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PREMIO STREGA 2021. Proposti i libri di Patrizia Busacca, Benedetta Cosmi, Alessandro Gazoia, Lisa Ginzburg, Mattia Insolia, Marilù Oliva, Aurelio Picca, Sabrina Ragucci, Alessandro Raveggi, Isabella Schiavone

febbraio 8, 2021

Proposti dagli “Amici della Domenica”, per l’edizione 2021 del Premio Strega, i libri di: Patrizia Busacca, Benedetta Cosmi, Alessandro Gazoia, Lisa Ginzburg, Mattia Insolia, Marilù Oliva, Aurelio Picca, Sabrina Ragucci, Alessandro Raveggi, Isabella Schiavone

Potrebbe essere un'immagine raffigurante 4 persone, libro e il seguente testo "PATRIZIA BUSACCA MADRI GOTICHE Benedetta Cosmi ORGOGLIO SENTIMENTO Alessandro Gazoia Tredici lune nottetempo MATTIA INSOLIA GLI AFFAMATI LISA GINZBURG CARA PACE romanze ROMANZO remanze #romanzosorprendenterunostrim @m MARILà OLIVA BIANCANEVE nel NOVECENTO SABRINA RAGUCCI ILMDESIM ILMEDESIMO MONDO PIÙ GRANDE CRIMINALE DI ROMA È STATO AMICO MIO AURELIO PICCA ALESSANDRO RAVEGGI SCHIAVONE SOLFERINO Fiori di mango GRANDE KARMA ላ CARLO COCCIOLI"

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Patrizia Busacca
Madri gotiche
Linea edizioni

Proposto da
Giorgio Amitrano
«La testimonianza lucida e vibrante di una donna in lotta contro la malattia, ma soprattutto contro l’ingiustizia e il silenzio. Attraverso il racconto di una congiura di famiglia ai danni di una vittima ignara, l’autrice illumina il tema eterno dei conflitti familiari di una luce nitida e nuova. Due vite apparentemente lontane, quella della narratrice e di una zia rinchiusa da ragazza in manicomio, si scoprono intimamente connesse, unite da quella inerzia invisibile che gela i rapporti umani e si trasmette attraverso le generazioni. Madri gotiche è un libro che scuote, indigna, commuove, e infine diverte, grazie a una sottile ironia che sfuma la tragedia e la alleggerisce. Scritto dall’autrice come una lettera indirizzata soprattutto a sé stessa, si consegna al lettore come un romanzo compiuto, capace di toccare, attraverso la cronaca di una esperienza privata e unica, la vita di tutti.»

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Benedetta Cosmi
Orgoglio e Sentimento
Armando Editore

Proposto da
Antonio Augenti
«Non è agevole riassumere il racconto che Benedetta Cosmi condivide con il lettore, seguendo le vicende di un gruppo di giovani all’ascolto dei quali, sul Frecciarossa Milano-Roma, si pone un anziano giornalista, da poco in pensione.
Si tratta di una storia che accomuna vissuti individuali connotati, sì, da specificità, ma che nell’anno della pandemia sono tratti ad interpretare, con scambievole complicità e in modo contraddittorio, una stagione dalla quale dovrebbero ripartire con orgoglio e sentimento. Quali? Se l’orgoglio non si sposa con la saggezza e il sentimento, come qualcuno osserva, si esprime talvolta in modo mutilato, allora occorre attendere che il tempo possa sanare ferite e risolvere turbamenti e interrogativi individuali perché i modi di essere trovino modo di dispiegarsi.
Da questo punto di vista il romanzo di Benedetta Cosmi, che, senza piegarsi alla moda, è certamente romanzo di formazione, si connota soprattutto come analisi politico-letteraria. I vissuti individuali dei protagonisti e la stessa relazione che li fa camminare insieme verso un improbabile 2036, quindicesimo anniversario del gruppo, non prescindono, infatti, dall’aggrovigliato intreccio dei tanti problemi che mettono duramente alla prova una generazione tenuta in sospeso: occupazione, salute, benessere non soltanto materiale, mutamenti sociali e culturali.
Sonia, Giannenrico, Adriana, Olimpia descrivono, nel modo di affrontare le sfide di una stagione difficile, i caratteri di una generazione fragile, sguarnita, ma che avverte intimamente il bisogno di riscatto sulla linea di un’utopia che, come tale, evidenzia il rapporto tra desiderio e azione, tra scopo e difficoltà di conseguirlo.
L’autrice è dentro i personaggi che tratteggia con pennellate stilistiche di rara abilità. Qualcosa va, infatti, osservato sulle sue capacità espressive. La scrittura, colta e documentata, è forte, assolutamente moderna, asciutta; invia ininterrotte schegge di colore e di luce che mozzano la retorica di un sentire che ha modo di rappresentarsi, invece, senza enfasi e ridondanza, con rapidità, ma insieme con profondità.
Il lavoro di Benedetta Cosmi merita di concorrere ad un premio letterario quale lo Strega. Dalla lettura del libro si esce con il convincimento che le complicazioni – che soprattutto le nuove generazioni stanno vivendo in un tempo che ha sospeso desideri e aspettative, ma non ha azzerato la voglia di una “nuova ascesi” – possono essere messe alle spalle, parafrasando il titolo del libro, con ragione e sentimento.»

