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TUTTO A POSTO TRANNE L’AMORE di Anna Premoli: incontro con l’autrice

febbraio 8, 2021

“Tutto a posto tranne l’amore” di Anna Premoli (Newton Compton): incontro con l’autrice e un brano estratto dal libro

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Anna Premoli è nata nel 1980 in Croazia, vive a Milano dove si è laureata alla Bocconi. Ha lavorato per un lungo periodo per una banca privata, prima di accettare una nuova sfida nel campo degli inve­stimenti finanziari. La scrittura è arrivata come “metodo anti­stress” durante la gravidanza. Ti prego lasciati odiare è stato un libro fenomeno: è stato per mesi ai primi posti nella classifica e ha vinto il Premio Bancarella. Con la Newton Compton ha pubblicato anche Come inciampare nel prin­cipe azzurro, Finché amore non ci separi, Tutti i difetti che amo di te, Un giorno perfetto per innamo­rarsi, L’amore non è mai una cosa semplice, L’importanza di chia­marti amore, È solo una storia d’amore, Un imprevisto chiamato amore, Non ho tempo per amarti, L’amore è sempre in ritardo, Que­sto amore sarà un disastro e Molto amore per nulla. Tutti bestseller, tradotti in diversi Paesi.

È appena uscito il nuovo romanzo di Anna Premoli, intitolato “Tutto a posto tranne l’amore” (Newton Compton). Abbiamo chiesto all’autrice di parlarcene…

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«Sono stata per buona parte della mia vita sinceramente convinta che le seconde possibilità portassero di rado a qualcosa di buono», ha detto Anna Premoli a Letteratitudine. «Ero solita accostarle a una sorta di minestra riscaldata, una combinazione esplosiva dall’equilibrio molto precario, in cui certe volte anche solo una mezza incomprensione basta a risollevare rabbia e risentimento, facendoti subito pentire di averci voluto riprovare. Perché gli esseri umani non dimenticano, o almeno non lo fanno quando si tratta di persone che hanno amato profondamente. Al massimo fingono di dimenticare, spesso con risultati alquanto discutibili.
È da questa premessa che sono partita quando mi sono seduta a scrivere la storia di Ludovico e Ginevra, che nel corso del loro matrimonio si sono feriti così tanto al punto da arrivare a divorziare. Due persone, quindi, accomunate da una decisione piuttosto definitiva: meglio andare ognuno per la propria strada.
Eppure nell’ultimo periodo ci sono capitate cose talmente impreviste, inclusa una pandemia che ci ha costretto a stare chiusi a casa, che non ho potuto fare a meno di domandarmi: e se invece? In fin dei conti il bello di diventare adulti è che arrivi a mettere in discussione tutto ciò che credevi di sapere con certezza. L’assoluto veste i tempi della gioventù, la possibilità dell’imprevisto sa invece molto di età adulta. Perciò ho ragionato profondamente su cosa significasse lasciarsi, sul concetto stesso di “anima gemella”, e ho cercato di raccontare con delicatezza e humor la storia di una seconda volta.
Le donne sono molto brave a raccontare le altre donne, i loro pensieri, le loro paure e i loro tormenti, ma nel mio romanzo ho voluto raccogliere una sorta di sfida con me stessa: rendere giustizia – o almeno provarci – anche ai pensieri di un uomo dal carattere difficile, taciturno e un po’ orso.
Ci illudiamo tutti di essere molto bravi a comunicare, specialmente con le persone più care e che sentiamo “nostre”, ma la verità è che la vita di tutti è così stressante e piena di impegni che spesso finiamo per dare per scontata proprio quella comunicazione che dovremmo curare maggiormente. “Se mi ama, deve capirmi” è uno degli errori più comuni su cui inciampano le coppie con il passare del tempo.
A forza di darsi per scontati può capitare di perdersi. Solo qualche rara volta di ritrovarsi.
Ludovico e Ginevra sono due persone che hanno alle spalle un vissuto difficile da dimenticare ma che proprio per questo mi hanno offerto un nuovo punto di vista sulla difficile questione della seconda volta».

