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MEDITERRANEO di Gianluca Barbera: incontro con l’autore

giugno 19, 2021

“Mediterraneo” di Gianluca Barbera (Solferino): incontro con l’autore e un brano estratto dal libro

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Gianluca Barbera è nato a Reggio Emilia nel 1965 e vive a Siena. Ha lavorato per anni in campo editoriale e ha pubblicato racconti su riviste e in antologie oltre a diversi romanzi, tra cui ricordiamo Magellano (2018) e Marco Polo (2019), entrambi editi da Castelvecchi e vincitori di numerosi premi. Collabora con le pagine culturali de «il Giornale». Per Solferino ha pubblicato Il viaggio dei viaggi (2020).

Il nuovo romanzo di Gianluca Barbera, anche questo edito da Solferino, si intitola: Mediterraneo.

Abbiamo chiesto all’autore di parlarcene…

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«“Mediterraneo” è molte cose», ha detto Gianluca Barbera a Letteratitudine. «Un giallo, un mistery. Un padre va in cerca del figlio, misteriosamente scomparso. Un’ultima email da Creta, una richiesta di aiuto, poi il silenzio. Siamo ai giorni nostri. Ma, come si capirà, passato presente e futuro non sono poi così separati. Anzi… Il ritrovamento di un oggetto misterioso in fondo al mare, al largo di Capo Sunio, mette in moto un mondo segreto, pullulante, sibilante; fa crollare le barriere che separano le varie dimensioni…

È un romanzo che sottopone i personaggi a inesorabili prove, come non si vedeva da tempo. Una storia del Mediterraneo, delle civiltà fiorite lungo le sue sponde, luogo di incontro-scontro, crocevia di culture, mescolamento di idee. Personaggi e miti di oggi e di ieri: non vi farò i nomi, li scoprirete… Come ho messo insieme tutto questo? Ammetto di aver fatto ricorso alla bacchetta magica. Qualche amico scrittore che lo avuto tra le mani in anteprima ha scomodato “Il nome della rosa”, “Il Pendolo di Foucault”. Uno, bontà sua, “666” di Bolano. E perché non “Finzioni” e “L’Aleph” di Borges, allora? O Dante, visto che è un cammino, anche allegorico, dal buio a una qualche forma di conoscenza assoluta? Qualcuno lo ha fatto.
Fermiamoci qui. Una cosa è certa: protagonista assoluto è il mistero. Ogni pagina gronda di mistero, tra modernità e antichissimi riti e credenze. In fondo, se ci pensate bene, tutto è mistero. A partire da noi stessi. L’intera vita è un rebus. Ogni cosa che ci circonda. Chi siamo veramente? Siamo quello che facciamo? Quello che riteniamo di essere? Ciò che gli altri pensano di noi? O c’è di più? E chi sono gli altri? Perché esiste il mondo e perché è così? Siamo sicuri che sia proprio come lo percepiamo? Tempo e spazio sono reali o soltanto costruzioni della mente? C’è un punto di contatto tra al di là e al di qua? Un varco? C’è qualcosa che ci sfugge? Domande che si perdono nella notte dei tempi, ne converrete. Quanto alle risposte, non mi sono sottratto.
Se fossi un lettore e non l’autore, leggendolo credo che a un certo punto esclamerei: Ma che sta succedendo qui? Che mi sta accadendo? Dove diavolo mi state trasportando? Ho paura…
L’ultimo è veramente un capitolo che potrebbe appartenere a qualche testo metafisico. Come vedrete, nessuna elusione: il mistero che monta per tutto il romanzo è tanto reale quanto metafisico: entrambi troveranno una risposta che a me pare coraggiosa e solida. D’altri tempi, direi.
Non aggiungerò altro, per non guastarvi il piacere. Buon viaggio».

* * *

Il capitolo 3 di “Mediterraneo” di Gianluca Barbera (Solferino)

