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L’ALTRO SÉ di Lorenzo Perrona (intervista all’autore)

agosto 29, 2017

L’ALTRO SÉ, OPPOSIZIONI LETTERARIE DAL SUD di Lorenzo Perrona (Algra editore)
Silone, Levi, Brancati, Pasolini, Sciascia

di Domenico Trischitta

Un raffinato saggio, quello del critico letterario Lorenzo Perrona, che indaga l’unicità italiana intesa come opposizione. Una sorta di colonialismo interno che ha plasmato una produzione narrativa che fa i conti con le due Italie, quella meridionale contadina rappresentata dallo stereotipo del “cafone” di Ignazio Silone e quella borghese industriale nordista di Levi. Il sottosviluppo economico e sociale ha provocato paradossalmente una supremazia letteraria sudista, qua espressa, per esempio, dall’opera di Vitaliano Brancati, che da siciliano si muove sull’asse geografico Pachino, Catania, Roma. Addirittura ci sono scrittori del Nord che scendono in campo e si mimetizzano con il tessuto contadino del Sud (oltre Levi e Pasolini aggiungerei anche Giuseppe Berto), esemplare l’esperienza di Pasolini nelle borgate romane, che attraverso la sessualità e l’empatia del registro linguistico ne assorbe gli umori fino alle estreme conseguenze fatali. Le ragioni necessarie di una scrittura di militanza che in Vitaliano Brancati e in parte in Leonardo Sciascia assumono i connotati di un atavico disagio esistenziale. Da non perdere.

-Perrona, da dove parte questa sua ricerca?
Direi che, più che il punto di partenza, è un certo percorso che mi ha portato a scegliere necessariamente di sviluppare questa ricerca. La questione di partenza è stata questa, da dove nasce, e perché, l’idea “culturale” del Nord Italia e del Sud Italia, un’idea che è acquisita dagli italiani e dai non italiani come un dato di fatto che differenzia e, a volte, discrimina gli individui. Un’idea così radicata da partorire un partito che parlava addirittura di secessione, che ha governato l’Italia per diversi anni ed è tuttora una forza politica rilevante. Se fossi rimasto a vivere nella mia città, Genova, non avrei potuto affrontare efficacemente queste questioni così complesse, perché era necessario prendere le distanze da tante cose, acquisire nuove esperienze culturali: fare chiarezza sull’eurocentrismo e su come le dinamiche identitarie entrino nel discorso nazionale. Direi che, se il mio libro ha qualcosa di metodologicamente originale, è che non fa un discorso semplicemente interdisciplinare (appoggiandosi cioè ad altre discipline, come la sociologia o l’antropologia), fa un discorso sulla letteratura, sui meccanismi della creazione letteraria.

-Ci spiega meglio questo colonialismo letterario, tipicamente italiano?
Occorre fare una premessa. Il colonialismo è stato la forma, prima culturale e poi geopolitica, che ha plasmato il mondo moderno e contemporaneo. Lo ha fatto vedere molto bene Edward Said leggendo nella cultura europea le rappresentazioni letterarie di tipo orientalista come essenziali al dominio coloniale su altre culture e popolazioni. Nella storia italiana dell’800, dopo lo straordinario impulso risorgimentale che ha creato lo Stato nazionale italiano, i problemi post-unitari sono stati affrontati con gli strumenti culturali allora in uso, il razzismo e il colonialismo: l’esempio più macroscopico è la repressione e gli eccidi con i quali lo Stato sabaudo ha affrontato un problema sociale e politico come il brigantaggio. La letteratura, gli scrittori italiani, hanno agito in questo tipo di ambiente, ne hanno registrato le condizioni e, soprattutto, “se lo sono rappresentato” (pensiamo a Verga). Credo che la critica debba entrare in questa dinamica eminentemente letteraria. Il mio libro analizza la fase successiva, l’esperienza letteraria del ‘900. Con una scoperta inaspettata, cioè gli scrittori italiani hanno creato delle risposte straordinarie, alternative, alle condizioni cosiddette coloniali in cui si trovavano ad agire, cioè alla subalternità di una enorme parte della popolazione, e poi all’identità nazionale fascista. Sono passati all’attacco con libri che sono stati anche dei successi editoriali come Fontamara, o Cristo si è fermato a Eboli, o Il bell’Antonio, e in cui oggi leggiamo benissimo il tema della costruzione identitaria e del rapporto con l’altro.