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Un estratto del romanzo: “Tutto a posto tranne l’amore” di Anna Premoli (Newton Compton)

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Capitolo 8

Ludovico

Arrivato alla mia età e con esperienze non sempre positive, dovrei ormai essere abituato agli imprevisti catastrofici.
Anzi, di solito nel nostro team sono proprio quello su cui si fa affidamento affinché si immagini quasi sempre il peggio, eppure quando il 20 febbraio si scopre in Italia il primo caso di coronavirus, e per di più a pochi chilometri da Milano, mi ritrovo a leggere degli ultimi sviluppi con uno stupore che a tratti mi meraviglia. Che strano, sono ancora in grado di provare sbalordimento verso qualcosa che sarebbe potuto andare male. Ed è ovviamente andato peggio.
Siamo seduti in sala riunioni e l’umore dei presenti è cupo. Lorenzo sta provando a risollevare gli animi, ma Edo ha capito come me che la rogna sarà grossa.
«Ma sono solo pochi casi nel lodigiano…», tenta di rassicurarci, sebbene nemmeno lui sia granché convinto.
Io scuoto la testa. Il destino dei pessimisti è comprendere fino in fondo quanto possa essere devastante un episodio all’apparenza poco grave. È insieme una vocazione e una condanna. «Sono destinati a salire», gli preannuncio.
«Questa volta sono d’accordo con Ludo», si esprime Edoardo. Sta maltrattando uno dei suoi soliti antistress con maggiore violenza del solito.
«Perciò, cosa volete fare?», chiede sconsolato Lorenzo. Gli va dato atto che non deve essere sempre facile interagire con noi.
«Per la settimana prossima vediamo di riprendere in mano tutti i budget e i flussi di cassa delle varie società. Ipotizziamo uno scenario nero e uno nerissimo», gli comunico il mio piano.
«Dirò ai ragazzi di aggiornare i dati», acconsente mogio. Jack, che fino a quel momento stava dormendo concedendomi un raro attimo di tregua, sobbalza al suono della sedia di Lorenzo e accorre verso il suo preferito. «Devi proprio restituirlo a tua madre?», chiede abbassandosi per accarezzarlo per la millesima volta oggi. «È di compagnia».
Gli lancio un’occhiata significativa. «Per carità, questo piccolo essere testardo e mia madre, altra testa durissima in circolazione, si meritano l’un l’altro. Non ha nemmeno voluto che passassi a prenderla in ospedale questa mattina, ci potete credere? Dopo pochi giorni dall’operazione ha preso un taxi!», esclamo ancora indignato. Mia sorella questa me la paga, tra parentesi. Mi hanno informato solo a cose fatte, facendomi credere che l’avrebbero dimessa stasera.
«Per come sono le donne, è già tanto che non sia andata in bicicletta», mi fa notare Edoardo. Sono costretto a ridere mio malgrado. «In effetti… Perché sono così poco collaborative, certe volte?», chiedo sospirando.
«Ti stai ancora riferendo a tua madre?». Lorenzo smette per un attimo di accarezzare Jack, che abbaia subito per attirare l’attenzione.
«Oggi ho ricevuto il primo bonifico da parte di Ginevra», ragguaglio i miei amici. «E la sensazione è strana…».
«Perché? Vi siete messi d’accordo, no?», ragiona pratico Edo.
«Sì, sì… più che altro l’ho lasciata fare per esasperazione. Ma non mi piace questa cosa che Ginevra mi restituisca soldi di cui non ho assolutamente bisogno». Mi rendo conto di essere un tantino noioso al riguardo, ma c’è qualcosa di fondo che mi infastidisce e che non riesco a superare. E aver visto il bonifico in entrata ha ulteriormente cementato la sensazione di imbarazzo.
Edo smette per un attimo di stritolare il finto lingotto d’oro che ha tra le mani e mi scruta concentrato. «Non farlo…», mi avvisa. Il suo volto si è disteso in un sorriso ma non sono certo che sia un bene.
«Fare cosa?». Sono sinceramente al buio a questo giro.
«Non cadere nella trappola psicologica di sentirti responsabile per lei. Perché – sorpresa delle sorprese – è questo il bello del divorzio: non sei più responsabile di nessuno al di fuori di te stesso…».
«Le persone come Ludovico si sentono sempre responsabili per tutti», commenta Lorenzo non richiesto.
«Sentirsi responsabili per il mondo intero è una condanna. Un cappio al collo», mi avverte Edoardo. Sa come essere drammatico quando ci si mette.
«Come se non lo sapessi…», sospiro. «E allora basta con questa lagna. E smettila di pensare a una donna che tanto non rincontrerai per i prossimi mille mila anni», si raccomanda Edo. «Finché il problema sono i soldi e non i sentimenti, c’è sempre rimedio».
Questa me la devo segnare: pillole per uomini in crisi. «A proposito, l’ho incrociata ieri. A duecento metri da qui», mi ritrovo a confessargli senza apparente motivo.
«Se è per quello, io credo di averla vista uscire dall’appartamento della signora Fumagalli», ci svela Lorenzo prima di tornare ad accucciarsi per giocare con Jack.
«Ehhh?», esclama Edoardo prima che possa farlo io. La mia sarebbe stata un’imprecazione, e pure bella forte. «E non ne hai fatto parola con nessuno?».
Lui scrolla le spalle arrossendo colpevole. «Pensavo la mia fosse solo autosuggestione…», si giustifica.
«Che diavolo sta combinando la signora Fumagalli?». Il mio tono è preoccupato ma anche stanco. Non sono certo di poter reggere molto altro, almeno oggi. La quota di rotture di scatole è stata già ampiamente coperta.
«Non lo so, ma fossi in te andrei a controllare. E di corsa», mi suggerisce Edoardo.
Ahimè, temo proprio abbia ragione.

