Home > Autoracconti d'Autore (gli autori raccontano i loro libri) > ALESSANDRO ZACCURI racconta LO SPREGIO

ALESSANDRO ZACCURI racconta LO SPREGIO

marzo 1, 2017

ALESSANDRO ZACCURI racconta il suo romanzo LO SPREGIO (Marsilio)

alessandro-zaccuri

 * * *

di Alessandro Zaccuri

All’inizio, quando Lo spregio non era ancora Lo spregio, il protagonista non si chiamava Franco Morelli, detto il Moro, ma Remigio Labruna, sapeva già  «di essere un uomo infame, e ne era fiero». Così leggo nel più vecchio degli appunti relativi al libro. L’annotazione risale all’aprile del 2010 ed è consegnata a un file che porta la dicitura, non poco pretenziosa, di incipit sine explicit. Mi era capitato, come altre volte, di mettere per iscritto una scena della quale non capivo bene il significato e per la quale non sarei stato in grado di prevedere uno sviluppo. È l’appunto più antico e anche il più vicino a quello che poi, nell’autunno del 2013, il libro è diventato.
Nella cartelletta in cui conservo gli altri esperimenti trovo una manciata di abbozzi, ciascuno accompagnato dal suo titolo e addirittura da una citazione in esergo. C’è La rovina, del gennaio 2013, che è un inizio di racconto in prima persona, dettato dalla voce di un giovane uomo che viene trascinato controvoglia, a notte fonda, davanti a un rudere in montagna. Probabilmente avevo un’idea di come proseguire, anche se non la ricordo con esattezza. Non era male, però, la frase di Saint-Just alla quale mi appoggiavo e della quale, di nuovo, non sarei più in grado di stabilire la provenienza: «Nulla assomiglia alla virtù più di un grande crimine». È lo stesso paradosso – niente affatto paradossale, in realtà – nel quale mi imbatto nelle prime righe di un’altra stesura, intitolata Il dispetto e datata marzo 2013. Avevo rinunciato al racconto in prima persona per introdurre subito il protagonista, che nel frattempo aveva conquistato il suo soprannome: «Il Moro sarebbe stato un grande santo, se fosse stato un santo». Meglio, per quanto la citazione introduttiva (Farinata che, nella descrizione di Dante, tiene «l’inferno a gran dispitto») suoni prevedibile, scolastica.
Lo spregio Che il titolo giusto fosse Lo spregio lo avevo già capito qualche mese prima, nel novembre del 2012, con un anno esatto di anticipo rispetto alla stesura definitiva. La citazione da Saint-Just appariva nell’originale francese, perché ora che ci penso è in francese che l’avevo trovata. Ma questo non ha molta importanza. Conta invece che gli altri elementi, quelli essenziali, fossero già al loro posto: le generalità del protagonista (Franco Morelli, detto il Moro), la bettola a mezza costa, gli affari loschi, la dedizione pressoché ascetica con la quale viene perseguito un intento criminale. La storia c’era, era quella, era la stessa che mi si era annunciata nel famoso incipit sine explicit, eppure nei mesi seguenti avevo cercato di allontarmene, come se qualcosa mi avesse spaventato.
Lo spregio non è un libro rassicurante, sono il primo ad ammetterlo. È, per quanto riesco a capire, il punto di approdo della mia personale esplorazione del mistero della paternità. Il Moro non è un buon padre, ma cerca di essere un padre buono. Per lui, come per tutti, la paternità è l’estrema, forse unica occasione per esercitare la bontà, per riconoscersi e perdersi nella bontà. Tutto il resto (gli spalloni, la ‘ndrangheta che sale al nord, l’amicizia fatale tra due ragazzi che non si comprendono, il culto di san Michele, le statue dell’arcangelo) è venuto dopo ed è sempre stato in secondo piano rispetto alla scena in cui il libro era già contenuto: l’infame Remigio Labruna che esce nello spiazzo davanti al suo locale dalla cattiva reputazione, scaccia i gatti che si stanno avvicinando a un involto e scopre che nell’involto c’ è un bambino. «Il neonato non piangeva. Aveva gli occhi aperti. Vaghi e acquosi, ma aperti. Lo guardava». L’appunto non va oltre, forse ancora non sapevo che cosa avrebbe fatto il mio santo al contrario. Nel libro invece il Moro non ha esitazioni. Raccoglie il fagotto, decide che quello è suo figlio, corre il rischio di essere buono.
Fino all’ultimo Lo spregio non era accompagnato da alcuna citazione. Volevo che fosse un racconto a sé stante, privo di ammiccamenti letterari, una corda tesa da un punto all’altro, come nelle novelle di Dürrenmatt. Ma un giorno mi sono imbattuto in quella frase di Kafka, in America: «Dopo di che non ci fu lotta, ma solo punizione». Mi sono arreso, perché non si poteva dire meglio. È una regola generale, questa: se lo ha detto Kafka, meglio non si può dire.