3
L’isola maledetta

«Il piacere è mio» fece lui.
Anthia era rossa di capelli e scura di carnagione. Occhi chiari, lentiggini ovunque, soprattutto su braccia e gambe. Il naso un po’ grosso e tondo.
«Interpreteranno Teseo e Arianna» aggiunse Helene.
Belisario scambiò con loro una stretta di mano, posando gli occhi su Anthia. Pochi sapevano che per il personaggio di Arianna aveva preso a modello sua figlia Giulia. Si era trattato, in qualche modo, di un omaggio alla sua memoria. Non aveva voluto farne un ritratto idealizzato. L’aveva raffigurata come la ricordava, nel bene e nel male. E questo la sua ex moglie non gliel’aveva perdonato.
«E loro sono Agnes, Alexios e Cosmas. In scena saranno Corine, Egeo e Minosse.»
Belisario dovette riconoscere che il sorriso di Agnes era spettacolare.
«Ci fa piacere conoscere il padre di Christian» disse Alexios. «Ci è stato di grande aiuto, sa?»
«Davvero?» fece lui.
«Peccato non sia potuto restare.»
Belisario non seppe che rispondere.
«Parla bene il greco» osservò Anthia.
«Grazie. Cosa prendete? Offro io.»
Al tavolino accanto quattro pope, osservandoli, si fecero il segno della croce. Ma forse non era un gesto rivolto a loro.
«Niente alcolici» fece Manolas dando un’occhiata all’orologio.
«Tra un paio d’ore si va in scena. Speriamo che con questo vento…»
«Sei ginger ale» disse Belisario al cameriere.
«Per me no» fece Manolas, richiamando il ragazzo. «Portami una spremuta di arancia.»
«Forse faremmo meglio a entrare» disse Helene.
Furono tutti d’accordo.
«Siamo onorati di interpretare la sua commedia» disse Anthia dopo che si furono sistemati all’interno del locale.
«La scelta di Teseo è un testo molto originale.»
«Trova?» sospirò Belisario. «A me pare invecchiato male.»
«Ὁ βίος βραχύς, ἡ δὲ τέχνη μακρή. La vita è breve, l’arte è lunga. Forse lei non conosce la situazione di questa città. Ma dovrei dire di quest’isola» fece serio Manolas.
Belisario scosse la testa: E come potrei?
«Ci creda o no, da queste parti il mito resiste, in negativo.»
«In che senso?»
«Vede, da mezzo secolo qui si combattono due clan. I Barkas, isolani, e gli Aggelopoulos, che provengono
dall’Attica. Come dire, Minoici e Cecropidi.»
«Ne sappiamo qualcosa anche noi, in Italia, di clan malavitosi, riferimenti mitologici a parte» fece Belisario
aggrottando le sopracciglia.
Il giovane sorrise. «Sì, ma qui le cose hanno una coloritura speciale. Dopo non poco spargimento di sangue,
circa una decina di anni fa i due clan hanno stretto un patto, una specie di trattato di non belligeranza.»
Belisario lo fissò.
«Gli uomini fanno progetti e gli dèi sorridono» disse, citando Shalev.
Lanciò un’occhiata a Helene, che attraverso i vetri guardava in direzione del mare. La bellezza, pensò, comincia dal silenzio.
«Dopo essersi spartiti il controllo del territorio» proseguì il giovane, sentendosi incoraggiato, «hanno per così dire mescolato il sangue.»
Arrivarono gli aperitivi. Belisario prese la fettina di arancia e ne addentò la polpa gettando nel piattino la scorza.
«Ogni primogenito viene affidato a una famiglia del clan rivale, che lo crescerà come fosse proprio. Il neonato viene consegnato al capo clan, cui spetta ogni decisione. I genitori naturali non sapranno mai che fine ha fatto.»
«Nell’antichità ci si scambiavano ostaggi, scelti tra i figli dei re e dell’aristocrazia» osservò Belisario, socchiudendo gli occhi.
«Vedo che ha capito.»
«Non è tutto» intervenne Anthia. «Ogni anno, il primo maschio che raggiunge la maggiore età viene consegnato al clan rivale, che avrà potere di vita e di morte sul ragazzo. Il più delle volte lo tiene in ostaggio… Sembra un’invenzione da romanzo, ma non lo è.»
«E la polizia?»
«Se ne lava le mani. Da voi non è così?»
«Pressappoco.»
«Un bel giorno» continuò Manolas «la figlia di un capo clan, Clio, si innamora di uno dei ragazzi tenuti in ostaggio, un certo Arsenios, più giovane di lei di un paio d’anni, e fuggono insieme. Giunti ad Atene il ragazzo si sbarazza di lei. A complicare le cose c’è il fatto che uno dei fratelli della ragazza, Aristis, pare avesse avuto un rapporto carnale con lei. Pazzo di gelosia, tenta di mettere i due innamorati l’uno contro l’altra, riuscendo solo ad attirarsi l’odio della sorella. Perde la testa e si getta sulle loro tracce. Una settimana dopo il padre lo ritrova in una stanza d’albergo della capitale, un colpo di rivoltella alla nuca. L’albergo stranamente ricorda un labirinto. Questo spaventa il padre. Sul comodino viene ritrovato un bigliettino su cui è scritto: Tutto si ripete. Chi lo ha lasciato? E cosa significano quelle parole? Non c’è tempo per le risposte. Il ragazzo non è morto. Resta in coma per settimane. Il padre è disposto a tutto pur di salvarlo. Consulta i migliori medici, senza badare a spese. Ricorre a mezzi leciti e illeciti. Si affida a un taumaturgo che ha scovato nel Mani. Dopo tre mesi di pratiche oscure il figlio esce dal coma, ma non è più lui. La mente è danneggiata. Non parla, non si muove. Una specie di automa; peggio: una statua. Al dramma della scomparsa della figlia si aggiunge quello per la condizione del figlio. E la faida tra i clan, messa da parte ogni regola, si fa totale, di una ferocia senza limiti.»
Belisario aggrottò la fronte.
«Mi ricorda qualcosa.»
«Già» fece il giovane. «Nella sua commedia sembrano esserci parecchi rimandi, anche se sottotraccia.»
«Nulla avviene mai per caso. In che modo il giovane si è sbarazzato di Clio, se posso chiedere?»
«Nessuno lo sa» fece Anthia. «È semplicemente scomparsa. Povera Clio.»
Belisario si limitò a scuotere il capo.
«Da anni i giornali» s’intromise Alexios «non fanno che paragonare la lotta tra le due famiglie a quella tra Teseo e Minosse, com’era prevedibile. Giocano con le parole, coi nomi, ci scherzano sopra, si lanciano in paragoni arditi, ben oltre la decenza. Insomma, ci vanno giù pesanti. Mettere in scena qui la sua commedia è un azzardo, le assicuro. Ma vale la pena. Da molti è vista come una provocazione. Specie dai Barkas, al cui clan apparteneva la ragazza scomparsa. Da queste parti basta pronunciare il nome di Minosse e tutti sanno di chi si sta parlando. È sufficiente la più piccola allusione al mito di Teseo per seminare il panico. La gente china lo sguardo. Senza contare che da tempo Manolas li provoca ogni volta che interviene in trasmissioni radiofoniche.»
Belisario emise un sospiro. Mai avrebbe pensato di trovarsi al centro di una faida.
«Come dice Aristotele, c’è un solo modo per evitare guai: non fare nulla, non dire nulla, non essere nulla.» E lanciò un’occhiata a Manolas, che gli strizzò l’occhio.
«Non se ne curi» disse questi. «Andrà tutto bene. Dobbiamo salutarla.» Si alzò, subito imitato dagli altri. «Si
goda lo spettacolo.»
«A dopo» fece Belisario alzandosi a sua volta e stringendo la mano a ciascuno.
«In bocca al lupo» disse Helene.
«Crepi» disse di rimando Cosmas.
Venti minuti dopo Helene e Belisario presero posto sulle gradinate e si accesero una sigaretta. Nell’attesa, sul palco andò in scena una pendozalis, ispirata alle movenze di Cureti e Coribanti che armati di scudi e lance, tra salti e piroette, cercavano di coprire il pianto di Zeus.
«Impressionante» fece lui. «Sono certo che sai perché mio figlio è partito così in fretta» aggiunse, fissandola negli occhi.
«Ti sbagli. Non ne so nulla.»
«Mi sembra poco credibile.»
«Guarda che tuo figlio non ha un carattere facile.»
«Lo so.»
«È molto riservato. Non si confida con nessuno.»
Belisario ammise di nuovo che era così.
«Godiamoci lo spettacolo» fece lei.
Il vento si era misteriosamente placato. Cnosso si accendeva di luci. Erano anni che Belisario non rileggeva quel testo né assisteva a una sua rappresentazione. Tirò fuori lo smartphone e lo cercò su Internet, ricordandosi di un sito nel quale era presente in greco, in versione gratuita. Era curioso di dargli una scorsa prima che iniziasse lo spettacolo. Magari lo avrebbe tenuto davanti mentre gli attori recitavano, per controllare le battute. Eccolo. In cima al testo c’era una sua vecchia foto, di quando i capelli erano ancora neri e folti.
Avvertì una stretta al cuore.
Quanto è facile perdersi, pensò socchiudendo gli occhi.

