Home > Articoli e varie, Libri e Tv, Segnalazioni > BARACK OBAMA presenta il suo libro UNA TERRA PROMESSA a Che Tempo Che Fa

BARACK OBAMA presenta il suo libro UNA TERRA PROMESSA a Che Tempo Che Fa

febbraio 8, 2021

Il 44° Presidente degli Stati Uniti Barack Obama presenta la sua autobiografia intitolata “Una terra promessa”, edita in Italia da Garzanti, a Che tempo che fa di Fabio Fazio su Rai3. Di seguito, le dichiarazioni di Obama

* * *

“Mi fa molto piacere essere qui, mi piacerebbe essere lì di persona ma dobbiamo aspettare che la pandemia passi”. Così il 44° Presidente degli Stati Uniti Barack Obama ospite a Che tempo che fa di Fabio Fazio su Rai3 per un’intervista esclusiva in tv in Italia sulla sua autobiografia di grande successo Una terra promessa”, edita in Italia da Garzanti.
 
Il commento di Michelle sul libro “Una terra promessa”.
Michelle è molto critica, è molto dura. Uno dei motivi per cui l’ho sposata è perché lei mi spinge sempre a fare del mio meglio. Lei, letto il libro finito, mi ha detto: “Sì, hai fatto una bella cosa!”, però mi ha chiesto come mai mi ci è voluto così tanto tempo a finire il mio primo volume quando lei il suo l’ha finito molto prima di me. Cosa posso dire? Tutti conoscono Michelle e sanno benissimo che è decisamente superiore a me. Il fatto che mi sopporti è anche una delle grandi meraviglie che descrivo nel mio libro.
 
George Clooney e la sconfitta a basket contro Amal.
Amal è in effetti decisamente un’atleta superiore a George e, se mi ricordo bene, ha vinto proprio lei in quella partita che abbiamo giocato insieme. Però do a George perlomeno un credito: con due bimbi così piccoli adesso non si può allenare come in passato. La mia unica scusa è invece che purtroppo invecchio.
 
Uno dei motivi che l’hanno portato a scrivere “Una terra promessa”.

Parte dello scopo che volevo raggiungere è stato quello di dare alle persone la possibilità di “aprire il sipario” e vedere che tutti i leader che si vedono in televisione sono degli esseri umani che devono prendere delle decisioni, che stanno cercando di sbrogliarsi in tutte queste prove da superare, che fanno errori e che bisogna imparare dagli errori commessi. Una cosa che desideravo era trasmettere, soprattutto ai giovani lettori, l’idea che è possibile occuparsi di politica, di vita pubblica mantenendo la propria integrità e mantenendo quelli che sono i valori che permettono di fare il meglio per gli altri.
Però alla fine ci si trova sempre di fronte alle difficoltà, a dover gestire le contraddizioni, cose complesse, è così che va. La politica è imperfetta come tutte le cose che fanno gli esseri umani, però è possibile farla bene in un modo che possa dare un contributo positivo alla società, oppure [farla] in un modo meno positivo che porta a divisioni tra le persone e a conflitti. Spero, soprattutto per i giovani che possano essere interessati a questa carriera o comunque a far qualcosa nel mondo, che [il libro] possa servire da guida per il loro impegno.
 
