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Uno scrittore allo specchio: ELSA MORANTE

dicembre 3, 2015

Uno scrittore allo specchio: ELSA MORANTE

In collegamento con il forum di Letteratitudine: Omaggio a Elsa Morante (in occasione della ricorrenza del trentesimo anniversario della morte della scrittrice)

di Simona Lo Iacono

Era Alberto ad amare gli specchi, a riflettersi facendo le smorfie, mentre si rasava senza sbavature e schiaffeggiava la pelle con un dopobarba fresco, al sapore di menta.
Io li evitavo coscienziosamente, soprattutto al mattino presto, quando la notte mi lasciava addosso quella stanchezza da sogni in eccesso.
Troppo dolore vedersi lì, senza difese.
Una donna al mattino è sempre troppo vera, e quindi sempre troppo fragile – gli dicevo. Non ha un filo di rossetto a imbarazzare gli sguardi, né ombretti che smussino le lacrime. E non c’è cipria capace di colmare il pallore di una delusione, o mascara che ispessisca le ciglia, allestendo una santa protezione contro il giudizio. No, non c’è nulla di tutto questo, Alberto – gli dicevo – e, invece, avrei fatto meglio a tacere, perché in quel modo gli consegnavo la mia arrendevolezza.
E, infatti, le scenate peggiori erano al mattino presto, quando non riuscivo ad evitare di essere sincera.
Era facile per Alberto entrare nelle mie barricate già sventrate, in quella mia città senza assedio, in quel mio esercito fuggevole e malmesso.
Sei una donna senza artifici, diceva.
Ma si sbagliava, perché il mio vero artificio erano le parole.
Così, quando usciva con quel suo passo danzante – le sopracciglia sempre troppo aggrottate e ferine, amara la bocca anche quando rideva – io prendevo possesso del mio sommo artificio e, parola dopo parola, riconquistavo il campo perduto.
Scrivevo sempre per rivolta, all’inizio, e con il gusto di infrangere un limite sacro. Scagliavo frecce, non frasi, e aguzzavo le punte estraendole, una ad una, dalla faretra di un soldato esperto. Non facevo fatica a versare il cuore, a svernare sulla cima di un segreto inaccessibile, a trovare casa tra le nicchie dei libri.
Ma quasi mai trovavo la pace.
Infatti, dopo, vedermi lì, sulla pagina, era come avere eretto un monumento ai caduti, mentre io non cercavo la morte, ma la vita, e questo chiedevo alla letteratura: non che urlasse una canzone di epilogo, ma che mi rendesse ciò a cui, vivendo, abdicavo attimo dopo attimo. La realtà.
Ci sono voluti anni di esercizio sulle parole per dare alla mia scrittura quel compito ingrato che le avevo assegnato fin dall’inizio.
Solo alla fine, quando tutto era andato perduto, gli anni, gli amori, le glorie letterarie, ho capito.
Ma era già tutto finito. Il matrimonio con Alberto, dal quale non ho mai voluto divorziare, la relazione breve e burrascosa con Luchino Visconti, il legame con l’amico Pasolini, freddato in un agguato misterioso. Anche il pittore Bill Morrow mi aveva lasciata, morendo dal precipizio di un grattacielo. Una serie di abbandoni e di lutti che conteggiavo senza altro conforto che la presenza dei miei gatti.
Ne avevo a decine, ed ora che mi avvicinavo alla morte, ne aggiungevo uno ad ogni giorno di calendario, come se la santità che gli egizi attribuivano ai felini, servisse ad anticipare il mistero dell’oltremondo.
Quando accadde, ero stanca.
Sul comodino pochi libri, tra i più cari di Alberto e di Pierpaolo. Cocci di scodelle per tutta la stanza, affinché i gatti non patissero la sete né la paura. Qualche fiore in un vaso e dei lumini accesi davanti alle fotografie di famiglia, ché novembre – si sa – è il mese dei morti. Era il 25 e batteva una pioggia lieve e senza tristezza. Il Dio dei Padri mi usava misericordia e lacrimava gocce di alba e di perdono. Quanto lo avevo cercato, e quante volte mi era sfuggito. Ma ora no, era lì a ricordarmi che, se si muore scrivendo, non si muore davvero.
Fu più che una promessa: presa la penna, ero già tra le sue braccia. Non più parole a ballarmi davanti, nè specchi evitati per paura di riconoscersi. E neanche uomini troppo avidi di sè, o amanti senza il coraggio di decidere.
Io sola, Elsa Morante, avanzavo con la lentezza di una vecchia indovina. Ai lati – sfavillanti – angeli le cui ali erano pagine di libri.

[Articolo pubblicato sul quotidiano “La Sicilia”]

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