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ROMANA PETRI racconta RUBARE LA NOTTE (Mondadori)

febbraio 22, 2023

Rubare la notte - Romana Petri - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine, ROMANA PETRI racconta il suo romanzo RUBARE LA NOTTE (Mondadori)

Tra i dodici candidati all’edizione 2023 del Premio Strega

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di Romana Petri

Mio padre Mario Petri, quando ero bambina mi leggeva, recitava e interpretava di tutto. Avveniva di sera, quando ero già a letto, e probabilmente con l’intento di farmi dormire. Ma dormire era impossibile perché, dopo tutto quel teatro, quando mi dava il bacio della buona notte e spegneva la luce, io di certo non ero pronta a dormire, bensì a rivisitare tutto quello che avevo appena ascoltato e visto. È così che ho ricevuto i primi rudimenti dei grandi classici latini e greci e della narrativa. Tra i tantissimi c’è stato anche Il Piccolo principe, questa fiaba criptata che più la leggi e più ti cambia volto davanti agli occhi. Credi di aver capito una cosa, ma alla successiva rilettura quel che ti sembrava di aver compreso si “rimisterizza”. Una fiaba che ha venduto 170 milioni di copie nel mondo, che è stata tradotta in 434 lingue e dialetti (ci sono dialetti che non hanno di scritto null’altro se non questa opera di Saint- Exupéry): come ha fatto questa fiaba dai temi così terribili, e dove alla fine il protagonista bambino muore, ad aver avuto tanto successo? La risposta è che in questa storia ci sono solo quesiti e non risposte e che per questa ragione è ipnotica, perché la grande letteratura non consola mai, inquieta, mette in uno stato di allarme, ti obbliga a trovare risposte e a rimangiartele la volta dopo. Lo dico con cognizione di causa perché come insegnante di lingua e letteratura francese ho fatto leggere la storia di questo bambino capriccioso e del suo compagno di viaggio, che altri non è se non lui stesso cresciuto, ogni anno per tanti anni. Perché il piccolo Principe abbandona il suo pianeta? Perché di tutta la Terra conosce solo il deserto?
Cosa lo uccide? Perché si uccide? Muore davvero? Chi ha voluto la sua morte? Se nel Pinocchio con i sensi di colpa Collodi aveva abbondato, qui si esagera. La fata Turchina fa trovare a Pinocchio la sua tomba, ma in realtà non è morta. La Rosa del piccolo Principe, invece, abbandonata nel suo pianeta, non più curata da lui (non più amata) di sicuro sarà già morta. È per questo che si fa uccidere dal serpente? E perché non impedisce al suo sé cresciuto (il pilota) di vedere la sua morte? È un teatrante o vuole mostrargli che l’infanzia, con tutte le sue contraddizioni e i tanti capricciosi errori, alla fine muore davvero? È forse il pilota ormai grande che crescendo lo obbliga a morire? E cosa vuol dire “sembrerò morto ma non sarà vero”? È una frase legata alla fede? O, essendo una fiaba, l’autore vuole comunque lasciare uno spiraglio di felice ricomposizione?