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Alessandro Gazoia
Tredici lune
nottetempo

Proposto da
Gaia Manzini
«“Ci baciamo per scambiarci la nostra aria per respirare insieme. Per cospirare, perché un amore un legame è una cospirazione, qualcosa che ci unisce e accorda e separa dal resto.” Ma anche un libro è una cospirazione: nasce da una sola persona, una cospirazione solitaria, poi si allarga a due persone, arriva a chi ci crede e intende sostenerlo, quindi continua a crescere fin quando giunge in libreria e ogni lettore lo consiglia a due amici, infettandoli. Ogni libro è una storia d’amore, l’unico contagio auspicabile per chi ama la letteratura. Alessandro Gazoia nel suo Tredici lune racconta di un editor, della sua vita personale e del suo lavoro ai tempi della pandemia, trovando una voce esatta e naturale: quella di un uomo di cultura che si ritrova a soppesare il senso delle parole e della propria quotidianità. La pandemia e le sue conseguenze assumono qui un’importanza peculiare perché non fanno che estremizzare le caratteristiche specifiche del lavoro intellettuale: l’isolamento necessario, la distanza dalle persone con le quali si lavora, il bastare a sé stessi perché forti di un’appartenenza che non dipende dal luogo nel quale si vive, ma da un luogo ideale fatto di parole. Con la differenza fondamentale che solo pochi mesi fa quell’isolamento era violabile, la distanza dal mondo si poteva accorciare quando se ne aveva necessità. Il protagonista di questo libro si arma di binocolo e guarda le persone per strada. È il bisogno degli altri che si traduce nel bisogno di immaginare le loro esistenze. Ancora una volta nel bisogno insopprimibile di storie: cospirazioni che ci salvano la vita.
Sulla base di queste riflessioni, propongo agli Amici della domenica la candidatura di Tredici lune di Alessandro Gazoia, edito da nottetempo, al LXXV premio Strega.»

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Lisa Ginzburg
Cara pace
Ponte alle Grazie

Proposto da
Nadia Terranova
«Se la famiglia è un’istituzione sociale, un romanzo famigliare è sempre un romanzo politico: racconta i tic e le nevrosi dei legami dentro cui ci ingabbiamo da soli o da cui ci dimeniamo per liberarci, legami fondativi delle relazioni che avremo con il mondo. Nel solco di questa tradizione entra, con raro rigore e suprema eleganza, Cara pace di Lisa Ginzburg, in cui il rapporto fra due sorelle molto diverse è l’occhio con cui guardiamo nella vita dell’una e dell’altra e nella singolare famiglia da cui vengono entrambe. Ginzburg fa una letteratura di piccole storie e grandi dolori; crea un mondo intimo e totalizzante a partire da “un’infanzia esplosa”, un abbandono, una ferita originaria; racconta la timidezza e la sfacciataggine, la fatica e la crescita, il desiderio di proteggere e il bisogno di proteggersi, fino a raggiungere una nuova verità: togliersi di dosso il carapace con cui ogni giorno ci difendiamo è un gesto di libertà che può, all’improvviso, donarci la cara pace di una nuova coscienza e di una raggiunta pienezza. In questo romanzo che non teme crepe e fondali ma sa anche indicare la feritoia da cui può passare la luce, la prosa di Lisa Ginzburg raggiunge una consapevolezza superiore, rivelando una scrittrice intensa e originale, capace di trasfigurare in letteratura i suoi spettri e le sue ombre.»