(Riproduzione riservata)

© Solferino

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La scheda del libro: “Mediterraneo” di Gianluca Barbera (Solferino)

“«La verità è che sto scappando. Qualcuno mi sta addosso.» È l’email inquietante che Giovanni Belisario riceve dal figlio Christian, da tempo lontano da casa e ora, a quanto pare, incappato in qualche guaio sull’isola di Creta. Nel messaggio c’è una richiesta di denaro, la promessa di ulteriori spiegazioni, insomma tutto ciò che serve per mettere in allarme un genitore e indurlo a partire. Ma arrivato in Grecia, Giovanni scopre che il giovane non è più lì. Forse è a Istanbul. Forse a Gerusalemme. In un viaggio scandito da messaggi vocali, indizi, incontri e incidenti, Belisario si immerge nel Mediterraneo, in ogni senso, mentre la caccia all’uomo si accompagna a una ricerca quasi filosofica sulle tracce di radici antiche. Su queste sponde infatti sembra di poterli incontrare tutti: da Arianna a Persefone, da Epicuro a Maometto… E anche la scomparsa di Christian appare legata a un oggetto molto particolare, capace di unire passato e futuro. Un oggetto che qualcuno sta cercando senza sosta e a qualsiasi costo. «Saremo anche rane che nuotano in uno stagno, ma quale stagno ha partorito così tante civiltà, così tante idee, così tanti mondi, e – perché no? – così tante guerre e tanti inganni?» riflette Belisario, intento alla sua Odissea di terra in terra e di porto in porto. Intrigante e colto, il nuovo libro di Gianluca Barbera riesce nella vertiginosa impresa di combinare avventura e romanzo filosofico, echi di spy story e tragedia classica, in un intreccio tanto appassionante quanto sorprendente.

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