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ERALDO AFFINATI racconta L’UOMO DEL FUTURO

marzo 4, 2016

ERALDO AFFINATI racconta il suo romanzo L’UOMO DEL FUTURO (Mondadori)

Il primo capitolo del libro è disponibile qui

Eraldo Affinati

di Eraldo Affinati

Credo che L’uomo del futuro. Sulle strade di don Lorenzo Milani sia nato ben prima di essere stato scritto: è come se lo avessi sempre avuto dentro. Non sonnecchiava soltanto negli occhi di Romoletto, quando lui imprevedibilmente alzava la mano per rispondere alle domande che io ponevo e, così facendo, lasciava intravedere il cinturone con il teschio stretto sui suoi fianchi esili. Certo, si stava formando anche nella furia di Valerio nel momento in cui voleva entrare in classe sempre alla seconda ora, sebbene glielo avessimo vietato. Il testo era già presente, seppure in potenza, nella dolcezza di Fulvio, nella malinconia di Omar, nella rabbia di Mohamed, nella strafottenza di Ismail. Ma tutto ciò non è sufficiente a dire perché è diventato così com’è. Intendiamoci: guai se non pensassi che quest’ultimo tomo, diciassettesimo della serie, concepito alla maniera di un reportage riflessivo sui luoghi che videro l’azione educativa del priore di Barbiana e dei suoi inconsapevoli seguaci sparsi oggi in ogni parte del pianeta, non sia cresciuto alla maniera di una pianta rampicante sulle pareti scrostate della mia ormai trentennale consuetudine coi cosiddetti ragazzi difficili, italiani e immigrati; tuttavia devo ammettere che, per fornire una spiegazione più esauriente, meno tecnica, più autentica, al tema di questa rubrica, sono costretto a risalire a molto tempo prima del mio ingresso nella scuola come insegnante di lettere negli istituti professionali per l’industria e l’artigianato. Posso azzardare ancora di più? Per motivare la forma che l’opera ha preso – pellegrinaggio, breviario interiore, indagine conoscitiva – non mi basterebbe nemmeno tirare in ballo l’Eraldo bambino che giocava coi soldatini di gomma sul pavimento dalle mattonelle color sale e pepe in un condominio anonimo e triste nella solitudine atroce che può riservare una grande antica città del ventesimo secolo.

E’ vero che la struttura portante del lavoro possiede una radice intima, strettamente legata alla mancanza di interlocutori che ho sperimentato da adolescente e rispetto alla quale spesso reagisco: dieci capitoli scritti in seconda persona, scorporato da me stesso, restando comunque a breve distanza, in stile esame di coscienza, a partire dai luoghi più rappresentativi del personaggio scelto, intervallati da altrettante risonanze recuperate dai miei diari di viaggio intorno al mondo. E’ altrettanto indubbio che il sentimento di estraneità da me talvolta provato nei confronti del romanzo, come genere letterario, deriva dal tentativo, ovviamente destinato al fallimento, di rifondare l’esperienza, il cui senso mi appare oggi, nella realtà digitale in cui siamo immersi, sempre più compromesso. Ma questa è la foce del fiume, non la sorgente. Per risalire la corrente e gettare un po’ di luce sul libro che ho dedicato a don Lorenzo Milani, prete degli ultimi e straordinario italiano, tante volte citato ma spesso frainteso, dovrei parlare, ancora una volta, dei miei genitori, entrambi orfani che avevano fatto soltanto la quinta elementare, l’una sfuggita ai lager tedeschi, l’altro costretto a vivere per conto suo a dodici anni, neanche fosse un monello di Charles Dickens. Se pretendessi di toccare con mano le nervature della pianta da cui è scaturito questo libro, potrei evocare i giorni senza parole della loro esistenza scheggiata e mai più ricomposta, prima ancora del desiderio di risarcimento che mi spinse a diventare scrittore ed accettare le iniziali supplenze, quasi intendessi esercitare una responsabilità disattesa. E chissà, magari non basterebbe. Dovremmo chiamare in causa i nonni: quello materno, fucilato dai nazisti, e quello paterno, dissolto nel nulla, mai conosciuto. Ecco la ragione per cui mi sono avvicinato al priore: nella sua rivoluzione interiore, nella lacerazione dei tessuti spirituali da lui compiuta per diventare pienamente se stesso, ho percepito qualcosa che mi toccava nel profondo. Era il richiamo al quale Buck non riesce a sottrarsi quando arriva in prossimità del bosco: una sostanza atavica, il segno numinoso che la scrittura autobiografica prima capta e poi fa proprio.