(Riproduzione riservata)

© Alessandro Zaccuri

 * * *

 

Da Lo spregio di Alessandro Zaccuri (Marsilio)

Lo spregio Una sera di giugno del 1980, mentre aspettava una comitiva che aveva prenotato da Grandate, il Moro uscì a fumarsi una sigaretta. Fece due passi, percorrendo il vialetto che dall’ingresso della trattoria portava alla strada. Arrivato all’altezza della porcilaia, sentì un suono fastidioso, simile a un miagolio. Non ci avrebbe fatto caso, se le stanze fossero state occupate. Ma lì dentro non c’era nessuno e quel lamento, del resto, non era lamento da materasso. Gli venne il sospetto che a Giustina fosse saltato in mente di lasciare gli avanzi per i gatti, un’altra volta. Era una sciocchezza che aveva fatto tanti anni prima, appena arrivata, ed era mancato poco che il Moro non la mandasse via per quello. Al posto dei gatti, infatti, si erano presentate le volpi e meno male che non c’erano clienti in quel momento. Erano bastati due colpi di fucile e una delle bestie era rimasta stecchita. Le altre avevano capito l’antifona. Era una storia vecchia, di vent’anni prima, ma non si sa mai. Adesso avevano un’altra cameriera, l’idea degli avanzi poteva anche averla avuta quella lì.
Il Moro andò a vedere. Il suono non proveniva da un animale, ma da un fagotto abbandonato per terra, al centro dello spiazzo che faceva da parcheggio. L’uomo capì prima ancora di chinarsi. Il neonato smise subito di frignare e lo fissò con gli occhi grigi, trasparenti. Al Moro sembrò che si fossero incontrati.
Decise in un istante, mentre si avviava verso la cucina con il bambino in braccio. Non sapeva come tenerlo e se l’era praticamente ficcato sotto l’ascella, con il rischio di soffocarlo. Già allora provava imbarazzo a toccarlo.
La cameriera era di là, a finire di apparecchiare.
«Questo è mio figlio» disse a Giustina. «L’ho trovato per terra, ora chiamo il dottore e gli facciamo scrivere che l’hai partorito tu, in casa. Domani andiamo in Comune per registrarlo, poi dal parroco per il battesimo. Ti sposo anche, se vuoi. Ma questo è mio figlio e tu l’hai partorito. Eri incinta e nessuno se n’è accorto, perché stai sempre di qua in cucina. Hai capito?»
Giustina tremava, si confondeva, piangeva. Sapeva di non avere scelta.
«Si chiamerà Angelo, perché è venuto dal cielo» disse il Moro. E con quello il discorso era chiuso.

(Riproduzione riservata)

© Marsilio editori

* * *

Lo spregio La scheda del libro

Siamo negli anni Novanta, tra i monti al confine con la Svizzera. Franco Morelli detto il Moro ha ereditato dal padre la Trattoria dell’Angelo, e la fa fruttare come si deve: ma i soldi, quelli veri, li guadagna trafficando con prostitute e spalloni – e forse grazie ad altri affari ancorapiù oscuri e pericolosi. È un uomo chiuso, determinato: del tutto amorale. Ha un figlio – in realtà un trovatello, ma nessuno lo sa – che lo adora come un dio; e una moglie timida e servile – la cuoca – che gli serve solo per giustificare al mondo l’esistenza del piccolo Angelo. Ma Angelo, crescendo, scopre che cos’è in realtà suo padre; e anziché ripudiarlo decide di voler essere come lui, più di lui. Si lega d’amicizia con Salvo, rampollo spendaccione – ma non sciocco – di una famiglia del Sud in soggiorno obbligato. Ben presto però anche questa amicizia diventa competizione, e Angelo commette l’errore fatale: vuole essere come il suo amico Salvo, di più del suo amico Salvo.

* * *

Alessandro Zaccuri è nato a La Spezia nel 1963, vive a Milano ed è giornalista del quotidiano “Avvenire”. Ha esordito come narratore nel 2003 con Milano, la città di nessuno (L’Ancora del Mediterraneo, premio Biella Letteratura e Industria). Presso Mondadori sono usciti i romanzi Il signor figlio (2007, premio Selezione Campiello), Infinita notte (2009) e Dopo il miracolo (2012, premi Basilicata e Frignano). Lo spregio (Marsilio, 2016) è finalista al premio Bergamo.

* * *

© Letteratitudine

LetteratitudineBlog / LetteratitudineNews / LetteratitudineRadio / LetteratitudineVideo

Seguici su Facebook e su Twitter