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MARIO DI CARO racconta LA CAPITANA DELL’ISOLA DI NESSUNO

dicembre 4, 2015

Mario Di CaroMARIO DI CARO racconta il suo romanzo LA CAPITANA DELL’ISOLA DI NESSUNO (Mursia)

(a seguire, le prime pagine del libro – leggi la recensione di Emanuela E. Abbadessa su “la Repubblica”)

di Mario Di Caro

Può un uomo guardare il mondo con gli occhi di una donna? Difficile, magari può provare a spiare il mondo delle donne, assai più magico, e provare ad ascoltarne il respiro, a riconoscerne i sentimenti, a rispettarne i codici, ad assecondarne le sensibilità. E allora per costruire un personaggio con una centralità assoluta come la Carmen de “La capitana dell’isola di nessuno”, appena pubblicato da Mursia, ho formato un mosaico di donne, ho sovrapposto archetipi, partendo da un paio di riferimenti precisi: la Carmen di Merimee e Bizet, di cui la mia Carmen spero possa essere considerata una sorella minore, una cuginetta che ha ereditato la sua voglia di libertà, la sua capacità di trascinare. Magari senza bisogno di trasformare un soldato in contrabbandiere ma in grado di minacciare con un forchettone da cucina i suoi estorsori o di scatenare il suo samba di piacere tutte le volte che ne ha voglia. E qui entra in gioco la musica sottintesa del racconto, la colonna sonora che ho avuto nelle orecchie mentre scrivevo: la Habanera di Carmen, certo, ovvero il manifesto dell’amore libero, ma soprattutto la “Garota de Ipanema”, ovvero quel miracolo di grazia che cammina ancheggiando e che è capace di fare sorridere il mondo al suo passaggio.
La capitana dell'isola di nessunoEccola, allora Carmen, bella, forte seduttrice, mezza fata e mezza strega, una capace di cucinare le melanzane in 24 modi diversi, una che quando torna nella sua isola dopo vent’anni di assenza di colpo quieta la risacca, zittisce i gabbiani e ammorbidisce la morsa del sole. Troppo per una comunità che resta maschile e invidiosa. Ed ecco l’altra domanda centrale. Quanto è sopportabile, allora, in un mondo di ominicchi e caporali, una capitana promossa sul campo dai compagni della vigna che si sono visti difesi da lei, una preda di appetiti sessuali che si fa cacciatrice, una donna risoluta che rianima l’economia di una piccola isola e che caccia a maleparole gli estorsori dalla sua Bottega? Quanto da’ fastidio una donna che si ribella, che dice no al pizzo, che ha successo, che attira benevolenze dalla su gente come dagli elementi naturali?
Tanto, evidentemente, se il prezzo della libertà diventa un ammasso di cenere fumante.
Ho pensato allora a come potrebbe reagire una donna di questo tipo alla paura, ho pensato alle peripezie di Teresa Batista, l’eroina di Jorge Amado, e al contesto, semplice ma comunque inquinato, di una piccola isola siciliana che scopre improvvisamente il germe del benessere e le sue tentazioni. Da quali fantasmi e’ visitata la notte di una donna minacciata? Quanto pesa la solitudine di chi  ha scelto l’indipendenza?
Infine il luogo, altro mosaico, una spiaggia di sabbia nera, un vulcano, odore di capperi, grotte marine, faraglioni e uno scoglio traditore. Un luogo ideale per raccontare una fiaba e chiamare  a raccolta i capricci dei venti e leggende remote che ancora abitano nelle grotte.

(Riproduzione riservata)

© Mario Di Caro

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Le prime pagine di LA CAPITANA DELL’ISOLA DI NESSUNO (Mursia) di Mario Di Caro

