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MELISSA, LA DONNA CHE CAMBIÒ LA STORIA – di Valter Binaghi (uno stralcio del libro)

gennaio 18, 2013

In esclusiva per Letteratitudine, un brano tratto da MELISSA, LA DONNA CHE CAMBIÒ LA STORIA – di Valter Binaghi
Newton Compton, 2012 – pagg. 315 – euro 9,90

[ Su tutto si staglia la figura epica di Melissa, in un testo che, senza scadere nella didascalia né in facili suggestioni commerciali, non si fa mancare l’avventura, il fascino dei luoghi, incursioni nella mistica pura con frequenti dialoghi filosofici, e si guadagna, non sappiamo con quanto gradimento dell’autore, la qualifica di “romanzo femminista” ]
Dalla recensione di Mauro Baldrati su Carmillaonline

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Il libro
Crotone, 509 a. C. Melissa, giovane allieva della scuola di Pitagora, si salva dall’eccidio dei pitagorici grazie a Liseo, appartenente al gruppo dei congiurati ma da sempre innamorato di lei. La ragazza però, di fronte al giovane che le dichiara il suo amore e la chiede in sposa, rifiuta di concedersi e solo con la violenza Liseo otterrà quel che vuole. Dopo quella violenza viene venduta come schiava a Cluvio, vecchio capo dei Sanniti. Al villaggio sannita, Cluvio le affida l’educazione dei figli e delle donne di casa. Melissa saprà dimostrarsi utile, conquistando in breve tempo la fiducia delle sue allieve. La sua presenza si rivelerà presto indispensabile: con la sola conoscenza dei numeri e della musica, Melissa guarirà Aris, il figlio di Cluvio, da un’intossicazione. Amata e rispettata dai Sanniti, otterrà la libertà e sposerà Aris, da cui avrà due figli. Il futuro avrà in serbo per lei molte avventure ma la metterà di fronte anche a tanti ostacoli. Melissa saprà affrontarli imponendosi sempre con la sua forte personalità in un mondo governato dagli uomini, e mostrando ­ alla sua epoca, ma anche alla nostra ­ come si possa vivere e progredire nella pacifica ricerca della sapienza.

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Estratto da: Melissa, la donna che cambiò la storia