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Mattia Insolia
Gli affamati
Ponte alle Grazie

Proposto da
Fabio Geda
«Mattia Insolia ha venticinque anni e Gli affamati è il suo primo romanzo. Lo dico subito perché non si tratta solo di accogliere tra i dodici candidati al premio un romanzo potente, contraddistinto da una lingua efficace e da uno sguardo intenso, ma anche di tenere a battesimo un autore che è qui per restare. Cosa fa di prezioso, Insolia? Consegna al lettore le chiavi di una certa periferia urbana ed esistenziale. Lo invita ad abitare la giovinezza, la solitudine e la rabbia di Antonio e Paolo, i fratelli protagonisti, così da capire, o anche solo intuire, la giovinezza, la solitudine e la rabbia di una parte del Paese e del nostro presente. Non solo: Gli affamati è segnato da una onesta compassione. E il patire con Antonio e Paolo spinge a interrogarsi sui privilegi, sui luoghi cui apparteniamo, e ci esorta a immaginare una società capace di farsi villaggio. Per questo lo candido con gioia e convinzione al premio.»

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Marilù Oliva
Biancaneve nel Novecento
Solferino libri

Proposto da
Maria Rosa Cutrufelli
«Il romanzo di Marilù Oliva – Biancaneve nel Novecento, Solferino libri – mescola il presente al passato per raccontarci come il dolore e la sofferenza non si lascino dimenticare. Come affiorino nei modi più inaspettati e nei luoghi più diversi per plasmare la nostra vita.
Una bambina e un’anziana signora sono le due voci narranti che si contrappongono e s’intersecano per tutto il libro, come in un confronto a distanza. La bambina, Bianca, parla della sua piccola vita e degli incomprensibili conflitti che scuotono la sua famiglia e le procurano ferite difficili da sanare. La bambina cresce ma le ferite non guariscono e anzi fuori, nel mondo, diventano ogni giorno più fonde. Non c’è felicità nella sua famiglia, come non c’è giustizia nel mondo.
Bianca vive a Bologna, una città descritta nelle sue pieghe più nascoste, in tutta la sua moderna complessità.
L’altra, Lili, l’anziana signora, vive a Roma, ma il suo dramma si è consumato altrove. Adesso abita lì, in una grande casa, e tuttavia, mentre guarda la città dalla terrazza, la sua mente va ad altri luoghi e altri tempi. I suoi ricordi sono precisi, dettagliati: indelebili. Sono il racconto della più grande tragedia del “secolo breve”: i campi di sterminio nazisti. La sua voce dolente ci porta nel campo di Buchenwald, nel bordello dove vengono rinchiuse le giovani deportate. Lili racconta ciò che accadeva là dentro e lo fa dalla sua prospettiva di sopravvissuta. Di vittima che non riesce più a uscire dalla prigione del suo dolore. La sua sofferenza è simile a una malattia contagiosa, che colpisce chi le sta più vicino.
I due racconti si alternano fin quasi alla fine, fino al momento in cui i ricordi di Lili e la vita di Bianca trovano il punto di sutura. E allora le voci si placano e, in un certo senso, si fondono in un nuovo equilibrio.
Un romanzo tenero e feroce, che entra nella Storia per farci capire come il male generi altro male, inevitabilmente. Come il nostro “passato” non passi mai, se non lo mettiamo a fuoco, con tutti i suoi errori e orrori. E, soprattutto, se non esercitiamo la nostra capacità di empatia e di compassione, cercando di sanare le ferite degli altri, che sono anche le nostre.
È per questo sguardo attento e compassionevole, assecondato da una scrittura vivida, ben calibrata, che desidero presentare il romanzo di Marilù Oliva (con il suo consenso) all’edizione 2021 del Premio Strega.»

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Aurelio Picca
Il più grande criminale di Roma è stato amico mio
Bompiani

Proposto da
Edoardo Nesi
«È un romanzo esistenziale, Il più grande criminale di Roma è stato amico mio, e racconta la vita mentre scorre tagliente e laida, cattiva eppure angelica, nelle vene dei suoi personaggi. Anche del dolore, racconta, il dolore anch’esso angelico – e immenso, e mai sedato – che continua a pugnalare il protagonista, luogotenente inventato d’un criminale invece esistito davvero, che negli anni Settanta terrorizzava tutta Roma.
In quest’opera ambiziosa e mirabilmente scorretta Aurelio Picca ci mostra il portento del male raffigurato, e nelle pagine migliori arriva a svolgere uno dei compiti più sacri della letteratura, quello di mostrarci il mondo slabbrato e vuoto e insensato nel quale viviamo.
Vorrei dunque candidarlo al Premio Strega 2021.»

