” etiopi, comandante della 52° Brigata Garibaldi “Luigi Clerici”.
Contrastando i tedeschi sotto la neve da un gelido rifugio in quota e spiando i ricchi gerarchi che, nelle lussuose ville liberty sulla riva del Lario, affamano il Paese, Gianna e Neri s’innamorano del medesimo sentimento intenso e assoluto che nutrono per la causa antifascista.
Dopo essere stati catturati dai repubblichini e sottoposti per settimane a indicibili torture, sono fra i protagonisti della cattura a Dongo di Benito Mussolini, di Claretta Petacci e di suo fratello Marcello, e di altri importanti esponenti del regime. Ma anche di aver svuotato le valigie che i fascisti si sono portati appresso per varcare, impuniti, il confine con la Svizzera, e aver raccolto e registrato un tesoro inimmaginabile. Oro, denaro, gioielli e pietre preziose.
La sfortuna dei due giovani partigiani è quella di essere moralmente più integri e puri di molti loro compagni. E decidere che, dopo una temporanea custodia al Partito Comunista Italiano, quel patrimonio, idealmente e materialmente rubato a ogni singolo cittadino, dovrà tornare allo Stato.
Il tesoro, tuttavia, scompare nell’avida tasca di alcuni membri del partito, e Gianna e Neri, che lo scoprono frantumando muri d’omertà, menzogne e opportunismo, vengono traditi e giustiziati poco dopo la Liberazione dai fratelli con i quali e per i quali hanno combattuto.
Roberto Cattaneo, con una lingua nitida e potente alla Rigoni Stern e alla Hemingway di Per chi suona la campana, una minuziosa ricognizione storica che non toglie vivacità ai colpi di scena, una restituzione cruda e senza orpelli retorici sia delle feroci, disumane torture dei fascisti, sia delle divergenze e delle lotte di potere intestine alla Resistenza, ci offre un romanzo a due voci sulla dimenticanza. Sul “morbo d’Alzheimer” collettivo, come l’ha definito il giornalista Cecco Bellosi, che ha avvolto la vicenda.
Con un protagonista silenzioso. Nero “come la fossa scavata per poi calarci una bara”, invisibile ma sempre presente, suggerito solo dalle luci della costa che tremano in lontananza come simboli. Il lago. La sua comparsa alla fine di una svolta, a un bivio per Milano o per la tenebra, può voler dire morte o vita.
Se una grande storia cambia lo sguardo, quel lago non lo puoi più guardare come prima, come una magnifica e muta cartolina. Dopo la lettura di questo racconto, in apnea, con una carica emotiva talmente penetrante che l’inquietudine ti si ramifica nei bronchi, quel lago, quel buio, quei lumi che orlano la sponda, ti si attaccano al respiro. Non te li togli più di dosso.

-La storia di Gianna e Neri ti chiamava da molto tempo. Perché? E come ha preso forma l’idea di una narrazione?
Quando ho conosciuto la storia di Gianna e Neri sono rimasto sconvolto. Sono nato e ho vissuto sempre a Como, da giovane ho conosciuto decine di partigiani che mi raccontavano la Resistenza ma mai nessuno di loro mi aveva parlato di Neri e Gianna.
L’ipocrisia e la paura negli anni Ottanta regnavano ancora. Così, quando ho saputo dei due partigiani, lo sdegno che ho provato mi ha spinto a raccontare la loro storia.

-Puoi spiegare il significato del bellissimo titolo?
Anche per me il titolo è bellissimo, ma non è una scelta mia. L’ha pensato Luciana Bianciardi, la mia editrice, e mi è subito piaciuto. Pure la copertina è opera sua. Purtroppo i corpi di Gianna e Neri non sono stati mai ritrovati. E, dunque, non si è potuto nemmeno deporre un fiore sulla loro tomba. Solo nel 2016, a Baggio, Gianna ha avuto finalmente una lapide e una memoria.

-La documentazione del tuo lavoro è imponente. E, nella nota conclusiva, citi la grande storica e scrittrice Mirella Serri. Quali sono state le tue fonti?
Mirella Serri mi ha fornito la fonte più importante, ma ho attinto pure dai saggi di Giorgio Cavalleri e di Roberto Festorazzi.