-Silone, Carlo Levi, Brancati, Pasolini, Sciascia. Cosa hanno in comune questi cinque scrittori?
Silone, Levi, Pasolini e Sciascia erano già in partenza considerati scrittori ideologicamente impegnati. In realtà anche Brancati lo è. Ma dal mio libro emerge che le soluzioni letterarie che, per esempio, Silone o Levi o persino Sciascia hanno messo in atto sono meno efficaci di quelle di Brancati. Una cosa è creare un “feticcio testuale” che diventa facilmente stereotipo e che si diffonde facilmente nel sistema culturale; un’altra, ben più dirompente, è lavorare, giocare, con le costruzioni identitarie inventando o prefigurando nuove prospettive e nuovi significati. Questo fa poeticamente la scrittura quando è rilevante e grande.

-Perché Vitaliano Brancati può ritenersi ancora uno scrittore moderno?
Innanzitutto Brancati è stato letto in modo sbagliato, per vari motivi che oggi possiamo storicizzare. La posizione di Brancati era netta e scomoda, da liberale di vecchio stampo: contro l’oppressione del conformismo (fascista e postfascista), a favore della libertà di pensiero e di espressione, contro la censura. Lucido conoscitore dei mali italiani, nella sua opera – fatta di romanzi, racconti, teatro, cinema, giornalismo – c’è un impulso critico persino eversivo, espresso nelle storie che parlano di un’identità “altra” e decentrata com’è quella del provinciale catanese (molto affine a quella del borgataro pasoliniano). E questa destabilizzazione identitaria funziona come potente strumento di opposizione culturale, figurazione di un’alternativa rispetto alla normalizzazione borghese dominante nell’Italia fascista e del dopoguerra.

-Si può parlare di supremazia letteraria del Sud?
Alle classifiche preferisco l’analisi delle condizioni e dei processi. L’Italia è un paese mediterraneo con una storia millenaria di cultura e di socialità, quest’ultima non sempre felice. Il Sud in particolare ha una densità di esperienze e di condizioni esistenziali irrisolte che sono terreno fertile per l’elaborazione artistica, che è racconto, rappresentazione, figurazione, prefigurazione. Oggi mi pare che Catania o Palermo siano animate non tanto dalle istituzioni in crisi, ma da figure di artisti che ostinatamente operano inventandosi i contesti. Questo è molto importante.

-Lei ha scelto di vivere nell’estremo Sud siciliano. Questo ha condizionato la sua attività di critico letterario?
Ho parlato prima dell’importanza del percorso. Due anni vissuti in Australia, otto anni fra la Svizzera e l’Italia, e poi il trasferimento in Sicilia mi hanno dato la prospettiva necessaria per elaborare idee che si distaccano dai più diffusi discorsi culturali o accademici. Spesso percepisco troppa autoreferenzialità della cultura. La cultura, la letteratura, invece, devono riprendere coscienza del proprio potere di incidere sulla realtà. Qui al Sud questa realtà, nel bene e nel male, è sotto gli occhi di tutti.

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La scheda del libro

L’altro sé che questo saggio svela è il mito narrativo che pervade la narrazione nazionale degli italiani: l’alterità interna all’Italia che si materializza nella rappresentazione del “Sud”. Da questa alterità scaturisce non solo la proliferazione dei ben noti stereotipi, tipicamente orientalisti, su tutto ciò che ha a che fare con il Meridione d’Italia; scaturiscono anche delle buone ragioni per esprimere un‘opposizione, un’alternativa, ogni volta che delle affermazioni identitarie dominanti diventano troppo stringenti e oppressive. Questo è successo nelle vicende letterarie del Novecento, la nascita e lo sviluppo di modalità di rappresentazione che hanno raccontato l’alterità italiana. Ricostruendone le ragioni all’interno della nostra storia culturale, questa nuova prospettiva rende l’esperienza letteraria italiana commisurabile e confrontabile con le esperienze letterarie di altri paesi e culture rispetto a temi di ampio respiro come l’identità, l’alterità, l’eurocentrismo. E riconosce una posizione di avanguardia e di rilievo internazionale ad alcuni scrittori del secolo scorso come Ignazio Silone, Carlo Levi, Vitaliano Brancati, Pier Paolo Pasolini, Leonardo Sciascia.

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lorenzo-perronaLorenzo Perrona è critico letterario e insegna nelle scuole. È nato a Genova e vive a Vendicari, in Sicilia. Ha partecipato alla creazione di progetti come il festival di cultura cinematografica Sguardi australiani (Genova-Camogli, 2002-2006). Ha pubblicato saggi di critica postcoloniale con Jaca Book, Rodopi, Monash University e-Press. Per Le Lettere ha curato e tradotto nel 2003 un romanzo australiano, Gatto selvaggio cade di Mudrooroo. Collabora alle pagine culturali del “Corriere del Ticino” e de “La Sicilia”.

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