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IL GIALLO DEI LIMONI: un ricordo di Franco Loi

gennaio 5, 2021

In omaggio al poeta Franco Loi, scomparso il 4 gennaio 2021, pubblichiamo questo ricordo offertoci dal poeta Sebastiano Burgaretta

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Il giallo dei limoni

di Sebastiano Burgaretta

Taccuino in mano, di tanto in tanto inframmezzava alla conversazione amichevole improvvisi momenti nei quali prendeva brevi appunti su quanto il paesaggio siciliano, che fiancheggia l’autostrada che collega Fontanarossa ad Avola, gli ispirava. Veniva da Milano il poeta, mio amico, Franco Loi, per tenere una conferenza sulla poesia e già, appena messo piede in Sicilia, non poteva fare a meno di cogliere, con le sue sensibilissime antenne, i segnali cui l’aveva informato e avvezzato la sua diuturna consuetudine con la poesia. Scusami, ma io sono abituato a prendere appunti sul mio taccuino: sono sensazioni, visioni, colori, odori, pensieri che vengono a parlarmi e che io devo fermare sulla carta, per non perderli. Così gentilmente mi disse, aggiungendo poi: Mi capita sempre, dovunque qualcosa mi attragga e mi catturi. E qui è la luce a incantarmi. È stupenda questa luce. Stupenda in sé stessa, e ancor di più per chi, come me, viene dalle nebbie di Milano. E questo giallo delle margherite, e quello dei limoni sono una vera esplosione di luce e di vita. Torno sempre volentieri in Sicilia, dove, ti confesso, mi piacerebbe vivere. Se mia moglie fosse d’accordo con me, io verrei a vivere in quest’isola, così come anche nel Salento. Sorpreso e ammirato da tanto stupore: Davvero dici? mi spinsi a domandargli. E lui: Sai, per la Sicilia, e specialmente per la parte che va da Catania a Siracusa e Noto, ho sempre nostalgia e forse è nostalgia della nonna catanese che non ho mai conosciuto. Si diffuse a parlare di sé e del suo rapporto con la poesia, proprio a partire dalle emozioni che stava vivendo durante il viaggio in macchina: Porto in me le emozioni che mi toccano interiormente, l’emozione datami da una cosa, da una persona, da un paesaggio, da una realtà. E del resto questo è il modo che un poeta ha di avere emozioni del vivere, ed è da questa emozione, da questo movimento, che il poeta avverte in sé, che nasce la simbiosi con quel ritmo del mondo che suscita l’impulso a dire. La poesia è l’espressione più adatta a compiere questa comunicazione, perché la comunica non solo per segno di parola ma anche per suoni, e il suono opera in noi ben oltre la nostra coscienza.

Gli rispondevo, confermando queste sue idee nate dall’esperienza dell’esercizio poetico, e gli dicevo che all’inizio di ogni mio momento poetico-creativo c’è sempre un input di natura musicale, cui non posso sottrarmi, una voce interiore, un endecasillabo, che, tra note e segni, esigono di essere fermati sulla carta e a cui devo obbedire. È vero, argomentava, nella maggior parte degli uomini questo movimento interiore si esaurisce nell’emozione; nel poeta il movimento si traduce in suono-parola. Argomentazioni e chiarimenti al riguardo ebbe poi modo di approfondire in serata nel corso della conferenza che tenne a Crisilio Castello, riproponendo, come altre volte con me aveva fatto, il suo amato Dante:

                                            …….I’ mi son un che, quando

                                           Amor mi spira, noto, e a quel modo

                                           ch’e’ ditta dentro vo significando.

imagePrima della conferenza, nel tiepido pomeriggio del maggio siciliano, lo portai con me ai Laufi, dove fece un bagno d’ossigeno vitale, inebriandosi di profumi e di colori, tra le zagare d’arancio e il giallo dei limoni, che immediatamente lo riportarono alla riflessione sulla luminosità dell’aria siciliana e sulla valenza della luce poetica, che è, ancor prima, luce di vita. E il discorso scivolò piacevolmente sulle scaturigini della sua voce poetica, sull’ascolto delle voci interiori, sull’Angel amico suo Isman, compagno di vita e di cammino poetico-creativo. Mi parlò della sua antica amicizia con David Maria Turoldo, con Camillo de Piaz e poi, con intima, gioiosa tenerezza, del fecondo rapporto amicale con Erminia Lucchini, donna dotata di carismi straordinari cui facevano capo, pur nell’anonimato editoriale, i cinque libricini di mistiche esperienze di cui volle farmi dono, e anch’io ebbi modo di aprirgli il mio scrigno segreto personale, condividendo scambievolmente cose che il tacere è bello. La sua energia positiva emanava diffusamente dalla chiarezza con cui vedeva che ogni uomo ha come una missione da compiere, un apostolato da promuovere, e che ad esso ognuno è chiamato in una via totalmente personale ed esclusiva. Il poeta è particolarmente vocato a questa missione, perché la poesia è il momento in cui ci si congiunge con l’ignoto, con il mistero, con Dio. La natura stessa della poesia, secondo lui, è religiosa, perché essa, con il suo movimento d’amore, porta a un incessante avvicinamento a Dio attraverso la natura, l’uomo e le cose. Da qui una tensione etica che, con un forte afflato mistico, spinge il poeta in direzione degli uomini tutti, e in particolare verso i semplici, i sofferenti, i perseguitati, quelli che egli chiama sanfranzesch e  dustuieschi. Quelli dei quale e ai quali può parlare in versi, usando il suo personalissimo dialetto milanese, un milanese impuro e duro che gli permette di esprimersi in tutta verità di pensieri e di suoni.

Volle immergersi da solo tra l’erba e il verde del mio piccolo agrumeto e poco dopo lo vidi tornare, lentamente andando incontro al dorato sole pomeridiano, tra i filari perfettamente regolari piantati un tempo da mio padre, e tenendo le braccia accostate al petto e colme di limoni gialli; veniva verso di me con l’incedere solenne che si addice a un sacro rito di luce e con nel volto rugoso il sorriso aperto di un bambino.

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