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IL SIGNOR F. È MORTO IN TRENO E ALTRI RACCONTI di Maria Greco

Maggio 4, 2017

IL SIGNOR F. È MORTO IN TRENO E ALTRI RACCONTI di Maria Greco (Robin edizioni)

Il libro sarà presentato sabato 6 maggio, h. 17, nella sede della Biblioteca della “Città Metropolitana” di Catania (Via Prefettura 20), nell’ambito della rassegna “MAGGIO DEI LIBRI”. Sarà presente l’autrice insieme a Dario Stazzone e Salvatore Taranto. Coordina Pina Consoli

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Di seguito, alcune dichiarazioni dell’autrice, una annotazione firmata da Elvira Seminara e un estratto del libro

Il titolo del libro è il titolo del primo racconto che riassume in sé il significato della raccolta“, spiega Maria Greco a LetteratitudineNews . “Il signor F. è un uomo che non ha una vera identità, di lui si legge soltanto: “un signore piuttosto distinto dell’età di settantasei anni, era morto…”. Ma intorno a questo anonimo personaggio ruota un’umanità cinica e indistinta, variamente curiosa e distratta, occupata dai più vaghi pensieri, dalle minuzie di una vita spicciola e capricciosa…”

La vita è fatta anche di minuzie, naturalmente“, continua ancora l’autrice. “Tuttavia in qualche caso le minuzie ci rendono ciechi di fronte alle enormità. La morte è una di queste: ci sta davanti, ci osserva divertita nel nostro quotidiano annaspare, ma noi non riusciamo a vederla, notiamo invece che un certo signor F. ha occupato indebitamente il nostro posto sul treno… e ne siamo contrariati”.

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Se uno non è
Cos’è un uomo morto, nel quarto vagone al posto 33? Non ho detto chi è (come sarebbe rispettoso) ma cos’è. Quel morto per caso, che sembra solo addormentato, si insinua fra i passeggeri come un ingombro, ottuso anzi molesto. Nessuna pietà, o curiosità, per la sua vita bruscamente rotta, solo fastidio o morbosità da gossip.
E le scarpe del senatore disonesto, invece, chi sono? Perché continuano a saltare e bighellonare per casa, ribelli, rifiutando ostinate i piedi del padrone, e la loro stessa funzione di cose? Cosa vogliono dire, forse disgusto e noia?
E poi c’è lo specchio che non riflette più il volto del signor M., a ricordargli (forse) che ha perso la sua “identità”, e del resto pure la sua ombra si è dissociata dal titolare.
L’umorismo è il sentimento del contrario, diceva Pirandello, e la sua ombra (ancora un’altra) aleggia sorniona su queste pagine visionarie. Ama infatti mischiare le carte e le prospettive, Maria Greco, e sovvertire i piani non solo di umani e cose ma anche dell’Olimpo, e in questo gioco irriverente, di penna colta e leggera, tra climi surrealisti e amorosa cura del dettaglio, ti sembra pure di incontrare Cechov, Gogol, Bontempelli.
È così, per innocenza o spregiudicatezza, e sabotaggio delle cose, che i personaggi di questi racconti inciampano nel mondo, cercando se stessi o fingendosi al meglio, mettendo in scena una microsocietà del cinismo o dell’idiozia, della nevrosi e del luogo comune, del sogno imperfetto. Insomma del tic fascinoso del vivere.
Elvira Seminara

 

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Il signor F. è morto in treno di Maria Greco (Robin edizioni) – estratto del libro

Il signor F., un signore piuttosto distinto dell’età di settantasei anni, era morto. Gli era accaduto così, durante il viaggio di ritorno a casa dalla località di *.

