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L’ORA DEL DIAVOLO, di Fernando Pessoa

marzo 5, 2014

File:216 2310-Fernando-Pessoa.jpgL’ORA DEL DIAVOLO, di Fernando Pessoa

di Erica Donzella

“Come la notte è il mio regno,

il sogno è il mio dominio”.

 

E’ attraverso un processo di demolizione dello stereotipo che Fernando Pessoa ci presenta una delle figure più trattate e –  ideologicamente –  più raccontate nella storia della letteratura: il Diavolo di cui lo scrittore portoghese narra in questo breve racconto –  progettato in inglese con il titolo Devil’s Voice –  soppianta totalmente la classica denominazione del Mefistofele crudele e malefico, da sempre rappresentazione del Male e del Peccato.
Pessoa contrasta, in questo testo, l’abituale concezione dicotomica tra Bene e Male, tra Dio e il Diavolo. Un intento che si muove da quelle Pagine Esoteriche dello stesso autore, la cui produzione frammentaria connota una poliedricità di argomenti in sintonia complementare e incessante tra gli stessi. Pessoa l’inquieto, l’eteronimo infinito, il nulla e il tutto, il capovolgimento dell’universo metafisico nella parola, il Poeta Fingitore che vive di dubbio nella sua Affollata Solitudine.
In sintonia con le filosofie orientali, Pessoa presenta il Diavolo come la Luna di quel Sole che è Dio (“No light, but rather darkness visible”, epigrafe in inglese dal testo originale). Dio e il Diavolo sarebbero complementari, il concavo e il convesso dell’universo stesso, il sogno e la realtà, l’immaginazione e la sua negazione.
La brevissima trama, prende le mosse dalla vicenda della giovane Maria che, dopo un ballo in maschera, descritta nell’atto di rincasare, si ritrova improvvisamente al cospetto di una creatura gentile, un uomo di rosso vestito. Egli con ammirevole disinvoltura si presenta a Maria dicendo di essere appunto il Diavolo. I due intraprendono un fittizio viaggio non raccontato nei suoi particolari geografici, ma è l’occasione per il Cavaliere di fare una sorta di apologia di se stesso.
Un  dialogo/monologo per ribaltare e rimettere in discussione i cliché che da sempre lo costringono nella veste del Male, nel corso di tanti secoli di simbolismo esoterico e religioso; egli non si presenta come il serpente del Genesi oppure come il tentatore del Vangelo di Matteo, ma come “[non] lo spirito che nega, ma lo spirito che contraria”.
Ripetutamente dichiara a Maria «la stanchezza di tutti gli abissi» e rivela un cuore affamato d’amore. Paradossalmente, siamo dinanzi ad un uomo che soffre della sua condizione, dagli occhi imperlati di lacrime per la mancanza d’affetto, che similmente al nostro Poeta/Pessoa, sibila con una voce che viene dal grembo.
E nello stesso grembo di Maria, il Diavolo/Poeta feconda, con il Verbo, il frutto del ventre di lei, strappandolo ad una condizione qualunque, sublimando il monologo/sogno e rendendolo una consacrazione reale del Genio, propria del Figlio eletto alla faccia occulta della verità apparente.
«La verità è un punto nel centro di un cerchio che non si può abbracciare, e io, proprio io sono il centro che esiste soltanto per una geometria dell’abisso». Per voce del suo eteronimo Bernardo Soares, Pessoa si deve accontentare della perfezione relativa, la quale di manifesta attraverso una pluralità frammentata:

«E poiché sono frammenti
Dell’ente, le cose disperse
Rompo l’anima in pezzetti
E in persone diverse».

Questo «Signore assoluto dell’interstizio e dell’intermedio» è lo stesso scrittore portoghese, che riflette in un testo brevissimo, una nostalgia sempre presente: quella di vivere senza ambizioni né vertigini, in cui «[…]solo i sogni sono sempre quello che sono».

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