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IERI HA CHIAMATO CLAIRE MOREN di Giuseppe Aloe

febbraio 25, 2019

IERI HA CHIAMATO CLAIRE MOREN di Giuseppe Aloe (Giulio Perrone editore)

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di Maria Zappia

E’ al contempo nitida e raffinata la scrittura di Giuseppe Aloe, con personaggi che manifestano tutte le diverse pulsioni emozionali delle quali è capace l’animo umano modulati secondo trame precise e rigorose che conducono il lettore talvolta in spazi onirici e talvolta in sconfinamenti surreali, senza tuttavia annoiare e soprattutto senza cadere nelle banalità di certa narrativa contemporanea che ben poco ha di letterario ma che è prodotta esclusivamente per finalità di mercato. Uno stile fortemente introspettivo dove compaiono immagini di intuitiva derivazione freudiana: isole, maree, arcipelaghi, grattacieli, oggetti astratti, pozzi neri, treni, appartamenti vuoti, parcheggi, figure-guida.

Nell’ultimo romanzo edito da Giulio Perrone dal titolo “Ieri ha chiamato Claire Moren” il protagonista dopo aver scontato ben diciotto anni di carcere per l’omicidio di una sua ex amante decide di rifugiarsi in una luogo isolato, all’interno di uno spazio difficilmente raggiungibile. Sceglie un’isola, – un non luogo –  dove incontra uno strano personaggio, anch’egli in fuga dal passato e con una strana scritta in faccia – Gagliardi -, l’alter ego dello stesso protagonista, animato da una pari necessità di chiudere i conti col  passato. Comincia così un percorso narrativo, che per richiami simbolici ad oggetti e luoghi sembra appartenere al giapponese Murakami, che condurrà l’uno a scoprire il vero assassino della donna amata e l’altro a ritrovare il pericoloso criminale e raggiungere lo scopo della propria esistenza. Il paesaggio, sempre più spazio mentale,  calma le ansie come la marea che attornia l’isola  e il senso del tempo si scompone e ricompone secondo i desideri dell’uomo che anela all’estate con i suoi “capitomboli”. E’ dunque un estremo bisogno di verità, non raro in letteratura, a costituire il nucleo dell’intera narrazione. La trama del romanzo pur imperniata attorno ad un delitto, ruota in realtà attorno ad un dramma esistenziale: quello dell’individuo che solo apparentemente sceglie di vivere in un certo modo mentre in realtà si trova al centro di desideri e azioni che altri pongono in essere in suo pregiudizio. Esaurito il periodo di pena e raggiunta la libertà, l’io narrante ha un unico scopo: la ricerca, il mettersi per strada e capire le ragioni di una dura ed ingiusta condanna. E l’andirivieni dell’uomo -senza nome- perché l’autore si beffa del lettore omettendo di fornire nome e cognome del personaggio al quale, per una sorta di contrappasso, attribuisce una funzione rilevantissima nella storia, appassiona senza alcuna nota di stanchezza, e manifesta lo scopo definitivo della narrazione. Si scrive per rappresentare sé stessi, in un supremo delirio narcisistico che grazie ai social pervade anche la letteratura,  ovvero si scrive per rappresentare la realtà? Ebbene Aloe, che non è certo un esordiente e che dissemina le pagine di citazioni colte e di richiami filosofici, e che – in “Ieri ha chiamato Claire Moren” – a solo titolo di esempio, osa rappresentare Anchise sulle spalle di Enea, scrive per mostrare un dramma interiore, uno snodo doloroso dell’esistenza affidando alla pagina scritta una funzione riequilibratrice e risanatrice di torti atavici. E così quando al termine del romanzo balza agli occhi del lettore il dissidio tra due fratelli, reminiscenza della biblica rivalità tra Caino – contadino e produttore di beni, e Abele, – allevatore di agnelli – il brillante ed inusuale escamotage dell’autore, è quello di sedersi e scrivere senza mostrare vendetta e senza perpetuare rancori.

