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Premio Viareggio-Rèpaci 2017 a Calligarich, Carrai e Montesano

agosto 28, 2017

I vincitori dell’edizione 2017 del Premio Viareggio-Rèpaci sono:

Per la sezione narrativa: Gianfranco Calligarich con “La malinconia dei Crusich” (Bompiani)

Per la sezione saggistica: Giuseppe Montesano con “Lettori selvaggi” (Giunti)

Per la sezione poesia: Stefano Carrai con “La traversata del Gobi” (Aragno)

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Gli altri finalisti del Premio “Viareggio-Répaci” sono…

Per la Narrativa: Mauro Covacich, “La città interiore” (La nave di Teseo) e Donatella Di Pietrantonio, “L’Arminuta” (Einaudi).

Per la Saggistica: Francesco Paolo de Ceglia, “Il segreto di san Gennaro” (Einaudi) e Sandro Pazzi, “La donazione dimenticata. L’incredibile vicenda della Collezione Contini Bonacossi” (Mondadori Electa).

Per la Poesia: Franco Arminio, “Cedi la strada agli alberi” (Chiarelettere) e Paolo Lanaro, “Rubrica degli inverni” (Marcos y Marcos).

Il Premio Viareggio-Rèpaci, presieduto da Simona Costa, che ha compiuto 88 anni, ha dedicato uno spazio speciale ad Antonio Gramsci, con la commemorazione dei 70 anni dall’assegnazione del riconoscimento alle sue “Lettere dal carcere”.
A don Luigi Ciotti è stato conferito il Premio internazionale Viareggio-Versilia.

Di seguito, le schede dei tre libri vincitori del premio e le motivazioni della giuria.

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Vincitore della sezione narrativa: Gianfranco Calligarich – “La malinconia dei Crusich” (Bompiani)
La luna sull’acqua, la notte, e uno sguardo di malinconia che spazia sul mondo, la nostalgia per qualcosa che forse è stato perduto o forse non si raggiungerà mai. È il bagaglio che porta con sé Luigi Crusich, partito da Trieste per approdare a Corfù dove mette al mondo sei figli. Il primogenito, Agostino, sarà destinato alla luce dell’Africa e poi alla Milano fervente della ricostruzione; toccherà al figlio Gino Crusich (scritto tutto attaccato) cercare un altro sguardo sul mondo attraverso l’obiettivo di una macchina fotografica, percorrere il Sud d’Italia e poi toccare un altro Sud, quello dell’America. Infine l’eredità della malinconia toccherà a Uberto Crusich, veterinario sul Lago Maggiore.

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Vincitore della sezione saggistica: Giuseppe Montesano – “Lettori selvaggi” (Giunti)
Leggere per vivere ci risveglia dalla noia, dalla sconfitta, dalla rassegnazione. Non abbiamo sempre avuto questa vita qui, da servi e da infelici. Abbiamo avuto giorni e sogni favolosi, quando l’avventura ci ha soffiato in viso il mare delle partenze. Possiamo accettare l’esistenza falsa che hanno scelto per noi, e chiudere porte e finestre ai giorni che ci chiamano: ma possiamo ancora spalancare porte e finestre, e vivere tutte le vite che si possono vivere. Leggere per esistere fa zampillare in ogni istante la possibilità di essere noi stessi, di respirare in un perpetuo innamoramento. Non viviamo una vita vera, e demoni meschini ci tengono sepolti nelle nostre paure. Ma giorno dopo giorno, smarriti tra rabbie e tremori, visitati da amori e stupori, forse possiamo diventare vivi. Giuseppe Montesano attraversa il tempo, lo spazio, le culture, i generi: scopre la “vita vera” nel silenzio del pensiero e nella vibrazione della musica, nelle parole di scrittori, poeti e mistici, nelle immagini del cinema, dell’arte… La scopre e ce la indica, in un racconto fatto di ritratti e impressioni che accendono il desiderio dell’incontro.

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immagine scheda libroVincitore della sezione poesia: Stefano Carrai – “La traversata del Gobi” (Aragno)
Scrivere un libro di poesia significa sempre fare i conti con la storia, quella personale e quella della forma che configura l’esperienza, la mette quasi in trama e la rende più leggibile di quanto non fosse, per così dire, dal vivo… È sotto questa costellazione che si colloca il libro di Stefano Carrai.