Sulla democrazia e l’informazione.
Viviamo in un’era in cui siamo davvero “annegati” dalle informazioni. Non abbiamo mai avuto così tante informazioni sulla punta delle dita e non abbiamo mai visto, come oggi, contestare la realtà così tanto. Ci sono alcuni che erroneamente informano in un modo che è davvero distruttivo per la nostra democrazia e non sono semplicemente i social media, anche se hanno accelerato questa tendenza. Credo che a causa della globalizzazione, della tecnologia e di tutti i cambiamenti che sono intervenuti, anche dal punto di vista demografico, le persone sono incerte e cercano risposte facili per spiegare le circostanze che confondono le loro vite.
È un momento in cui, se la storia ci insegna qualcosa, i demagoghi, i movimenti violenti possono guadagnare terreno e quindi è importante che, se le diamo valore, la democrazia ci porti a credere ai fatti, alla logica, alla ragione e per esempio allo stato di diritto e a delle normative sulle quali dobbiamo essere tutti d’accordo. Possiamo anche non essere d’accordo su problematiche specifiche, per esempio sulla politica fiscale o economica o su come affrontare il cambiamento climatico, però parte di queste normative dovrebbero far sì che non ci dovessimo chiamare e definire “orribili”, “terribili”, demonizzarci a vicenda e quindi inventare fatti e manipolare, complottare, perché allora la democrazia non funziona più, non è possibile arrivare a compromessi. Sempre più persone iniziano a credere che gli altri siano cattivi, che cerchino di minacciare il Paese. Allora come si può arrivare a un compromesso? In quelle circostanze non è possibile avere un dibattito democratico e pluralistico, è una cosa che tutti noi dobbiamo davvero affrontare. Dobbiamo da una parte gestire meglio i nostri social media, dall’altra educare i nostri bimbi a distinguere la verità dalle cose false in modo molto più efficace.
 
Disuguaglianze nel mondo.
È una delle problematiche che credo che tutto il mondo debba affrontare. La globalizzazione, la tecnologia, sono state davvero delle micce di ricchezza e ci sono state persone che si sono arricchite in modi mai visti prima nella storia umana. Questo non è sostenibile ovviamente. Se le nostre società hanno davvero una sperequazione così profonda tra i vertici e la massa delle persone, alla fine la gente penserà che il sistema è corrotto, proverà risentimento e avrà il desiderio legittimo di cambiamento. Dico sempre una cosa a tutti i miei amici che si occupano di affari: fa bene promuovere l’uguaglianza, bisognerebbe che tutti (loro) volessero una società dove di fatto gli stipendi sono equi, dovremmo tutti volere una società dove noi investiamo in modo che l’istruzione sia per tutti, per ciascun bimbo, perché così riusciremmo a stabilizzare di più anche la situazione economica e avremmo dei consumatori più istruiti che acquisterebbero dei prodotti migliori. Ci dovrebbe essere un interesse proprio dall’interno di coloro che sono al top del settore economico per trovare modalità per poter ridistribuire e reinvestire tutta quella che è la ricchezza, per il bene di tutti. Alcuni Paesi hanno fatto meglio di altri. Quando si guardano per esempio alcuni Paesi Scandinavi, non è che loro non abbiano un mercato libero ma le loro popolazioni riescono a beneficiare di assistenza sanitaria di base, una buona istruzione, e nessuno si trova tagliato fuori, né da una parte né dall’altra, tutti si sentono parte di un’unica comunità.  
Credo che ci siano davvero modalità per riuscire ad avere un capitalismo attento e anche, diciamo, comprensivo. Non ci deve però essere da parte del Governo un sentimento di avidità. Quando sono stato eletto Presidente nel corso della crisi finanziaria, avevamo messo a punto un sistema per prevenire una depressione e, come ho riconosciuto nel mio libro, non siamo stati in grado di risolvere alcune di queste problematiche quando avevo ancora la maggioranza al Congresso. Poi l’abbiamo persa e sfortunatamente i Repubblicani non avevano lo stesso tipo di interessi sui problemi economici.
 
Vivere alla Casa Bianca: pro e contro
Naturalmente è un grandissimo privilegio quello di essere Presidente, tuttavia, talvolta, si ha una impressione “falsa” perché si pensa che il Presidente viva gratuitamente, semplicemente perché è eletto Presidente. Noi dovevamo fare la spesa, certo non andavo io al supermercato, ma ce la pagavamo noi. Avevamo un budget entro il quale dovevamo stare. La Casa è bellissima e lo staff mi portava in giro, quindi non andavo a far benzina, non facevo questo genere di cose. La cosa interessante della presidenza degli Stati Uniti d’America, ancora di più rispetto ad alcuni Paesi europei dove il Presidente del Consiglio può, per esempio, vivere a casa propria, è che devi traslocare dentro questo ambiente davvero strano, perché, come lo descrivo nel mio libro, è come un albergo a cinque stelle dal quale non riesci ad andartene via. Hai dei privilegi incredibili, tutta una serie di cose a disposizione. D’altro canto c’è però il senso di isolamento, in un certo senso di prigionia, ed è una cosa alla quale non mi sono mai abituato. Avevo dei sogni ricorrenti in cui mi vedevo camminare in una strada normale, sedermi a bere un bell’espresso in un cafè, oppure andare a fare una passeggiata al parco, e nessuno mi riconosceva. Per me era una grandissima liberazione. Il fatto che ho avuto questo sogno ricorrente è un’indicazione che questo non è un modo naturale di vivere, però naturalmente è stato un piccolo sacrificio rispetto a ciò che abbiamo fatto.
 