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Estratti del romanzo

Layout 1

 

“Trappole, tagliole, pozzi neri, imboscate. Queste erano le mie parole. Quelle che conoscevo meglio per averle ripetute così tanto, da sentirle addolcirsi. Morbide come il cuscino su cui tieni la testa. Parole che perdevano il lato tenebroso. Che miracolosamente diventavano amabili. Eppure non è stato così, pensai. Non era per niente così. Sono stato incastrato dalle parole, mi dissi. Tutti siamo incastrati dalle parole. Durante gli anni di prigione stilavo lunghi elenchi di parole comuni: sedia, casa, aratro, capra, disegno, amore, ditta, cartello, aria, fegato. Cose del genere. Pole le numeravo secondo gli anni. E a distanza di tempo le riprendevo. Appena ne leggevo il nome mi accorgevo che la mia idea di quella parola era cambiata. L’aratro non era più un aratro, ma un’astrazione come un racconto biblico. Anche la capra aveva perso il suo senso. Stava nella mia cella a forma di macchia sul muro. Avevano smarrito il senso comune. Parole come vuoti a perdere. Anche la parola donna, dopo i primi anni non si coniugava più con desiderio, amore, lotta, o sesso. Era solo lo specchio di una lontananza irraggiungibile, e quindi non significava più niente. È questo che fa il carcere, mi dicevo, ti toglie le parole di bocca. Le chiude nell’esofago. Le fa indietreggiare verso il diaframma. Tanto, che tu le dica o meno, non hanno più lo stesso colore di prima. Sono pallide. Inespressive.

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“A questo punto avevo bisogno della mia isola. Di quell’aria senza ostacoli che rimaneggiava i pensieri e li lasciava come asciutti. Pensieri asciutti come camicie lasciate al sole. Dovevo ricostruire la trama. Rivedere i rapporti. Cogliere le relazioni fra ogni azione e i suoi difetti. I difetti delle azioni, mi dissi. Sempre così palesemente nascosti. Il deragliamento che lascia morti e feriti. Per questo presi il battello delle cinque di pomeriggio. Anche il mare sembrava un pendio. Una specie di discesa che facilitava le cose e le complicava allo stesso tempo. Mi ero seduto n fondo. Vedevo la terra allontanarsi. Mi dicevo che dovevo mettere fine a questa solitudine. Il fato si agitava, girando luce rossa. C’erano uccelli di mare sopra il battello, forse lo seguivano. Forse seguivano me. Erano le spie di Claire Moren. Ero io che stavo sfondando una frontiera sconosciuta”.

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La scheda del libro

“Ieri ha chiamato Claire Moren” è l’incontro tra chi vuole dimenticare tutto e chi è condannato a ricordare.
Dopo diciotto anni di prigione Enea viene scarcerato e decide di andare a vivere dove un tempo era stato felice. Lì incontra un anziano signore, tale Gagliardi, un cacciatore di nazisti che è sulle tracce di Marigold, la Primula Nera del nazismo internazionale. Gagliardi, convinto dell’innocenza di Enea, lo incoraggia a riannodare i fili della memoria, a svuotare la nausea del cuore e a ritornare nell’illusione della vita. Così, fra azione e riflessione, parte la ricerca.
La vita di Anni, la giovane donna di cui Enea era innamorato e del cui omicidio è stato accusato, viene scandagliata e ripercorsa, alla ricerca di una faglia che lasci emergere indizi prima trascurati per arrivare al vero colpevole. Attraverso una singolare indagine si segue il tortuoso percorso di una memoria dolorosa e di un amore tormentato e a tratti crudele.
Con la sua prosa cadenzata e densa, Giuseppe Aloe costruisce un romanzo dalle atmosfere tese e fragilissime, in cui si disegna così una parabola dalle trame insolite, popolate da personaggi strambi e oscure relazioni, un diario indecifrabile, nuovi sospetti, misteriosi depistaggi, fino ad un inaspettato epilogo.

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Giuseppe Aloe nasce a Cosenza nel 1962. Ha pubblicato “Non pensare all’uomo nero… dormi” (2005), “Non è successo niente” (2009), “Lo splendore dei discorsi (2010)”, “La logica del desiderio” (2011, finalista al Premio Strega) e Gli anni di nessuno (2012), tutti editi dalla Giulio Perrone Editore.

 

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