ROMANA PETRI racconta CUORE DI FURIA (Marsilio) | LetteratitudineNews

Ho scritto Rubare la notte perché nel corso della mia vita ho letto e riletto tutte le opere di questo immenso autore francese che in vita è stato celebrato dai più grandi autori del mondo e che poi, con la sua (misteriosa) morte è stato fagocitato solo da quel suo lascito, da quel testamento che è Il Piccolo Principe.
Sono opere di un valore letterario straordinario, nelle quali l’autore si mostra molto antesignano nel dare una trama, spesso di puro volo, a libri che si fa una certa fatica a definire romanzi veri e propri e che ciò nonostante, proprio come tali si leggono. Febbrilmente. Perché nel corso del tempo tutte queste magnifiche opere come Volo di notte, Pilota di guerra, Terra degli uomini, Lettera a un ostaggio, I taccuini, Cittadella e molti altri (da non dimenticare le Lettere alla madre) sono state praticamente dimenticate? E la sua rocambolesca vita, poteva limitarsi ad essere quella di chi aveva scritto una magnifica fiaba, aveva fatto il pilota, ed era poi misteriosamente morto durante una missione aerea durante la Seconda Guerra mondiale? La sua grandezza andava riportata alla luce e ho pensato che potessi farlo io per quanto lo avevo amato, per come ero riuscita ad ogni lettura a diventare questo scrittore-filosofo del volo, della vita nell’aria e mai (con la testa veramente mai) sulla terra. Ho capito che questo processo di immedesimazione poteva andare oltre. Dovevo rileggerlo tutto, ma in modo compulsivo, diventare lui e poi mettermi a scrivere un romanzo sulla sua vita come se a scriverlo fosse lui. Ho pensato i suoi pensieri, le sue emozioni, li ho espressi parlando con le persone che lo hanno circondato. Ho scritto dialoghi, pensando che lui avrebbe potuto parlare così, ho scritto lunghissime lettere a sua madre, le ho usate come un confessionale nel quale si rifugiavano tutte le sue paure, gli amori, questa ossessione di fuggire, di non essere trovato, questo suo amare le donne più da lontano che da vicino.
Compresa la sua adorata madre, sì, in questa fuga dal mondo c’era anche lei. Perché questo scrittore, che è stato definito da tutti l’uomo che rimpiangeva l’infanzia più di ogni altri, è andato ben oltre. Già da bambino, lui l’infanzia se la sentiva scivolare dalle mani, sapeva che ogni giorno era uno in meno di quel Paradiso destinato ad essere perduto, e quindi, al dunque, non è riuscito mai a godersela in pieno nemmeno quando c’era. La vedeva sfuggire, condurlo suo malgrado verso quell’età adulta che rifiutava. Ho voluto narrare e vivere sulla mia pelle i suoi travolgenti amori con le donne, delle quali non era mai sazio non per dongiovannismo, ma per ingordigia infantile. Il suo grande amore (grandissimo) per la moglie Consuelo, è stato gravemente minato da questo suo farsi ammaliare da qualsiasi fruscio di gonna. Un amore dunque sofferto da entrambe le parti perché lui sapeva amare veramente solo da lontano. Allora, a questa esotica moglie scriveva lettere di venti pagine, ma poi ne scriveva altrettante anche ad altre. E non ci capiva nulla nemmeno lui. L’unica cosa che gli è stata chiara fin da quando era un bambino è che voleva volare. Il volo per lui è stato più importante anche della scrittura. Ed è stato coerente, in fondo di volo ha sempre scritto. Amava ed era riamato da tutte le donne che incontrava, e lui alto e goffo come un bambino gigante, a volte si accontentava di farsi accarezzare suoi pochi capelli che gli erano rimasti, oppure era ingordo di attenzioni e le obbligava a stare sveglie tutta la notte per ascoltare quel che scriveva, o semplicemente perché della notte aveva paura. Perché era appartenuto a quella prima generazione di piloti che avevano cominciato a volare di notte, e in quegli anni i voli notturni era pericolosissimi, gli aerei venivano giù a grappoli, ma bisognava insistere, perché quel che l’aviazione guadagnava di giorno, rispetto ai treni e alle navi lo perdeva di notte. È stato così che Tonio ha imparato il vero significato del coraggio: non essere inutilmente ardimentosi, ma saper compiere il proprio dovere nonostante il pericolo.
Perché in fondo, come per il torero, la vestizione del pilota faceva più paura del decollo. Una volta lassù il problema era legato solo alla meccanica, si diventava pragmatici e i pericoli andavano semplicemente vissuti e affrontati. La magia, l’eroismo, venivano fuori solo dopo, a cose risolte. Questa virtù poco amata da Platone divenne per lui il simbolo dell’amore per la sua Francia che sentiva di dover salvare a tutti i costi dall’invasione nazista. Si domandava spesso: “Che strana guerra, come può un popolo di quaranta milioni di persone combattere contro uno che ne ha ottanta milioni?” Forse è morto proprio andando incontro a quella Francia smarrita durante una missione. O forse si è semplicemente sacrificato, nella speranza che la sua offerta avesse fatto di nuovo sorridere gli dèi e rivolgere ancora il loro benefico sguardo verso la sua Douce France?
Sono stata lui per tutto il tempo della scrittura, sto cercando di riprendere le mie sembianze, ma non è facile. L’ho fatto anche con Jack London, e ho imparato che dopo tanta identificazione, per tornare se stessi ci vuole sempre del tempo, ma che un pezzo di quei personaggi (quelli esistiti davvero e quelli che abbiamo del tutto inventato) continuerà a navigarci nei precordi per sempre.

(Riproduzione riservata)

© Romana Petri

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La scheda del libro: “Rubare la notte” di Romana Petri (Mondadori, 2023)

Rubare la notteTutti lo sanno: Antoine de Saint-Exupéry ha scritto Il piccolo principe, uno dei romanzi più popolari del mondo. Quello che tutti non sanno è che Antoine, famigliarmente Tonio, è un personaggio che vale da solo una grande storia. Ed è la storia che Romana Petri ha scritto con la febbre e la furia di chi si lascia catturare da un carattere e lo fa suo, anzi lo ruba, tanto che il documento prende più che spesso la forma dell’immaginazione.
Orfano di padre, Tonio vive un’infanzia felice nel castello di Saint-Maurice-de-Rémens, amato, celebrato, avviluppato al mostruoso quasi ossessivo amore per la madre; un’infanzia che gli resta incollata all’anima per tutta la vita, fin da quando, straziato, vede morire il fratello più giovane. L’infanzia lo tallona come un destino quando, esaltato, comincia a volare, pilota civile e pilota militare, quando si innamora tanto e tante volte, quando si trasferisce in America, quando scrive, persino quando si schiera e sceglie di combattere per un’idea di Francia che forse è sua e solo sua. Dove sia andato Tonio, non sappiamo, nei cieli in fiamme del 1944. Sappiamo che ci ha lasciato le stelle della notte, il sogno di una meraviglia che non si è mai consumata, il bambino che lui ci invita a riconoscere eterno dentro di noi.
Romana Petri costruisce e decostruisce, sgretola le regole della biografia, evoca e racconta amori, amicizie e sgomenti come dettagli di un appetito d’avventura mai sazio, si muove fra le date e dentro la Storia alla sola ricerca del principe che ha sconfitto la notte ed è entrato volando nell’infinito.

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Romana Petri vive a Roma. Tra le sue opere, Ovunque io sia (2008), Ti spiego (2010), Le serenate del Ciclone (2015, premio Super Mondello e Mondello Giovani), Il mio cane del Klondike (2017), Pranzi di famiglia (2019, premio The Bridge), Figlio del lupo (2020, premio Comisso e premio speciale Anna Maria Ortese-Rapallo), Cuore di furia (2020), La rappresentazione (2021) e Mostruosa maternità (2022). Traduttrice e critico, collabora con “Io Donna”, “La Stampa”, “il Venerdì di Repubblica” e il “Corriere della Sera”. I suoi romanzi sono tradotti in Inghilterra, Stati Uniti, Francia, Spagna, Serbia, Olanda, Germania e Portogallo (dove ha lungamente vissuto).

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