-Il tuo impegno come Dirigente sindacale della Cigl, alle radici di una forte passione politica, ha influito sulla scelta, nonostante tutto, di una letteratura civile?
Il mio impegno di sindacalista, durato oltre vent’anni, ha decisamente influenzato la mia vita e di conseguenza anche tutto ciò che ho scritto.

-Qual è stato l’epilogo post-bellico dell’epopea di Gianna e Neri e che fine hanno fatto gli aggressori?
Gli assassini di Gianna e Neri, mandanti ed esecutori, dopo la guerra hanno condotto vite normali e sono tutti morti di vecchiaia. Il processo contro di loro, a Padova, li ha assolti per sopraggiunta amnistia.
I due mandanti sono stati eletti in Parlamento, uno deputato e l’altro senatore.

-Come hai lavorato sullo stile? E, costretto a calarti nel pozzo buio della violenza più atroce, ne sei uscito cambiato?
Scrivendo di Gianna e Neri mi sono sforzato di immedesimarmi in loro, nei loro sentimenti e nelle loro sofferenze. Qualche volta ci sono riuscito, come per esempio nel corso delle torture atroci che hanno subito dai fascisti. È stata un’esperienza drammatica per me, molto sofferta.

-Cosa rappresenta per te e per il tuo immaginario letterario il lago di Como? La tua può definirsi “scrittura di lago”?
No, non penso che esista una “scrittura da lago”. Il lago di Como è sicuramente uno dei protagonisti del mio romanzo, non è semplicemente un contorno.
Ma è un po’ come il Ceresio di Fogazzaro in Piccolo Mondo Antico, un protagonista muto e passivo.

-Liliana Segre mette in guardia dal pericolo di “diventare come loro”. È questo che ci insegna anche la morte di Gianna e Neri?
Credo molto in ciò che dice Liliana Segre. È sempre possibile che noi diventiamo come loro, dipende dalle circostanze storiche.
Le cose che più mi preoccupano sono due: la prima è l’indifferenza, la stessa della quale il nazismo e il fascismo si sono nutriti; la seconda è l’oblio della Storia, oggi assai diffuso, che non permette di riconoscere le situazioni di rischio per la democrazia e per la pace quando si presentano ai loro esordi.

-Dare la vita per una causa, per una fede, per un futuro che altri abiteranno. I giovani partigiani possedevano una tensione ideale e di significato che i giovani d’oggi hanno forse perso.
Ritroviamo quella passione nelle gioventù di Paesi dove la libertà è ancora da conquistare?
I partigiani della nostra guerra di Liberazione erano nella stragrande maggioranza giovani e, in taluni casi, giovanissimi. Alcuni erano diventati partigiani per necessità dopo l’8 settembre, ma molti lo erano per scelta, come Gianna e Neri. Una scelta ideale dettata dal fatto che c’era una vecchia Italia da abbattere e una nuova da ricostruire.
I giovani d’oggi non si trovano di fronte a un Paese da ricostruire e quindi è giusto che non condividano gli stessi ideali. Quello che credo manchi alla gioventù di oggi non sono tanto gli ideali, quanto piuttosto la memoria storica. Conoscere la Storia del Paese in cui si vive, anche la storia di giovani partigiani che hanno dato la vita affinché le future generazioni vivessero libere, è fondamentale.
E purtroppo scopro sempre più spesso che le tante storie di chi ci ha preceduto vengono dimenticate.

-Penso alla resistenza in Ucraina che ha agitato nell’Occidente i fantasmi di guerre trascorse e che alcuni vietano di chiamare tale.
Con le dovute cautele e distinzioni storiche e geografiche, esistono resistenze di serie A e di serie B?
Dopo che è iniziata l’invasione dell’Ucraina, il 24 febbraio, ho pensato alle vicende che racconto nel mio romanzo. Mi sembra di trovare parecchie analogie tra la Resistenza del popolo ucraino e la nostra del ’43 e ’45.
Ascoltare in tv o leggere sui giornali di uomini che portano la famiglia in Polonia e tornano indietro per combattere mi fa sentire quel popolo molto vicino al nostro. Le sensibilità sono le stesse della nostra Resistenza, come pure il coraggio e l’abnegazione. I partigiani ucraini sono i nostri partigiani.

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