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TUTTISSANTI, di Teresa Ciabatti (le prime pagine del libro)

gennaio 18, 2014

teresa ciabatti tuttisanti finzioni magazine Tuttissanti | Teresa CiabattiIn esclusiva per Letteratitudine, pubblichiamo le prime pagine del romanzo TUTTISSANTI, di Teresa Ciabatti (Il Saggiatore). Domattina pubblicheremo un’intervista all’autrice…

La scheda del libro
Il male supremo, quello banale e terrestre, disappropriante e dissociativo, esiste. Il male è Luciano Lualdi, l’impresario più importante dello star system nostrano, l’uomo che influisce sulla vita politica e sottoculturata dell’Italia targata talent. Demiurgo spietato di tronisti palestrati e starlette anoressiche, Lucio succhia dall’interno la linfa vitale dei nuovi ragazzi di vita: la folla votata al palcoscenico per imporre il proprio nome, le proprie vocazioni inesistenti, la propria inconsistenza – cifra di un’intera nazione ipnotizzata davanti allo schermo televisivo.
Ingenua vittima sacrificale è Christian Russo, muscoloso, ventenne, occhi chiari trasparenti, con una malattia che gli rode l’anima e una che gli toglie il respiro. Christian, il burattino, e Lucio, l’arbitro dei destini: un incastro tra identità speculari, perfetto fino quando l’ironia tragica della realtà stravolge quell’equilibrio.
A raccontare questa storia è Teresa Ciabatti, cantrice della nostra contemporaneità, con meccanismo narrativo perfetto, che si intrude nel vilipendio morale e fisico che è la cifra del nostro presente. La scrittura affonda il bisturi laddove la malattia scintilla, sprofondando nell’epica trash italiana di oggi, che in Tuttissanti si narra e trionfa, in una ricognizione drammaturgica del disagio e del formidabile di un’epoca. Una forma di racconto che pendola tra realismo apparente e trance, tutt’altro che immaginaria.

* * *

Le prime pagine di TUTTISANTI, di Teresa Ciabatti (Il Saggiatore)