Le prime settimane (viverci) è stranissimo però il personale è fatto da esseri meravigliosi che ti aiutano. La maggior parte del personale era afroamericano e latinoamericano e il personale della Casa Bianca era molto orgoglioso del fatto che qualcuno che abitava alla Casa Bianca assomigliasse ai loro figli o alle loro figlie o che Malia e Sasha assomigliassero alle loro nipoti. Ci hanno trattati meravigliosamente bene.
La cosa alla quale non ti abitui è l’isolamento. Al secondo piano della Casa Bianca avevamo la nostra residenza, alle 18.30 cenavamo e dopo andavo ad accompagnare a letto le mie figlie. La cosa più importante è che Michelle ha voluto cambiare l’arredamento delle camere delle bambine perché non voleva che avessero la sensazione di dormire in un museo, voleva che potessero appendere i poster delle loro popstar e degli attori preferiti, che si sentissero “normali”. Man mano che sono cresciute, invece che invitare i loro amici alla Casa Bianca, volevano andare loro a casa degli amici, perché almeno avevano la sensazione di stare in una casa normale senza essere nel mirino dei servizi segreti che stavano sempre con loro.
“Quando ero un bimbo il mio sogno più grande era quello di riuscire a giocare e a nuotare, perché ho vissuto l’infanzia in luogo che è fantastico per un bambino”. 
Crescendo volevo fare l’architetto e poi ero interessatissimo al basket ma non ero proprio “un LeBron James” e quindi, visto che non sarei mai stato lui, è stato un sogno che è sfumato in fretta. Come ho scritto anche nei libri precedenti, non ero uno che avesse mai avuto il sogno di diventare Presidente, il mio sogno era di essere un bravo ragazzo, i miei genitori, i miei nonni me l’hanno sempre detto. Volevano che potessi dare il mio contributo alla società, volevano che avessi un lavoro, che potessi pagarmi l’affitto.
È stato solo quando ero all’Università che mi sono davvero sensibilizzato alle problematiche sociali, ho partecipato al movimento anti-apartheid, ho iniziato a leggere di più ispirato dal movimento per i diritti civili, Gandhi, le personalità degli anni Sessanta. È stato questo che mi ha portato ad abbracciare la vita pubblica ed è stato solo molto più tardi che mi sono davvero reso conto e ho pensato “Forse sono davvero abbastanza bravo per riuscire a prendere la parola a nome di gruppi più nutriti della società”.
Anche il Presidente degli Stati Uniti non può controllare tutto.
La verità è che il lavoro da Presidente ti fa sentire potente, ma ci sono una serie di eventi, in tutto il mondo, che non puoi controllare anche se sei coscienzioso, anche se sei davvero efficente. Ci saranno comunque cose nel corso del mandato presidenziale che accadono e che ti spezzano il cuore. Uno degli esempi è ciò che è accaduto in Siria. La primavera araba ha avuto questa grande promessa e possibilità di democratizzazione in questa Regione. Però in luoghi come la Siria questa promessa è diventata una guerra civile, ciò ha dato adito al coinvolgimento di russi, iraniani, eccetera. Io ho dovuto prendere una serie di decisioni per riuscire a far sì di migliorare la situazione senza ri-invadere un altro Paese del Medioriente che pensavo fosse una cosa irresponsabile e controproducente. Avete visto le cose terribili che sono accadute, i flussi migratori che si sono verificati dopo. Questo è un esempio di come ti tocca profondamente una cosa quando accade e tu continui a chiedere se ci sia davvero qualcosa che tu possa fare. Ci sono dei momenti in cui hai la sensazione di essere svuotato, di non avere più risposte. D’altro canto ci sono stati dei momenti, che non descrivo in questo libro ma che descriverò nel secondo volume, come la crisi dell’Ebola nell’Africa occidentale, in cui sapevo di poter fare qualcosa. Abbiamo mobilitato la comunità internazionale, ci siamo mossi in fretta e quella che avrebbe potuto diventare una pandemia globale, una malattia estremamente mortale e terribile, è stata contenuta relativamente velocemente e abbiamo risparmiato centinaia di migliaia, se non milioni, di vite umane.