(Riproduzione riservata)

© Eraldo Affinati

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Il libro

A quasi cinquant’anni dalla sua scomparsa don Lorenzo Milani, prete degli ultimi e straordinario italiano, tante volte rievocato ma spesso frainteso, non smette di interrogarci. Eraldo Affinati ne ha raccolto la sfida esistenziale, ancora aperta e drammaticamente incompiuta, ripercorrendo le strade della sua avventura breve e fulminante: Firenze, dove nacque da una ricca e colta famiglia con madre di origine ebraica, frequentò il seminario e morì fra le braccia dei suoi scolari; Milano, luogo della formazione e della fallita vocazione pittorica; Montespertoli, sullo sfondo della Gigliola, la prestigiosa villa padronale; Castiglioncello, sede delle mitiche vacanze estive; San Donato di Calenzano, che vide il giovane viceparroco in azione nella prima scuola popolare da lui fondata; Barbiana, “penitenziario ecclesiastico”, in uno sperduto borgo dell’Appennino toscano, incredibile teatro della sua rivoluzione. Ma in questo libro, frutto di indagini e perlustrazioni appassionate, tese a legittimare la scrittura che ne consegue, non troveremo soltanto la storia dell’uomo con le testimonianze di chi lo frequentò. Affinati ha cercato l’eredità spirituale di don Lorenzo nelle contrade del pianeta dove alcuni educatori isolati, insieme ai loro alunni, senza sapere chi egli fosse, lo trasfigurano ogni giorno: dai maestri di villaggio, che pongono argini allo sfacelo dell’istruzione africana, ai teppisti berlinesi, frantumi della storia europea; dagli adolescenti arabi, frenetici e istintivi, agli italiani di Ellis Island, quando gli immigrati eravamo noi; dalle suore di Pechino e Benares, pronte ad accogliere i più sfortunati, ai piccoli rapinatori messicani, ai renitenti alla leva russi, ai ragazzi di Hiroshima, fino ai preti romani, che sembrano aver dimenticato, per fortuna non tutti, la severa lezione impartita dal priore.

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Eraldo Affinati è nato a Roma nel 1956. Ha pubblicato Veglia d’armi. L’uomo di Tolstoj (Marietti 1992, Mondadori 1998); Soldati del 1956 (Marco Nardi 1993, Mondadori 1997); Bandiera bianca (Mondadori 1995, Leonardo 1996); Patto giurato. La poesia di Milo De Angelis (Tracce 1996); Campo del sangue (Mondadori 1997); Uomini pericolosi (Mondadori 1998); Il nemico negli occhi (Mondadori 2001); Un teologo contro Hitler. Sulle tracce di Dietrich Bonhoeffer (Mondadori 2002); Secoli di gioventù (Mondadori 2004); Compagni segreti. Storie di viaggi, bombe e scrittori (Fandango 2006); La Città dei Ragazzi (Mondadori 2008); Berlin (Rizzoli 2009); Peregrin d’amore. Sotto il cielo degli scrittori d’Italia (Mondadori 2010); L’11 settembre di Eddy il ribelle (Gallucci 2011); Elogio del ripetente (Mondadori 2013); Vita di vita (Mondadori 2014). Ha curato l’edizione completa delle opere di Mario Rigoni Stern, Storie dall’Altipiano, nei Meridiani Mondadori (2003). È autore, insieme alla moglie Anna Luce Lenzi, di Italiani anche noi. Corso di italiano per stranieri. Il libro della scuola Penny Wirton (Il Margine vol. 1, 2011, vol. 2, 2015).

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