Lo aveva colto un infarto mentre guardava dei cartelloni pubblicitari fuori dal finestrino. Aveva emesso un suono appena percettibile ed era morto senza fiatare, sul colpo. Adesso stava lì, seduto al posto numero 33, quarto vagone, e tutto intorno a lui era un brulicare di gente che saliva e scendeva…

Il signore e la signora P., con un’aria un po’ disorientata, camminavano lungo la carrozza, richiamando su di sé gli sguardi di alcuni viaggiatori. Era soprattutto la signora P. a destare una certa curiosità. Aveva una bocca molto larga e dei denti piuttosto pronunciati, ma ciò che rendeva veramente caratteristico ed inconfondibile il suo aspetto era uno strano naso molto lungo che non poteva senz’altro passare inosservato. La visione di questo naso così sproporzionato attirava l’attenzione di chiunque, e non c’era persona che riuscisse, suo malgrado, a parlare con lei senza fissare quella specie di enorme proboscide che sembrava penzolarle proprio giù dagli occhi. Le labbra inoltre fuoriuscivano un po’, come fossero schiacciate da un gran peso, e persino il mento pareva impacciato, insomma ogni parte del suo viso era in qualche modo condizionata da quel lunghissimo naso.

L’uomo che la accompagnava a passi brevi e risoluti era poco più alto di un metro e cinquanta e aveva le braccia, eccezionalmente corte, cariche di pacchi. Portava un pizzo sottile sottile, che pareva cresciuto tra mille stenti, e due occhietti neri che spesso socchiudeva in uno sforzo di concentrazione. Entrambi dovevano avere poco meno di cinquant’anni.

Si erano sposati appena quattro anni prima e, dal momento che gli proprio non riuscivano ad averne, avevano deciso di “godersi la vita”. Così, appena arrivata l’estate, si erano recati in un’agenzia di viaggi e avevano manifestato chiaramente l’intenzione di effettuare non un viaggio qualsiasi, ma uno “davvero speciale”. Erano arrivati con un discreto anticipo alla stazione di **, avevano atteso un po’, all’arrivo del treno erano saliti e adesso prendevano posto proprio di fronte al signor F.

La signora P., dopo aver faticosamente trovato una sistemazione per il cappello, per l’impermeabile, per la borsa, la macchina fotografica e altri piccoli pacchetti che, non si sa per quale ragione, non aveva potuto mettere in valigia, si accomodò e finalmente vide di fronte a sé il signor F. Accanto a lui sedeva un ragazzo che, con un piccolo aggeggio elettronico penzoloni sul petto e dei li che arrivavano alle orecchie, sfogliava una rivista. Nessuno dei due la degnò della minima attenzione. Fu una grossa delusione per lei, che sperava di conoscere persone interessanti durante il tragitto e aveva il fermo proposito di approfondire, in viaggio, la sua conoscenza dell’umanità.

Con gli occhi un po’ tristi si volse intorno. I viaggiatori chiacchieravano o sonnecchiavano, nessuno badava a lei. Era tuttavia troppo presto per rovinarsi la vacanza. Così strinse affettuosamente la mano al marito e si distese comodamente sulla poltrona. Già pochi istanti dopo osservava il paesaggio dal finestrino con grande soddisfazione, incrociava le gambe e non faceva altro che sorridere per dimostrare a suo marito e a se stessa quanto fosse compiaciuta di quella scelta – il viaggio in treno – che “avrebbe permesso loro di conoscere davvero i luoghi”, di “viaggiare”, perché, come le ripeteva spesso una sua amica, “viaggiare” non significa arrivare nel giro di un paio d’ore alla meta e trangugiare tutto di gran corsa, come se si scappasse inseguiti da qualcuno, viaggiare significa invece dedicare del tempo, appunto, al viaggio, allo spostamento, e godere di se stessi e del tragitto…

Trascorse così quasi un’ora, finché non arrivarono alla stazione di ***.