Da Presidente bisogna riconoscere che non si è in grado di fare tutto come si vorrebbe, però si può fare molto. Ho sempre detto ai miei collaboratori, quando a volte avevamo discussioni su dei problemi o mi dicevano “Non riuscirà a fare tutto ciò che vuole, signor Presidente”, io rispondevo che comunque avremmo migliorato le cose, più sanità per tutti, avremmo creato più posti di lavoro, ci sarebbero stati meno bambini poveri. Anche se non abbiamo risolto tutto, almeno alcuni problemi li abbiamo risolti e a loro ho sempre detto “facciamolo!”, e sono sempre stato soddisfatto.
L’assalto a Capitol Hill.
Non credo che potremmo mai cancellare quel momento, anzi penso che ce lo dobbiamo stampare nella mente perché ci deve ricordare il fatto che la democrazia non è un dono che viene dal cielo. È una cosa che invece tutti noi, cittadini dei nostri rispettivi Paesi, dobbiamo continuamente rinnovare, dobbiamo sempre investire nella democrazia.
Credo che lo stesso tipo di impulsi di estrema destra, di suprematisti, del razzismo che si è avuto a Capitol Hill qualche settimana fa, questo lo possiamo vedere praticamente in ogni Paese europeo. Di fatto c’è un conflitto in tutto il mondo, c’è una specie di gara tra coloro che credono nella democrazia, nell’inclusione, nelle possibilità economiche da dare a tutti, e coloro che credono invece nel tribalismo, nel conflitto, semplicemente perché c’è sempre un “noi” e un “voi”, gli altri sono il nemico e poi ci vuole sempre quello “forte” che ci deve aiutare a sconfiggere il nemico. Ebbene, quella tensione è ancora presente, anche se Joe Biden è stato eletto Presidente. Lo vediamo in Ungheria, in Turchia, nelle Filippine. Credo che tutti noi che crediamo in ciò che penso sia una storia migliore di progresso umano, che sia una storia di uguaglianza e di inclusività, che riconosce la dignità di tutti, dobbiamo darci da fare di più e combattere per i nostri principi. Spesso citavo Martin Luther King che dice “L’arco dell’Universo è molto lungo ma va verso la giustizia” e io ricordo sempre che questo arco si piega perché c’è la nostra mano che lo fa muovere nella direzione della giustizia, altrimenti si va nella direzione contraria.
Le 3 cose o i 3 momenti a cui tiene di più nella vita.
Se devo parlare di cose, mi piacciono i libri, non semplicemente leggerli perché imparo quando leggo, ma proprio l’oggetto-libro. Uno dei grandi tesori della mia vita è che ho ricevuto libri siglati da molti autori: Toni Morrison, Nelson Mandela, Gabriel García Márquez, il grandissimo scrittore latino-americano che mi ha donato una copia originale di “Cent’anni di solitudine”, uno dei suoi grandi capolavori, e nella sua dedica ha scritto “Cento anni”, ha cancellato solitudine e ha messo “amicizia” e poi ha firmato con il suo nome. Ecco queste sono cose che per me sono dei grandi tesori e li tengo come carissime.
Poi ho una collezione meravigliosa di palloni da basket; ormai non gioco più come una volta, ma la sensazione del palleggiare o giocare anche da solo mi piace tantissimo perché mi riporta a dei ricordi meravigliosi della mia gioventù, che sono molto importanti. Il basket è il collegamento delle varie fasi della mia vita.
I momenti della mia vita a cui tengo di più sono naturalmente quelli con le mie figlie. Adesso, a causa del Covid, sono rinchiuse in casa con noi e se ne vorrebbero andare, però per me avere la mia ventiduenne, la mia diciannovenne, a cena tutte le sere, ascoltarle per vedere che sono più brillanti, più intelligenti, più interessanti di me, per me è una soddisfazione.
Gioco della Torre: libri o palloni da basket?
Libri, perché purtroppo non posso più giocare a basket e a ottant’anni sarò ancora in grado di leggere libri, giocare a basket invece magari no. Non so se riuscirà a fare canestro a ottant’anni.
La copia autografata di Gabriel García Márquez o una cena con le sue figlie?
Assolutamente la cena con le mie figlie.
* * *

