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IL COLORE DELLA MELAGRANA di Anna Baar (Voland)

febbraio 12, 2024

Il colore della melagrana - Anna Baar - copertina“Il colore della melagrana” di Anna Baar (Voland – traduzione di Paola Del Zoppo)

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di Grazia Pulvirenti

È una partitura il romanzo “Il colore della melagrana” (Die Farbe des Granatapfels) di Anna Baar, magistralmente tradotto e commentato in una efficace postfazione (“La terra del padre e la terra della madre”) da Paola del Zoppo per i tipi di Voland. L’autrice, nata a Zagabria, ma attiva fra Vienna e Klagenfurt, insignita del massimo premio letterario austriaco, il “Großer Österreichischer Preis”, crea una partitura in una molteplicità di sensi: intanto per la strutturazione formale, in cui la sperimentazione linguistica fra tedesco, varianti austriache e croato, si dispiega nelle forme “della sonata e della fuga”, come precisa Del Zoppo. Il romanzo evoca la forma sonata nella contrapposizione dei temi, adopera il contrappunto, accenna a espedienti della fuga, specificamente nel tessere lo “sviluppo della voce narrante e del suo rapporto con il mondo e con Nada” (p. 283), evoca motivi musicali, che vanno dalla “Pathétique” a motivi di Chopin e Schubert.
Ed è anche una partitura nell’intreccio di un sostrato mitologico con le vicende di quella che apparentemente, ma solo apparentemente, è un’autofiction. La storia vissuta viene intessuta con il mito, evocata e orchestrata in un recupero memoriale di vicende private e mitologemi collettivi, in maniera tale da superare il limite della vicenda individuale e assurgere a una riflessione, che richiede al lettore di fermarsi e riflettere a sua volta, sulla guerra – non può esserci pace dopo nessuna guerra – sul rapporto fra generazioni, sullo spazio della solitudine e del suo superamento nel recupero del legame familiare. È questo il tema principale, il rapporto quello che Ana, Anuschka, figlia di madre dalmata e padre austriaco, intrattiene con la nonna Nada, ex-partigiana di Tito, nelle sue estati trascorse nella ex-Jugoslavia.
Ed è anche un romanzo di formazione, quella della giovane sospesa fra due culture, due civiltà, due linguaggi, il mondo maschile e femminile, il mondo claustrofobico della Mitteleuropa e quello dell’isola di Brac, aperto al mare. La dimensione liminare dell’esistenza di Ana viene rispecchiata nella ricerca linguistica che, stilisticamente, dà forma al romanzo, dispiegandosi in una fluidità di continui passaggi e superamenti. E assurge a costante metafora dell’esistenza umana, sia nella sua dimensione storica, che atemporale.
Anuschka compie un apprendistato fra la lingua della nonna e la lingua imparata in famiglia, il tedesco, che la nonna considera la “lingua degli assassini”, la lingua di quella guerra che ha ucciso la sorella e i compagni della donna impegnata nella lotta antifascista. Per contro, la lingua di Spalato è l’idioma materno, da cui emerge un passato che diviene una sorta di cornice meta-temporale di un riscatto dalle tragedie della storia. La stessa autrice definisce l’esperienza liminale fra le due lingue della protagonista come  “una metamorfosi misteriosa, un nuovo canto cui ci si univa per seguire le leggi di un modo diverso di pensare e sentire” (p. 166). Il conflitto linguistico è a sua volta cornice del conflitto culturale e identitario da cui muove la tensione drammatica del romanzo:

Come mi sentivo ogni volta, Anuschka, quando veniva a prenderti la mamma. Tu eri la mia bambina, la mia! Pensa: abbiamo festeggiato qui il tuo primo compleanno, laggiù, sotto l’oleandro. E lì, sul sentiero di pietre i tuoi primi passi, e lì, sulla veranda, la tua prima parola: Vidi Mjesec, ho detto, Guarda, la “luna”, e tu mi hai risposto “Metet” “La tua prima parola è stata Luna! (p. 45).

L’esperienza linguistica si fa drammatica a seguito della guerra degli anni Novanta, con la frattura fra serbo e croato, che diviene metafora dell’esperienza traumatica della disgregazione territoriale della vecchia Jugoslavia, e costringe la giovane protagonista a confrontarsi con la morte, accettandola e, come novella Persefone, superandola. Un’esperienza, come osserva Del Zoppo, che la nipote attraversa per sostenere il percorso conoscitivo ed emotivo della nonna, di accettazione come via verso “la libertà e la consapevolezza” (p. 281).

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La scheda del libro: Anna Baar, Il colore della melagrana, traduzione e postfazione di Paola Del Zoppo, Roma, Voland (Collana Amazzoni), 2023, pp. 285.

Il colore della melagrana - Anna Baar - copertina

Ana trascorre ogni estate su un’isola della Dalmazia affidata alle cure della nonna Nada, che ha vissuto la tragedia della guerra e dell’occupazione fascista, fuma una sigaretta dopo l’altra e proibisce alla nipote di parlare in tedesco: la lingua di suo padre, la lingua dell’Austria, dove la bambina passa il resto dell’anno. Due lingue, due luoghi, un padre assente, una nonna ammirata e temuta, il fantasma del secondo conflitto mondiale: tutto questo compone il tessuto di una narrazione potente e mai scontata, sostenuta da uno stile affilatissimo, in cui la piccola protagonista si rifugia nelle zone di intraducibilità che ogni lingua racchiude. Due lingue, due luoghi, un padre assente, una nonna ammirata e temuta, il fantasma del secondo conflitto mondiale: tutto questo compone il tessuto di una narrazione potente e mai scontata, sostenuta da uno stile affilatissimo, in cui la piccola protagonista si rifugia nelle zone di intraducibilità che ogni lingua racchiude.

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Anna Baar è nata a Zagabria nel 1973, dal 2012 pubblica racconti, saggi e poesie. Il colore della melagrana, uscito in patria nel 2015, è il suo primo romanzo, cui è seguito nel 2017 Als ob sie träumend gingen [Come se camminassero sognando], vincitore del Premio Theodor Körner. Nel 2022 ha ricevuto il Großer Österreichischer Staatspreis, il più alto riconoscimento in ambito culturale in Austria.

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Tra le pieghe delle storie”:
Tra le pieghe delle storie, tra gli anfratti di ciò che in genere scompare, ma che è pregno di significato.
Rubrica a cura di Grazia Pulvirenti.

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