Home > Autoracconti d'Autore (gli autori raccontano i loro libri) > ANDREA TARABBIA racconta IL CONTINENTE BIANCO (Bollati Boringhieri)

ANDREA TARABBIA racconta IL CONTINENTE BIANCO (Bollati Boringhieri)

Maggio 8, 2023

Il continente bianco - Andrea Tarabbia - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine, ANDREA TARABBIA racconta il suo romanzo IL CONTINENTE BIANCO (Bollati Boringhieri)

Tra i dodici candidati all’edizione 2023 del Premio Strega

* * *

di Andrea Tarabbia

Ho cominciato a scrivere Il Continente bianco un giorno di molti anni fa – poteva essere il 2012 o il 2013: da qualche tempo avevo in testa l’idea di scrivere un romanzo sul neofascismo e di scriverlo, per così dire, dall’interno, mettendo un io narrante a contatto diretto con quegli ambienti. Avevo il titolo, qualche spunto narrativo e l’ambientazione – Roma. Avevo studiato e mi ero fatto un’idea di quello che volevo dire. Così, per qualche mese lavorai alla prima parte del libro, ambientando un certo numero di scene su un’ansa del Tevere. Ma qualcosa non tornava: mi sembrava, proprio mentre lo scrivevo, che fosse un libro posticcio, artificioso e poco vivo. Decisi comunque di portare a termine la parte, poi mi fermai, lasciai riposare il testo per qualche settimana e infine lo rilessi. Non mi ero sbagliato: aveva qualcosa di fasullo – le frasi, anche quando giravano bene, sembravano montate l’una sull’altra in laboratorio, i personaggi erano sbiaditi, didascalici, e le scene ne risentivano. Di quelle cinquanta pagine, o giù di lì, salvai due o tre frasi: le presi di peso dal romanzo, le aggiustai, le misi nelle prime pagine di un testo che, mentre procedevo poco convinto dentro questa prima versione del Continente bianco, mi stava invece fiorendo in mano – Il giardino delle mosche. Insomma, presi una scena ambientata al giorno d’oggi su un’ansa del Tevere e la portai indietro, negli anni Settanta del Novecento, sulle rive di un piccolo fiume poco fuori Šachty, un paesino di minatori dalle parti di Rostov sul Don. Improvvisamente, ciò che era posticcio tornava a suonarmi vivo, ciò che sembrava costruito in laboratorio ora fluiva.
https://64.media.tumblr.com/dfbaff18d67abb480806a1d291b77c0c/e662f88c366116c6-18/s500x750/c9052a5280e1834348d2722f0e05d9c2abe616b1.jpgIl giardino delle mosche uscì, poi vennero altri progetti: un libro sulla croce, uno su un principe musico e uxoricida, qualche curatela. Ma saltuariamente, in questi anni, certe cose che avevo pensato per Il Continente bianco, a partire dal titolo, riaffioravano: la figura storta e malinconica di un fascista obeso e mentecatto, che ragiona come un bambino a cui è stato fatto un torto; un cane feroce ma che conosce la fedeltà; un ragazzo bello come un Cristo, ma portatore di una parola violenta e sbagliata; i ponti sul Tevere a Testaccio e l’umanità che li frequenta; un luogo sotterraneo buio e pieno di simboli; una bambina; la città di Roma, bella ma funebre. Ripresi i vecchi appunti, rifeci certe letture, tornai in certi luoghi dove ero stato all’epoca del primo tentativo: provai insomma a vedere se questa storia, che continuava a ripresentarsi, a reclamare di essere scritta, poteva finalmente essere raccontata. Rispetto al primo tentativo, ora sapevo che ci doveva essere un ulteriore elemento: bisognava che, in qualche modo, il romanzo parlasse anche di scrittura (tutti i miei libri lo fanno, del resto), ma che lo facesse dal punto di vista del fallimento – voglio dire: scrivere un libro è un processo lungo e faticoso, che ci mette quotidianamente davanti alla possibilità del fallimento; io avevo provato a scrivere il Continente e lo avevo abortito; ora la storia mi si ripresentava davanti, ma non avevo idea di come scriverla: era evidente che avrei dovuto trovare il modo per mettere tutto questo nel romanzo.
Rilessi L’odore del sangue di Goffredo Parise – questo romanzo enorme, bellissimo e grezzo, non lavorato – ed ebbi una folgorazione: avrei potuto lavorarlo io. Ovviamente questo non voleva dire che lo avrei rieditato. Immaginai semplicemente di fare con un romanzo, ovvero con un’opera di finzione, quello che, mentre scrivevo gli altri miei libri, avevo fatto con i documenti, con i libri di storia, con i reportage: lo avrei tenuto come testo-base, come fatto documentale da cui partire per elaborare la mia storia. Certi snodi di trama dell’Odore del sangue avrebbero scandito la vicenda, e avrei approfittato di un fatto molto semplice: dei personaggi principali del suo romanzo, tra i quali ci sono Silvia, bellissima e perduta, e Filippo, suo marito, psicanalista e narratore, Parise non nomina mai quello centrale – un giovane neofascista che diventa l’amante di Silvia e la conduce alla perdizione – e quasi non ne racconta la vita. L’avrei fatto io: avrei dato un nome a questo ragazzo, che nel mio libro si chiama Marcello Croce, gli avrei dato una personalità (è bello come un Cristo, ma portatore di una parola violenta e sbagliata), una biografia (ha fondato e amministra un movimento neofascista, Il Continente bianco, che ha la sua sede nei sotterranei di uno strano bar in una zona mezza abbandonata a Testaccio), e ne avrei raccontato la storia, che si muove dentro una Roma periferica, quasi sempre nascosta dietro impalcature, mantovane, scavi ecc. (poiché il libro è ambientato oggi, ci sono ovunque i lavori del 110%: il mito della Roma eterna, così caro a Marcello e ai suoi, è vivo poiché la città cambia di continuo). Avrei insomma raccontato la storia di Marcello, di Silvia, di Filippo, riscrivendo alcuni momenti dell’Odore del sangue; ma avrei anche raccontato ciò che Parise non aveva voluto raccontare: la vita di Marcello e di coloro che fanno parte del suo movimento.
Dovevo solo trovare un narratore: un libro esiste solo quando ha una voce che lo racconta. Ecco, chi racconta questa storia doveva essere qualcuno che poteva entrare in contatto sia con la parte per così dire “privata” del romanzo (la vita coniugale di Silvia e Filippo) che con la parte “pubblica” (il gruppo di Marcello e le sue azioni); se vi ricordate, c’era anche da fare i conti con la questione dello scrivere, del fallimento. Ebbene: il narratore ha poco più di quarant’anni, fa lo scrittore, è in crisi perché non riesce a portare a termine un progetto, fa i conti con una fascinazione per le cose sbagliate, che hanno dato vita alle sue opere precedenti e… si chiama Andrea Tarabbia. Naturalmente, non sono io: è un Andrea Tarabbia di carta, qualcuno che pensa certe cose che mi è capitato di pensare e fa delle cose che non ho fatto e non farei mai, ma che, per così dire, gravita attorno ai temi e ai motivi che, da sempre, danno corpo alla mia riflessione sulla scrittura. Adesso avevo tutto, finalmente: scrissi il primo capitolo e mi sembrò funzionare – non era posticcio, anzi, aveva una sua eleganza, che strideva terribilmente con gli argomenti del libro ma che, mentre scrivevo, mi affascinava e mi metteva voglia di andare avanti.
Così, dopo molti anni e parecchi ripensamenti, è nato quel libro che si chiama, da sempre, Il Continente bianco.