I

Quando riapparve sulla banchina come un presagio
di luna, fu chiaro a tutti che il tempo trascorso non si
era accanito: donna Carmen aveva ancora l’anima irrequieta
e la stessa voce di moscato e tabacco.
Erano passati così tanti anni che il sole sembrava
essersi intenerito, al punto che appena la riconobbe
volle ripararsi dietro la montagna per addolcire l’arsura.
La risacca, che a quell’ora s’intestardiva sempre ad
arruffare il mare, si quietò di botto, i gabbiani smisero
di gridare e tutto il porto si profumò di gelsomino:
adesso la sua storia poteva ricominciare un’altra volta.
Fu allora che il suo canto risuonò come un richiamo
del tramonto: cantava una melodia che invitava ad
assaporare la luce morbida del pomeriggio e l’aria rinfrescata
di colpo. Forse fu proprio lei a chiamare il respiro
di una brezza dolce che avvolse quella manciata
di case bianche come un segno di buona ventura.
Sulla banchina del porto trovò ad aspettarla tutti
gli amici di una vita, tutti i suoi figliocci, tutti i volti
che componevano il mosaico della sua isola. Rivide le
stesse facce di terra e di salsedine, solo un po’ più
stanche di come le aveva conservate la sua memoria.
Ritrovò, intatto, lo stesso presepe di barche a secco,
pescatori e rocce nere.
I capitani dei pescherecci l’accolsero portandole
cestini di pesce fresco e i venditori ambulanti depositarono
ai suoi piedi vassoi di cocco e pannocchie fumanti,
come se avessero ritrovato la loro patrona perduta:
dall’isola, in genere, si fuggiva, e quando si tornava
era sempre festa grande.
Le donne si affacciarono alle finestre sbracciandosi
per salutarla, i ragazzini corsero a chiamare i bottegai
che smisero di lavorare per unirsi alla folla e tutti
quanti la trascinarono verso il corso per mostrarla all’intero
paese come un trofeo.
Un tamburinaio riempì la strada di un frastuono
giocoso e una bambina bruna con le trecce lunghe
iniziò a ballare attorno a lei; arrivò la banda che sparse
il fragore delle trombe, dai balconi piovvero petali
di pomelie e qualcuno, vedendola passare, si fece il
segno della croce ringraziando il cielo.
Il tempo del viaggio era finito: donna Carmen era
tornata e stavolta per sempre. E tutti sapevano perché.
«Sempre testa dura è. La Madonna l’aiuta», mormorò
uno dei paesani mentre tutti l’accompagnavano
a casa in corteo.
«Se non fosse stato per lei…»
«Chissà se ha ancora la forza di combattere, santa
donna.»
«E chissà se ha ancora voglia di cantare.»
Quando donna Carmen cantava le sue melodie
nella lingua degli anziani emetteva suoni pastosi che
carezzavano l’orecchio e che, per una misteriosa ma-
gia, innescavano un impulso capace di incendiare i
piedi al quale era impossibile resistere: lo si poteva
solo assecondare mettendosi a ballare.
Donna Carmen ormai aveva più di cinquant’anni e
possedeva curve assai prosperose, lontane dal corpo
di pantera di tanto tempo prima, ma, per effetto della
stessa magia, tirava fuori la grazia di una ballerina
quando ancheggiava per accompagnare la malìa ruffiana
dei ritornelli. Aveva ballato per la luna, da ragazza,
quando le sue cosce erano tornite, per suggellare
le promesse più solenni.
Le sue canzoni impastate di dialetto sembravano
arrivare da un mare lontano, umide di pianto e di sale,
e restituivano memorie di quaranta e cinquant’anni
prima. E il sapore delle sue polpette di melanzane
riempiva il palato con una forza seduttrice.
«È fatta vecchia ma è sempre bella», osservò una
comare lungo il tragitto che dal porto arrivava a Punta
Grecale.
«Quand’era ragazza spaccava le balate
«Me la ricordo ancora quando scendeva in piazza:
ci volevano occhi per guardarla.»
«Sembrava che camminava a tempo di musica. Faceva
venire il cuore pure alle pietre.»
«Disgraziato suo padre.»

(Riproduzione riservata)

© Mursia

 

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La scheda del libro

La Capitana è tornata sull’isola. E ha una storia da raccontare: la sua. Perché prima di essere la Capitana lei era solo Carmen, una donna bella, indipendente, sensuale, capace di far nascere nella “Bottega delle melanzane” piatti prelibati i cui profumi si trasformano nella promessa di una vita migliore per tutti e di riscatto dalla miseria e dai soprusi. La “Bottega” diventa il luogo del futuro possibile da cui si alzano venti benevoli che sanno di salmastro e di cannella. Troppo bello per durare a lungo. Fiamme nere del malaffare avvolgono la speranza e Carmen deve scegliere: piegarsi o lottare. Anche contro i fantasmi che arrivano dal suo passato. Una favola nera, magica e crudele.

Mario Di Caro è giornalista di Repubblica. Ha vinto l’edizione 2014 del Premio Martoglio per il giornalismo.

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