di Valter Binaghi

© Newton Compton Editori

978-88-541-4314-2Due settimane, ecco quanto durò quella pace siglata così sbrigativamente. Giusto il tempo per i Sanniti di tirar su le capanne e i recinti per gli animali, oltre a seminare quel poco grano che avevano, sperando in un decente raccolto autunnale perché ora, da come si erano messe le cose, di commerciare coi Dauni non se ne parlava proprio.
La ricostruzione dell’accaduto non fu facile, perché mancava uno dei testimoni fondamentali. Comunque pare che uno dei Sanniti, Zoser, inseguendo una capra avesse oltrepassato il confine assegnato ai nuovi arrivati e che, proprio in quel boschetto di noccioli, fosse venuto a lite con un guardiano di porci, che vi pascolava le sue bestie. I due probabilmente se le diedero di santa ragione perché anche Zoser tornò al villaggio piuttosto malmesso, ma il porcaio ebbe sicuramente la peggio perché si prese una tale randellata in testa da rimanere scimunito a vita. Da quel giorno sorrideva a tutti, indistintamente, non pronunciò mai più una frase di senso compiuto e in qualsiasi situazione si trovasse si comportava come un bambino di tre anni. La moglie, inviperita, pretese un risarcimento che però sembrò ai Sanniti sproporzionato: trenta capi di bestiame, tra pecore e capre. Aris in persona scese al villaggio Daunio con dieci animali tra i migliori del gregge. I Dauni si tennero le bestie ma Ezer, il capo, disse che da quel momento in poi il patto d’amicizia era rotto e restituì la cintura avuta in dono.
In seguito si ebbero altre scaramucce sul confine, roba di poco conto e senza feriti gravi, ma la situazione non prometteva niente di buono e il Meddix temeva che i Dauni avrebbero chiesto rinforzi ai villaggi vicini per scatenare una guerra vera e propria.
Melissa era disgustata una volta di più dall’insipienza con cui gli uomini anteponevano un malinteso orgoglio al più grande valore della pace, che sola può garantire prosperità alla famiglia umana. Tuttavia non aveva risorse in quel momento per intervenire, tranne consigliare al marito di non spingere le cose verso un punto di non ritorno.
Ora che la loro dimora era stata eretta e resa il più confortevole possibile, divideva il suo tempo tra il telaio e lunghe passeggiate in collina, dove continuava a rimpolpare la sua riserva di erbe medicinali.
Un giorno, mentre girovagava sull’erta del colle accompagnata dalla sua Phillis, si accorse che la cagna fiutava qualcosa alla sua destra. Fece appena in tempo a voltarsi che la vide partire velocissima. Pensò che doveva essere stato un piccolo roditore, un coniglio o un porcospino ad attirare la sua attenzione, e continuò a raccogliere timo selvatico, certa che in breve tempo sarebbe ricomparsa con la preda in bocca o con lo scorno di una caccia infruttuosa. Ma non fu così. Trascorso un quarto d’ora, cominciò a preoccuparsi e camminò nella direzione in cui l’aveva vista andare. Al limitare del prato, c’era una parete rocciosa con qualche cespuglio alla base. Stava per procedere oltre, aggirando il costone, quando da uno di quei cespugli sbucò il muso di Phillis, che guaì nella sua direzione e poi sparì di nuovo.
Melissa si avvicinò e vide che in realtà il cespuglio celava una fenditura tra le rocce, abbastanza ampia perché un uomo potesse passarci a capo chino. La sua meraviglia aumentò quando vide che oltre la fenditura c’erano degli scalini scavati nella roccia, che scendevano in quello che doveva essere stato un luogo di ritrovo sotterraneo. Tuttavia non si fidò ad affrontare quel buio assoluto e richiamò Phillis, che la seguì scodinzolando.
Tornò il giorno dopo con una torcia.
Una decina di gradini scendevano in un cunicolo che bisognava percorrere a capo chino, ma terminava in un’ampia caverna, in cui avrebbero potuto comodamente prendere posto cinquanta uomini di alta statura. Il clima era perfettamente asciutto, e il suolo roccioso era stato cosparso ad arte da uno strato di ghiaia. Le pareti della caverna presentavano ampie decorazioni di tipo geometrico, in cui ossessivamente ritornavano i simboli della spirale e del labirinto. In una delle pareti era stata scavata una nicchia, dentro la quale si trovava una statua rozzamente scolpita, di evidente ispirazione femminile, visti gli enormi seni e il ventre prominente, mentre il volto era rimasto privo di lineamenti, indefinito. Non c’era traccia di altare, né ossa di animali sacrificati. In compenso, ai piedi della statua c’erano molte conchiglie di diversa forma e dimensione, forse doni votivi alla divinità: la Madre, cui si chiedeva di favorire le gravidanze umane e di ripopolare i boschi di selvaggina.
Ricordando ciò che era accaduto mesi prima in quell’edificio sannita dove si sgozzavano gli agnelli, Melissa stese la mano con timore, per toccare la statua, e chiuse gli occhi. Quel che udì non furono gemiti strazianti, piuttosto qualcosa di simile a un canto. Una nenia ondeggiante, monotona, come quelle con cui si cullano i bimbi per invogliarli al sonno, ma anche quelle con cui si piangono i morti. Molte voci, e molte femminili.
Dalla rozzezza della scultura e delle incisioni nella pietra Melissa pensò che quel santuario dedicato alla dea fosse stato frequentato in tempi remoti, e probabilmente abbandonato ben prima che i Dauni giungessero in questi luoghi. Ma ciò che maggiormente le dava da pensare era il simbolo onnipresente del labirinto, che non poteva non ricordarle una delle più famose leggende del suo popolo.

(Riproduzione riservata)

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Le prime pagine del libro…

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Il booktrailer del libro

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Valter BinaghiValter Binaghi è nato in provincia di Milano, dove risiede con la moglie, due figli e una gatta.

Insegna Storia e Filosofia in un Liceo Scientifico.

Come narratore ha pubblicato numerosi romanzi di successo.

© Letteratitudine

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