Prima di incamminarmi verso la casa di mia madre per restituire Jack alle sue cure, mi decido a suonare alla porta della signora Fumagalli. Sono qui per tentare di scoprire qualcosa, ma sono deciso a farlo con discrezione.
«Signora Fumagalli, buonasera», la saluto cercando di imitare Edoardo e il suo modo affabile.
Lei inarca con circospezione un sopracciglio ben definito, segno che ho ancora parecchio da imparare. «Oh, ma quale buon vento…», mormora, salvo abbassare lo sguardo e cambiare del tutto atteggiamento in due secondi appena. «Ah, ha portato anche il cane!».
È curioso come anche le persone più diffidenti si sciolgano di fronte al piccolo Attila che, sì, avrà anche un musetto carino, ma non mi convince per niente.
Jack è troppo occupato a fingere di essere un cane adorabile per rendersi conto della mia diffidenza, per fortuna. Altrimenti mi avrebbe morso di nuovo.
La signora Fumagalli indugia nel riempire di attenzioni l’animale, poi si tira su e passa a esaminarmi. «Aveva bisogno di qualcosa, dottor Paravicini?», chiede diretta.
«Io no. Ma ero passato appunto per sincerarmi che lei non avesse bisogno di niente». L’espressione è perplessa. «Per esempio?»
«Non saprei… una cassa d’acqua?»
«Bevo quella del rubinetto, grazie. E dovrebbe farlo anche lei, a proposito».
«Io bevo quella gasata», mi giustifico.
«E allora cambi; l’acqua gasata gonfia».
«Ci farò un pensiero», è il massimo che sono disposto a concederle durante questo bizzarro scambio di opinioni. «Altro?», chiede con una certa impazienza.
«La sto disturbando?», le chiedo mostrandomi preoccupato. «No, ma sto sfogliando alcuni cataloghi di cucine. Sto per rinnovare la mia», mi rivela. L’occhiata che mi giunge è ricca di significato. «Non è per niente facile capire cosa si vuole…».
«Dovrei fare altrettanto con la mia. Magari potrebbe prestarmi i suoi cataloghi», mento spudoratamente, dal momento che la cucina è forse l’unica cosa che possiedo in casa.
Non so bene cosa aspettarmi, ma è fuori discussione che questa vecchietta riesca a farsi battere in un gioco d’ingegno. È palesemente più avanti di me.
«Vuole i miei cataloghi?», si mostra sorpresa. «Ne è proprio certo?».
Se dico di sì, esploderà qualche bomba? «Be’, sono solo cataloghi. Si è affidata a qualcuno di particolare, a proposito?».
Altra strana occhiata da parte della mia vicina di casa.
«Mmm…», mormora pensierosa.
«Comunque, guardare non ha mai fatto male a nessuno, presumo…». La prendo alla larga. «Mi sarebbe utile farmi un’idea per capire che tipo di cucina mi piacerebbe». «Se vuole un consiglio, non la faccia arancione».
«Arancione?», ripeto confuso. «Esistono davvero le cucine arancioni?».
Questo, se non altro, la fa scoppiare a ridere. «A quanto pare. Ma siamo d’accordo che non dovrebbero esistere. Allora, dottor Paravicini, ripassi prossimamente per vedere i cataloghi», mi invita dopo essersi ammorbidita un po’ nei miei confronti. «Glieli cederò molto volentieri, una volta fatta la mia scelta».
«Siamo d’accordo», mi congedo prima di salutarla.
Nel momento in cui la signora Fumagalli richiude la porta del suo appartamento ho una sola certezza: non solo non ho scoperto nulla, ma sono ancora più confuso di prima.
E pensare che sulla carta sembrava facile.