 

 

 

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LE MOTIVAZIONI DELLA GIURIA

Premio Letterario Viareggio-Rèpaci

Vincitore Edizione 2017

Narrativa

Gianfranco Calligarich – “La malinconia dei Crusich”

Motivazione della Giuria

“Occorrono troppe vite per farne una”, diceva Montale in un verso dell’Estate e La malinconia dei Crusich di Gianfranco Calligarich lo testimonia incidendo volti e fiati di tre generazioni con la sua stessa impronta mitteleuropea scolpita nel cognome. È una Trieste come Itaca il punto di partenza di un romanzo che ha lo stampo epico di un viaggio alla ricerca di luoghi capaci di lenire la cognizione del dolore, rappresentata da un destino che si tramanda come eredità, fino a diventare cifra e citazione stilistica. Nel suo lungo racconto, infatti, segnato da un fil rouge che segnala un’appartenenza anche bibliografica al passato, Calligarich mostra che la letteratura non si brucia nel remoto ma si rianima, e riprende vita grazie a una nuova sintassi che inverte il periodare o si spezza con un singhiozzo soffocato, per diventare voce d’autore e di personaggi sempre alla ricerca di remoti paradisi che possano lenire il male di vivere. “Tutto tende al mare”, scriveva Gianfranco Calligarich in chiusura del suo primo romanzo (L’ultima estate in città), anche le razze estinte, ma qualcosa resta e si rigenera, riacquistando la legittimità di esistere. Le vicende dei Crusich e la Storia pubblica che li ha forgiati sono qui a provarlo; e nel romanzo di oggi si raccontano con suoni nuovi, con ritmi che riemergono dal sale di quelle acque anche grazie a uno stile che fa volare questo romanzo in alto, fin sotto la luna che rischiara il buio del mondo.

 Giovanna Ioli

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Saggistica

Giuseppe Montesano – “Lettori selvaggi”

Motivazione della Giuria

Jorge Luis Borges diceva che tra i suoi libri di svago preferiti c’erano le enciclopedie, con loro i resoconti di dottrine filosofiche e teologiche più avvincenti di qualsiasi romanzo. Da un’idea non troppo diversa sembra nascere anche Lettori selvaggi di Giuseppe Montesano – dove l’erudizione, l’aneddotica curiosa, persino il catalogo sono messi interamente al servizio del piacere della lettura.

Non è più il tempo delle enciclopedie scritte dai poeti e dai narratori, come la leggendaria “Britannica” di fine Ottocento, che arruolava quasi tutte le migliori penne dell’epoca. Oggi, piuttosto, è la stagione di Wikipedia: democratica, solo parzialmente inaffidabile, ma soprattutto stilisticamente sciatta, pensata come è per un consumo usa e getta. La summa di Montesano viene così a essere al tempo stesso una scommessa su un oggetto – la poesia, il romanzo, l’arte, la musica, nei quali si compendia per quasi 2000 pagine l’intera esperienza umana dal neolitico a oggi – ma anche una scommessa su un modo di parlare di quell’oggetto. Montesano lo fa con passione trascinante (lui direbbe “selvaggia”) e disciplinatissima prosa. Che sono, poi, due degli elementi che, da sempre, caratterizzano la letteratura e la saggistica che resta.

Gabriele Pedullà

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Poesia

Stefano Carrai – “La traversata del Gobi” 

Motivazione della Giuria

immagine scheda libroA cinque anni dalla pubblicazione del suo notevole libro di esordio Il tempo che non muore, apparso nel 2012 presso le novaresi edizioni Interlinea con una complice nota di Luigi Surdich, Stefano Carrai affida ora alla sua opera seconda, La traversata del Gobi (Torino, Aragno, 2017, postfazione di Niccolò Scaffai), i risultati di un esercizio inventivo di singolare intensità e maturità che naturalmente lo colloca tra le voci poetiche più originali dell’ultimo decennio.

Articolato in otto sezioni precedute dalla programmatica poesia In chiave («Ora per ricomporre i tuoi brandelli | anima mia | altro | che canzoniere | ora | mi ci vorrebbe un mago | della sutura | uno | che facesse miracoli»), La traversata del Gobi inscrive in una struttura compositiva di callida nitidezza gli specimina di una tesa operazione mnestica che, nominandoli, aspira a sottrarre alla irreparabile deriva del tempo situazioni, figure, immagini, luoghi di un universo privato e pubblico, intimo e sovrapersonale, ripercorso in obbedienza a due supremi paradigmi insieme ideologici e tecnici: Petrarca e Montale (non per caso, l’uno e l’altro, tra gli oggetti privilegiati del lavoro di Carrai italianista).

Poeta coltissimo, assistito da una prodigiosa memoria letteraria piuttosto dissimulata che esibita, Carrai si affranca tuttavia dall’orizzonte del citazionismo di impronta variamente postmoderna per la forza testimoniale e l’autenticità talvolta perfino disarmata con le quali si dispone a redigere un franto, sfaccettato referto esistenziale e autobiografico attento a non confondere (giusta la clausola di una capitale composizione come Biografie) il «sangue», «secco» o «nero» che sia, con l’«inchiostro», nel segno di una irreducibile fedeltà a quella turbata dialettica tra vissuto e formalizzazione del vissuto che nel Novecento italiano ha trovato i suoi esiti più alti nell’esperienza poetica di Umberto Saba (autore particolarmente caro a Carrai, che gli dedicato una recente, importante monografia) e che Giovanni Giudici ha mirabilmente riassunto nella formula «la vita in versi».

 

Franco Contorbia

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