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CALCIO E ACCIAIO, di Gordiano Lupi (intervista all’autore)

marzo 1, 2014

CALCIO E ACCIAIO. Dimenticare Piombino, di Gordiano Lupi (Acar edizioni). Ieri abbiamo pubblicato un capitolo del libro

di Massimo Maugeri

Nel suo nuovo romanzo, “Calcio e acciaio. Dimenticare Piombino” (Acar edizioni), Gordiano Lupi traccia l’affresco di un luogo che conosce benissimo mettendo insieme alcuni degli elementi caratterizzanti di quel territorio: l’acciaio dell’industria siderurgica e il sogno del gioco del calcio. E il sogno mancato di Giovanni, ex calciatore di scarsa fortuna, si incrocia oggi con la speranza di Tarik, un giovane marocchino approdato in Toscana a bordo di una imbarcazione strampalata e che sui campi di calcio cerca il suo riscatto. Ne parliamo con l’autore…

– Gordiano, partiamo agganciandoci al titolo del libro. In che modo “Calcio e acciaio” hanno interagito in una realtà come quella della Piombino che racconti? Potrebbero essere considerati, calcio e acciao, come due opportunità per farcela? E fino a che punto?
Il calcio è stato parte della mia vita. Non è obbligatorio saperlo, ma sono stato nel mondo del calcio per 23 anni (da 16 a 39). Ho giocato nelle giovanili e ho fatto l’arbitro di calcio, raggiungendo la serie C1, con alcune apparizioni in A e B come Quarto Uomo. Condivido la regola base della scrittura creativa: si deve parlare solo di cose che si conoscono. Ambientare una storia nel mondo del calcio credo che mi riesca facile, tra l’altro l’avevo già fatto ne “Il ragazzo del Cobre“, storia di un ragazzino brasiliano che si riscatta grazie al foootball. L’acciaio, invece, è Piombino, il suo simbolo, l’identità di una provincia siderurgica che scandisce il passare dei giorni al suono della sirena, secondo i turni incessanti dello stabilimento. La vocazione siderurgica di Piombino proviene dagli etruschi, gioia e dolore di questa terra, perché la crisi dell’industria significa crisi della città. Pure il calcio in questa piccola provincia maremmana ha avuto momenti di gloria, sempre grazie all’industria, quando negli anni Cinquanta la squadra locale calcò i palcoscenici della serie B, a un passo dalla serie nazionale, e sconfisse persino la Roma per tre reti a uno, in una partita rimasta nella leggenda, che a Piombino si tramanda di padre in figlio.

– Come è cambiata Piombino nell’arco temporale a cui il romanzo fa riferimento?
Il romanzo avrebbe l’aspirazione di sviluppare un racconto sociale. Piombino significa provincia e lavoro operaio. Si racconta la crisi dell’industria e l’amore di un vecchio calciatore per la sua terra. Nostalgia, saudade, malinconia, ma anche voglia di dedicarsi a un progetto per farlo rifiorire. Il romanzo narra una storia d’integrazione razziale, paragonando la storia del nostri vecchi in cerca di fortuna verso l’America a quella dei nordafricani che trovano rifugio nella nostra terra. Il cambiamento di Piombino segue il modificarsi della nostra realtà economica, in una situazione dove l’acciaio – vecchia ricchezza di questa terra – non è più così importante.

– Sullo sfondo del gioco del calcio, si dipanano le vite dei protagonisti del romanzo. Vite di ieri e vite di oggi. Il calcio, a tuo avviso, può essere considerato come metafora della vita?
Certo, il calcio è metafora della vita, perché l’impegno profuso sul campo e in allenamento di solito porta risultati concreti, ma è anche vero che senza un pizzico di fortuna e molta ambizione certi risultati non arriveranno mai. Il gioco del calcio è la scenografia del romanzo, ma non è importante in sé. Giovanni avrebbe potuto essere un rugbysta o un giocatore di basket, la cosa non cambierebbe. Lo sport è importante, come momento di solidarietà e d’integrazione.

– Parlaci di Giovanni, il protagonista del romanzo. Che tipo d’uomo è?
Giovanni è un calciatore che dopo aver passato anni nelle serie nazionali e aver vissuto un rapido declino in serie C, ha deciso di tornare a casa, prima come calciatore e dopo come allenatore, perché ha capito che non può stare lontano dalla sua terra, che non può tagliare le sue radici. La storia di Giovanni è segnata da due amori perduti – in questo senso la storia è anche un romanzo d’amore – che tornano ad affacciarsi al presente, ma anche da un amore contrastato che potrebbe cambiare la sua vita. Inoltre c’è la figura del padre, importante come un baluardo del suo divenire, un esempio e un sostegno, persino nell’assenza. Giovanni ricorda in parte la figura di Aldo Agroppi, ma non è lui, chiaro, è un personaggio di fantasia, che tra l’altro nel romanzo interagisce con Agroppi, Vieri, Sonetti e altri piombinesi che hanno fatto strada nel mondo del calcio. Nella storia c’è anche un arbitro di calcio, amico del protagonista, ma pure quel personaggio non è autobiografico, anche se presenta elementi che riguardano la mia vita.

– Un altro personaggio chiave del romanzo è Tarik: un giovane marocchino approdato in Toscana a bordo di una imbarcazione strampalata. Cosa puoi dirci di Tarik? E cosa rappresenta il calcio per lui?
Tarik è l’emigrante di talento che grazie al calcio cambia vita e finisce per integrarsi in una comunità spesso diffidente. Non svelo il finale, però, che è la sorpresa della storia. Il calcio rappresenta per lui una rivincita sul destino, un modo per farcela, un’ancora di salvezza.

– Il romanzo contiene anche diverse fotografie. In che modo le immagini che hai scelto integrano il testo narrativo?
Le immagini sono fotografie originali che abbiamo scelto insieme a mio fratello Riccardo (il fotografo della storia) e rappresentano una sorta di backstage dell’azione scenica, un po’ come faceva Ingmar Bergman quando girava i suoi film. Sono in luoghi frequentati dal vecchio calciatore, i posti che il protagonista elegge a simbolo di un ritorno.

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