Tra i viaggiatori che gironzolavano intorno ai binari, c’era un uomo sulla trentina, molto alto, chiaro di carnagione, con gli occhi verdi e una fine barbetta. Portava un abito blu, piuttosto elegante, e teneva un impermeabile in mano. Si aggirava per la stazione con i suoi due piccoli bagagli e aveva l’aria un po’ stanca. Alzava e riabbassava gli occhi, vedeva dappertutto orologi: erano le 19.40, il suo treno partiva alle 19.43. Guardò con una certa apprensione il biglietto, poi risollevò ancora lo sguardo, vediamo… binario 7, qui… sempre orologi – dov’è scritto? A un certo punto notò, proprio sopra la sua testa, una  bella stanga, dritta dritta, in verticale e accanto vide uno zero. Era al binario numero 10, un passo indietro: 10, 9, 8… in lontananza si chiarì al suo sguardo il numero 7. Bisognava scendere e poi risalire, intanto si era fatto veramente tardi, si avviò senza perder tempo, camminava frettolosamente, “Ahi!”, “Scusi signora”, una spallata ad un altro viaggiatore, “Pardon”, “C’è davvero di che preoccuparsi, chiuderanno le porte, sono entrati tutti, non c’è più nessuno intorno al treno”, prese a correre, ma le valigie non ressero il passo. Scrunf! Rovesciate a terra! La pavimentazione era decisamente inadeguata alle corse con bagagli. Passò, senza fermarsi, davanti ad un’edicola. Non poteva fare a meno di pensare, con un pizzico di malinconia, che proprio quel giorno avrebbe dovuto completare la raccolta “Gli astri e la scienza”, usciva l’ultimo numero… infine eccolo al binario, trovò la carrozza numero quattro, si appese alla maniglia e, ansimante, si portò sul primo gradino… dentro!

Fece appena in tempo. Il treno partì pochi istanti dopo. Il viaggiatore si guardò intorno, la luce all’interno era opaca, tende pesanti oscuravano la gran parte dei finestrini, inoltre cominciava a farsi buio; molti bagagli, lasciati negligentemente sulla moquette, ingombravano il passaggio. “Mille volte meglio l’aereo – pensò – poi, con quello che costa un biglietto di Super-Diretto-Rapido-etc.-etc…”.

Nonostante i notevoli sforzi, riuscì a sistemare solo una delle due valigie nella cabina bagagli, l’altra dovette portarla con sé. Così, seccato, si apprestò a cercare il suo posto.

“Bene: 37, 35, 33… ecco. È questo” si disse con aria ancora più contrariata, dal momento che lo vedeva occupato da un signore che non accennava minimamente ad alzarsi e che anzi sembrava addormentato. Esitò un po’. Controllò che il numero sul biglietto – di cui era peraltro sicuro – e il numero sullo schienale della poltrona coincidessero, cercando, con i suoi movimenti, di attirare l’attenzione dell’uomo che dormiva (o fingeva di dormire!).

Nel frattempo la signora P., sempre in vena di fare amicizia e lusingata dalla presenza di un così bel giovane, gli fece un cenno col capo, sorridendo appena, per non apparire troppo invadente. Quello ricambiò il cenno, fissandole il naso. Poi si rivolse nuovamente all’usurpatore. Cercò di scrutarlo da vicino. Sì, stava senz’altro dormendo. Ma… d’altra parte quello era il suo posto e non ce n’erano altri liberi, il treno era stracolmo.

– Signore, mi scusi, – si decise finalmente l’avvocato (era infatti un avvocato), piuttosto imbarazzato dagli sguardi della signora P. che continuava a fissarlo con evidente curiosità, – scusi, questo è il mio posto…

Proprio in quel momento il treno cominciò ad accelerare e il signor F., trascinato da quella corsa, sembrò fare un movimento come se si stringesse nelle spalle e per di più parve accennare un sorriso che all’avvocato sembrò, senza ombra di dubbio, canzonatorio.

“Ah! Allora non dorme”, pensò.

– Senta, signore – disse impermalitosi – mi dispiace doverla disturbare, ma questo è il mio posto,

vede? – e gli mise davanti il biglietto, indicando e sottolineando bene il numero con il dito – carrozza 4, posto 33, qui siamo nella carrozza numero quattro, vero? – E, dal momento che quello non rispondeva, intervenne la signora P., che evidentemente non vedeva l’ora di attaccare discorso.