«Il cane devi tenerlo tu», ripete ancora una volta Lucrezia, come se la sua insistenza potesse farmi cambiare idea. Lei si illude di sì; io dico di no.
«Ma non scherziamo…».
«La mamma avrà bisogno di assistenza nei prossimi giorni. L’hai vista, no? Non deve muoversi ancora per un po’. E dimmi, come pensavi che una donna che si è appena rotta il femore potesse riprendere a uscire con il cane?», chiede saccente. All’improvviso mi sembra di essere tornato indietro nel tempo, a quando io e mia sorella litigavamo quasi per partito preso. È bastata la presenza di un Attila qualsiasi per tornare infantili in un attimo.
«Pensavo che ci avresti badato tu. Voglio dire, ti sei offerta di aiutare la mamma…», le ricordo. «Certo! Perché era da escludere che lo facessi tu…», mi accusa in modo non troppo velato. «Questo è uno stramaledetto mondo maschilista dove, a dispetto di tutte le lotte, alla fine sono sempre le donne a doversi occupare di chi sta male!».
E qui – mi tocca ammetterlo – potrebbe avere un tantino ragione.
«La compagnia del cane potrebbe farla guarire prima. Non si dice che gli animali siano un’ottima terapia?», la tento cambiando strategia.
Lucrezia mi lancia un’occhiata di puro odio. «Senti, tu…». «Chiediamoglielo, no?», propongo sorridendo. Sono certo che dirà di sì. Mia madre adora Attila, Jack, Giacomo o come diavolo si chiama.
«Non le chiederemo un bel niente! O il cane o la mamma!», tuona mia sorella.
«Guardate che vi sento!», urla dalla sua camera da letto la diretta interessata. Per fortuna il tono pare divertito più che offeso.
La raggiungiamo per trovarla occupata a coccolare Jack. «Visto? Ero animato dalle migliori intenzioni», faccio presente a entrambe. «Chi siamo noi per tenere separati due che si amano?», domando con fare teatrale.
«Persone di buon senso, o almeno una fra di noi lo è», è la pronta replica di Lucrezia. «Anche se si amano sono destinati a stare lontani per il loro bene. E tu dovresti saperlo meglio di altri».
«Su, su, non litigate», interviene nostra madre. «Certo che mi piacerebbe tenere Jack qui con me, ma mi rendo conto che il duplice impegno peserebbe in maniera eccessiva su Lucrezia. Perciò, Ludo, pensi di poter sopravvivere tenendo con te Giacomo ancora per qualche giorno? Per adesso siete andati d’accordo, sbaglio?».
Come l’acqua con l’olio, mi verrebbe da risponderle. Ma taccio. Una madre malata ha un discreto bonus. Mia sorella mi lancia un’occhiata di pura soddisfazione, sa di aver vinto.
Per un attimo non riesco a scacciare la sensazione di vivere in un mondo in cui sono le donne a decidere tutto. Sì, noi uomini possiamo anche illuderci di tanto in tanto, ma questo è un regno al femminile: ti seducono, ti illudono, ti lasciano, ti ordinano di riprenderti i soldi o di tenere il cane… Tu non hai diritto di parola. Strano che Jack sia un maschio, ora che ci penso: sarebbe stata la perfetta ape regina in questo schema.
«Siamo andati d’accordissimo», replico sconsolato, certo che il mio sarcasmo non sortirà alcun effetto.
«D’altronde, sarebbe stato impossibile il contrario. Voglio dire, con il musino che si ritrova…», lo accarezza mia madre.
Per un breve momento vorrei avvertirla circa i bei musetti: hanno fregato più di una persona. E io ne so qualcosa.

(Riproduzione riservata)

© Newton Compton

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Tutto a posto tranne l'amore - Anna Premoli - copertinaLa scheda del libro: “Tutto a posto tranne l’amore” di Anna Premoli (Newton Compton)

Ludovico Paravicini è decisamente prevenuto in fatto di donne, ma chi non lo sarebbe, al posto suo? L’epilogo del suo grande amore è stato infatti davvero infelice. In una parola: divorzio. E per giunta non è stato nemmeno amichevole: Ginevra, la sua ex moglie, anni fa ha fatto armi e bagagli e preteso da lui un lauto assegno di mantenimento, autorizzandolo a pensare il peggio di lei. E adesso Ludovico sarebbe ben lieto di continuare a nutrire questa convinzione. Ma all’improvviso Ginevra ricompare e sembra molto determinata a fargli cambiare idea. A volte capita che le persone che si pensa di conoscere meglio riservino delle sorprese assolutamente imprevedibili. E non è detto che queste sorprese siano negative…

 

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