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Sabrina Ragucci
Il medesimo mondo
Bollati Boringhieri

Proposto da
Maria Teresa Carbone
«Da Sabrina Ragucci, fotografa, ci si poteva aspettare un romanzo che mettesse la dimensione visuale al primo posto. E così per certi versi è. Ma lo sguardo che l’autrice attiva in questo esordio privo di incertezze ha qualcosa di perturbante, sembra sempre puntare verso i bordi della scena oppure la osserva da molto lontano o infine, al contrario, le si accosta al punto che un minimo dettaglio finisce per occupare per intero il campo visivo.
Viene in mente una videoinstallazione, Close, realizzata dal regista Atom Egoyan insieme all’artista portoghese Julião Sarmento e allestita alla Biennale di Venezia del 2001. Là, una parete a pochi centimetri dallo schermo obbligava gli spettatori a una visione ravvicinatissima, ingigantendo i particolari, rendendoli insieme insensati e densi di significato. Qui, gli occhi di chi legge sono costretti a concentrarsi su “briciole d’annata, graffiature di tacchi e suole datate parecchi anni precedenti”, un “marciapiede costellato di mozziconi e di chewing gum masticati”, “un cerone più chiaro di due toni rispetto alla carnagione” sotto il quale “si intravede la pelle leggermente butterata”.
L’effetto di questo sguardo continuamente depistato è straniante e accentua per contrasto la forza della voce dell’autrice, una voce spietata e tuttavia segretamente pietosa, “la voce di un dio”, come è stato scritto a proposito del libro. E in effetti, proprio come un dio – onnisciente, onnipotente – Ragucci muove i suoi personaggi (la famiglia Mogliano e soprattutto la bambina Roberta, poi adolescente e infine donna) lungo un arco temporale di quaranta o cinquant’anni, ma sempre usando l’indicativo presente dell’eternità, di tanto in tanto ammonendo con brevi frasi imperative gli stessi personaggi o noi che leggiamo.
Il medesimo mondo è dunque una storia di famiglia, ma è anche, volendo, un frammento di storia nazionale, dall’Italia ancora paesana dell’immediato dopoguerra all’inurbamento, all’emigrazione, alla costruzione tenace di una piccola borghesia alienata e perdente. Non a caso il romanzo si chiude con l’acquisto di una casa di proprietà, sigillo di una conquista sociale che non cancella una vita deprivata, un “medesimo mondo” le cui cattiverie e ingiustizie si intuiscono solo a tarda sera, al confine tra veglia e sonno.»

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Alessandro Raveggi
Grande karma
Bompiani

Proposto da
Giorgio Van Straten
«Quando mi sono avvicinato per la prima volta al romanzo di Alessandro Raveggi, Grande Karma, pensavo che avrei avuto a che fare con l’autofiction di uno scrittore su uno scrittore. L’ho iniziato perché ero curioso di sapere qualcosa di più su Carlo Coccioli, personaggio peculiare nel panorama letterario italiano, ma via via che procedevo nella lettura mi sono reso conto che lo scrittore che mi interessava davvero era Alessandro Raveggi.
Il gioco fra realtà e finzione, verosimile e romanzesco, fra il narratore fuori e quello dentro il romanzo: era questo gioco serissimo che mi avvinceva e mi restituiva un’idea alta di letteratura spesso dimenticata nell’attuale panorama italiano.
Per questo credo che sia giusto sottoporre all’attenzione dei giurati del più importante premio letterario del nostro paese, quello che secondo me è uno dei libri migliori di questa stagione narrativa.»

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Isabella Schiavone
Fiori di mango
Lastaria Edizioni

Proposto da
Giulia Ciarapica
«Fiori di mango di Isabella Schiavone (Lastaria Edizioni) è un romanzo complesso e stratificato, che tocca più punti tematici attraverso una storia corale e al contempo individuale (e individualista). Se è vero che al centro dell’azione principale c’è Stella, invitata dall’amica Gloria a trascorrere con lei un periodo di pausa in Kenya, è anche vero che tutti gli altri personaggi che ruotano attorno a questa terra, l’Africa, lasciano un segno non solo nella vita della protagonista ma anche nella struttura e nell’organizzazione tematica della storia.
All’interno di uno scenario descritto con dovizia di particolari, minuziosamente, tanto che l’autrice riesce a rendere le atmosfere, i sapori, gli odori, i paesaggi e le situazioni più estreme tipici di una certa realtà africana, si muovono personaggi che hanno come obiettivo principe la (ri)scoperta del Sé, partendo dalla radice, la Famiglia: la famiglia, in Fiori di mango, diventa un luogo, un confine da superare, ma anche un punto da cui partire gettandosi alle spalle il dolore per reinventarsi in una terra sconosciuta e difficile.
Un romanzo “umanocentrico”, non soltanto perché le azioni dei singoli confluiranno in una grande azione collettiva che è la conquista del Sé, appunto, ma perché quella che ci presenta la Schiavone è una storia vicina al dolore e che dal dolore prende forza.»

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