– Sì, è la carrozza numero quattro, lei ha proprio ragione.

L’avvocato continuò senza prestarle troppa attenzione.

– Signore, vorrebbe rispondermi cortesemente? Ha con sé il biglietto? Sarò costretto a chiamare il controllore. Non posso certo rimanere fino a **** in piedi, lei che ne dice? Mi faccia il favore di alzarsi e di trovare un’altra sistemazione. Ma è sordo? – L’avvocato cominciava davvero a innervosirsi, mentre la signora P. lo guardava costernata, pur essendo, in realtà, estremamente contenta che le capitasse qualcosa di così “umano” in quel deliziosissimo treno.

Così provò nuovamente ad attaccare discorso:

– Il signore era qui quando siamo arrivati. Forse dormiva già.

Ella pronunciò quest’ultima frase a voce alta e con un tono ostentatamente ironico. Evidentemente parteggiava già per il nuovo arrivato, infatti quel viaggiatore che non l’aveva degnata di un saluto e che, come appariva chiaro adesso, fingeva di dormire, non le era andato a genio fin dal primo momento. Vedendo che l’avvocato non le rispondeva, cercò di coinvolgere nella conversazione anche il marito.

– Vero, caro? Non era già qui, quando siamo arrivati?

Il marito che, a differenza della moglie, era piuttosto taciturno e non amava le discussioni inutili, rispose seccamente:

– Credo di sì, ma non vedo che importanza possa avere.

Lei lo gelò con un’occhiata. Era sempre la stessa storia, eppure glielo aveva ripetuto mille volte! Sarebbe diventata muta, un giorno o l’altro! Non le dava mai il pretesto per fare amicizia, pareva che, se avesse potuto, sarebbe andato a vivere in cima all’Himalaya, e ogni volta che lei cercava di inserirsi in una conversazione o di guadagnarsi nuove conoscenze, lui remava contro, si opponeva con tutta la testardaggine di un mulo.

Intanto l’avvocato, troppo educato per scuotere il viaggiatore, pensò di approfittare della gentile disponibilità della signora P.

– Forse lei riuscirebbe meglio di me…? – le chiese con tono carezzevole.

La signora, evidentemente compiaciuta dell’invito, si alzò in piedi e si avvicinò al misterioso viaggiatore.

– Signore, – iniziò con voce delicata, – signore.

Ma quello non sembrava udirla affatto. Allora, con il fare proprio di una bambina che sta per commettere una monelleria, si accostò ancora di più a lui no a sfiorargli l’orecchio con il naso e, quando fu pronta, fatto un gran respiro, urlò con quanto fiato aveva:

– Signore!

Non avendo ottenuto risposta neanche così, rimase interdetta. Intanto un gran numero di viaggiatori si erano voltati a guardarla e persino il ragazzo che ascoltava musica aveva sollevato gli occhi dalla rivista e osservava con un certo interesse tutta la scena.

– Potrebbe essere sordo – disse, quasi scusandosi, al giovane. – Oppure è davvero un gran commediante. Avevo una zia così, – aggiunse – una di quelle che scherzano anche quando dormono…

– Non è uno scherzo di buon gusto – la interruppe il giovane avvocato.

– Oh certo, certo – si affrettò ad assicurare l’altra. – E ancora non si è visto il controllore!
– Arriverà… lei dove è diretto?
– A ****.

– Oh! Ma che coincidenza! Sa che mia madre è nata proprio lì? Infatti in famiglia, per scherzo, la chiamavano “la settentrionale”, ma è stato solo un caso… caotica, vero? Sa, io non potrei vivere in un posto così… certo, avrà il suo fascino, le sue attrattive…

L’avvocato la guardò avvilito, non riusciva a credere alle sue orecchie: stava facendo…

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