(Riproduzione riservata)

© Andrea Tarabbia

* * *

La scheda del libro: “Il continente bianco” di Andrea Tarabbia (Bollati Boringhieri, 2022)

Il continente bianco - Andrea Tarabbia - copertinaVenticinque anni, bello come un Cristo e convinto che l’unica via per sopravvivere nel mondo sia un odio esercitato con calma e raziocinio, Marcello Croce è a capo di un movimento di estrema destra che annovera picchiatori, fanatici, ma anche teorici e figure dai tratti quasi metafisici – tutte accomunate dal fatto che, per loro, vivere è come trovarsi in guerra. Grazie anche alla connivenza con certi rappresentanti politici e alla condiscendenza con cui l’opinione pubblica, ormai, guarda a molti fenomeni legati al neofascismo, Croce porta avanti la sua idea di sovversione e, nel frattempo, frequenta Silvia, una donna della borghesia romana con la quale instaura un gioco di potere che li porterà alla perdizione.
La vicenda è ricostruita da un narratore misteriosamente attratto da Marcello e curioso di capire che cosa muova coloro che, oggi, credono in un’idea superata e violenta e la vogliono attuare. Ma c’è di più. La storia di Silvia e della sua caduta era già stata raccontata nello splendido romanzo, rimasto allo stato grezzo, che Goffredo Parise scrisse alla fine degli anni Settanta, L’odore del sangue. Il Continente bianco ne riprende temi e motivi, e sposta la vicenda ai giorni nostri, conservando nel rapporto morboso tra Silvia e Marcello la metafora potente del fascino che certe idee hanno esercitato, ed esercitano, sulla borghesia italiana.
Andrea Tarabbia, apprezzatissimo autore di Madrigale senza suono, vincitore del Premio Campiello 2019, scrive un romanzo sul potere, a volte funesto, che abbiamo sugli altri e ci regala uno straordinario ritratto di un gruppo di persone – e forse di un Paese – che danzano sull’abisso.

 * * *

Andrea Tarabbia è nato a Saronno nel 1978. Ha pubblicato, tra gli altri, Il demone a Beslan (Mondadori, 2011, poi Bollati Boringhieri, 2021), Il peso del legno (NN, 2018) e Madrigale senza suono (Bollati Boringhieri, 2019, Premio Campiello). Nel 2012 ha curato e tradotto Diavoleide di Michail Bulgakov per Voland, e nel 2021 ha selezionato e curato, per Il Saggiatore, l’antologia Racconti di demoni russi. Il suo libro più recente è Il Continente bianco (Bollati Boringhieri, 2022). Vive a Bologna.

 * * *

© Letteratitudine – www.letteratitudine.it

LetteratitudineBlog / LetteratitudineNews / LetteratitudineRadio / LetteratitudineVideo

Seguici su Facebook TwitterInstagram