«Mi stia a sentire, è una forma lieve, sennò
omettevo non crede? Faccio sport senza problemi,
tre quattro volte a settimana» afferma
il ragazzo che si chiama Christian e sarà
il quinto.
Non sarà il primo, sarà il quinto.
Chi gli siede di fronte, al di là della scrivania,
sa che è il quinto, non il primo.
L’uomo riceve i candidati in ufficio. Cerca
di incontrare tutti, anche quelli che non gli interessano,
e questo non gli interessa, già lo sa,
lo ha saputo subito dalle foto del book: il book
di un ragazzo qualunque.
«Faccio boxe a livello dilettantesco» continua
il ragazzo. «Incontri, dimostrazioni, cose
così, e se mi viene un attacco» tirando fuori la
pompetta «basta uno spruzzo» dice avvicinandola
alla bocca.
Con una parola o un semplice cenno del capo,
l’uomo dietro la scrivania decide i destini
dei ragazzi, dispone delle loro giovinezze.
Scuote la testa, eccolo il cenno. E precisa: «In
questo mestiere ci vuole grande resistenza, non
è come sembra da fuori, certa gente per denigrare…
non lavori in miniera, per carità, però ti
assicuro che in quanto a sforzo fisico…».
Christian capisce i dubbi, ma si dichiara
disposto a tutto se solo lo prendesse in considerazione,
anche per un periodo breve, brevissimo,
una prova a termine, perché per lui
è davvero importante, significa riscattarsi da
una vita a Maddaloni, lei non può immaginare
cos’è Maddaloni, l’inferno è Maddaloni, significa
dimostrare a tanta gente di Maddaloni che
lui non è il fallito che dicono, sia chiaro, non
cerca di costringerlo, o peggio ancora di impietosirlo,
se gli dice no capisce, capisce davvero
senza rancore, figuriamoci, solo essere lì,
poterlo guardare in faccia, è già un fatto, una
cosa che si ricorderà per sempre, sai le volte
che l’ha visto in televisione, e ora non gli sembra
vero di stare così vicino, dal vivo.
Christian Russo è ben messo: muscoloso,
spalle larghe. Non altissimo, ma proporzionato.
Denti ingialliti dagli antibiotici assunti da
bambino, sopracciglia troppo folte che si uniscono
sopra l’attaccatura del naso. Il suo autentico
problema tuttavia è la pelle: deturpata
da segni di acne giovanile.
L’uomo scruta con attenzione il ragazzo, ne
studia le possibili migliorie, è un lavoro duro,
per ottenere cosa poi?
Anche migliorato, il ragazzo Christian Russo
sarebbe uguale a tanti altri, non ha niente
di speciale.
Eppure quegli occhi chiari fissi, i modi remissivi…
cosa gli succede? Con l’età forse il
cuore si fa più tenero? Inizia a rincoglionirsi?
«Non so» ripete preparandosi al rifiuto, a resistere
al decadimento senile. «Con la salute
non si gioca.» La pompetta lo preoccupa.
Poi l’espressione del ragazzo, rassegnata
delusione, ma anche comprensione senza accusa,
quelle parole «la ringrazio comunque
di avermi dato la possibilità», la mano che gli
tende con sudore, ebbene tutto questo lo fa
crollare.
Prova una sensazione strana, una specie di
slancio che non saprebbe definire con esattezza,
non interesse non ammirazione, sa che ci
farà poco con un simile soggetto.
La verità è che lui vuole dare a quel ragazzo
una possibilità, offrire un’occasione a questo
bulletto del casertano, orfano di padre,
fratello down, madre cassaintegrata.
Perché questa è la miseria. La miseria delle
scarpe sfondate, dei bassi sporchi e fatiscenti,
delle spese ai discount o peggio: degli omaggi
della Caritas. La miseria della cassaintegrazione,
delle pensioni di invalidità che devono
mantenere un’intera famiglia. La cruda miseria.
Quella miseria che lui, dopo la povertà
dell’infanzia, non ha mai smesso di avvertire
come spettro, anche quando ne era fuori, lontanissimo,
anche ora che ha ventidue appartamenti
a Milano e tre ville tra mare e lago,
che gira in Porsche, che spende diecimila euro
a serata, anche ora la sente pronta a tornare,
quella povertà.
Non che la sua sia stata un’infanzia infelice.
Povera sì, ma non infelice: c’era la casa in
campagna, e mamma che inseguiva le galline
nell’aia, e nonna che sputava nella farina per
passare loro la salute di ferro, e c’era l’asinello
nato senza che nessuno si fosse accorto dell’asina
incinta. E c’era quel giorno, il dodicesimo
compleanno di Giovanna: Giovanna che traballando
sulle scarpe col tacco va in camera di
mamma, e lui che la segue, e mamma che dice
quanto sia bella così alta, e lei che davanti allo
specchio si porta una mano al cuore e mormora
«oh, sono magnifiche», un attimo prima di
accorgersi di lui e intimargli di andarsene, che
quella è una faccenda privata, e allora lui si gira
e se ne va, rigettato dal mondo di donne.
Ha sei anni ed è abituato a passare le
giornate in solitudine. Certe volte, quando
mamma cucina, si distende sul pavimento a
disegnare. I giorni sono un unico giorno che
si allunga in mesi e anni. Giorni uguali che si
susseguono. Eppure quel giorno lui lo ricorda
bene, è un giorno diverso. Rivede la bambola
sul pavimento, la bambola che nonna ha
regalato a Giovanna («Che ci faccio con questa?
» l’ha accantonata stizzita lei. «Non ho mica
sei anni»).
E di colpo è come se sul pavimento ci fosse
lui, rannicchiato in uno di quei giorni sempre
uguali. Si china a prenderla, e mentre dal corridoio
arrivano le voci di mamma e Giovanna
(«Quanto saranno: cinque, sette centimetri?»
«Camminaci dentro casa, per abituarti»), lui
corre in camera a nascondere la bambola. La
sua bambola. La sua prima e unica bambola.
Una bambola bionda, col vestito bianco di
merletto, che quando la tiene tra le braccia lo
fa sentire la Madonna con Gesù bambino.
Quel giorno di felicità lo ricorderà per tutti i
suoi sessantadue anni e quarantacinque giorni.
«Come si chiama?» chiederà Giovanna.
«Non si chiama.»
«Oh, non esistono bambole che non si chiamano.»
Lui riflette. Poi sorride. «Luciana, si chiama
Luciana, ma non dirlo a nessuno.»
Questa è la storia di Luciano Lualdi, detto
Lucio. Nato e cresciuto a Sarzana, diventato in
pochi anni divino, magnifico, eterno. Questa
è la storia della sua ascesa e della sua caduta.

(Riproduzione riservata)

© Il Saggiatore

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Teresa Ciabatti, scrittrice e sceneggiatrice italiana, è nata a Orbetello e vive a Roma. All’esordio nel 2002 con Adelmo, torna da me (Einaudi Stile Libero), da cui è stato tratto un film, ha fatto seguito il romanzo I giorni felici, uscito nel 2008 per Mondadori.

Nel 2013 Teresa Ciabatti ha pubblicato Il mio paradiso è deserto (Rizzoli).

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