La scheda del libro: “Una terra promessa” di Barack Obama (Garzanti – traduttori Giuseppe Maugeri, Maria Grazia Galli, Paolo Lucca)

Un appassionante e personalissimo racconto in presa diretta del Presidente che ci ha dato la forza di credere nel potere della democrazia.

In questo libro attesissimo, Barack Obama racconta in prima persona la propria incredibile odissea, da giovane alla ricerca di un’identità a leader del mondo libero, e descrive con sorprendente ricchezza di particolari la propria educazione politica e i momenti più significativi del primo mandato della sua storica presidenza, un periodo di profonde trasformazioni e sconvolgimenti. Obama accompagna i lettori in un viaggio appassionante, dalle iniziali aspirazioni politiche fino alla decisiva vittoria nel caucus dell’Iowa – che ha dimostrato la forza dell’attivismo civile – e alla memorabile notte del 4 novembre 2008, quando è stato eletto 44° presidente degli Stati Uniti, diventando il primo afroamericano a ricoprire la più alta carica della nazione. Riflettendo sulla presidenza, Obama propone una acuta e inedita esplorazione delle grandi possibilità ma anche dei limiti del potere, e apre nuovi scorci sulle dinamiche del conflitto politico americano e della diplomazia internazionale. Ci conduce fin dentro lo Studio ovale e la Sala operativa della Casa Bianca, e poi a Mosca, Il Cairo, Pechino, e oltre. I lettori scopriranno ciò che Obama pensava mentre nominava i suoi ministri, fronteggiava la crisi finanziaria globale, si confrontava con Vladimir Putin, superava difficoltà all’apparenza insormontabili per ottenere l’approvazione della riforma sanitaria, si scontrava con i generali sulla strategia militare in Afghanistan, intraprendeva la riforma di Wall Street, rispondeva al disastro ambientale della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, e autorizzava l’operazione Neptune’s Spear, che ha portato alla morte di Osama bin Laden. Una terra promessa è un libro straordinariamente intimo e introspettivo. È il racconto della scommessa di un uomo con la Storia, della fede di un coordinatore di comunità messa alla prova della ribalta mondiale. L’autore si esprime con franchezza sulla difficoltà di far convivere il ruolo di candidato nero alla presidenza, il peso delle aspettative di un’intera generazione mobilitata da messaggi di «speranza e cambiamento», e la necessità di essere moralmente all’altezza delle decisioni cruciali da prendere. Descrive apertamente le forze che si sono opposte a lui negli Stati Uniti e nel mondo; spiega come la vita alla Casa Bianca abbia condizionato la moglie e le figlie; non esita a rivelare dubbi e delusioni. Eppure non smette mai di credere che, all’interno del grande e ininterrotto esperimento americano, il progresso è sempre possibile. Con grande efficacia ed eleganza di stile, questo libro sottolinea la strenua convinzione di Barack Obama che la democrazia non è un dono ricevuto dall’alto, ma si fonda sull’empatia e sulla comprensione reciproca, ed è un bene da costruire insieme, giorno dopo giorno.

 * * *

© Letteratitudine – www.letteratitudine.it

LetteratitudineBlog / LetteratitudineNews / LetteratitudineRadio / LetteratitudineVideo

Seguici su Facebook TwitterInstagram