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LEONORA CARRINGTON di Elvira Seminara (Perrone)

settembre 27, 2022

https://www.giulioperroneditore.com/wp-content/uploads/2022/09/Leonora-Carrington.jpg“Leonora Carrington” di Elvira Seminara (Giulio Perrone Editore, 2022)

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Elvira Seminara e quel diavolo di sabbia di Leonora Carrington

di Daniela Sessa

Ha il sottotitolo “Dea della metamorfosi” il volumetto dedicato a Leonora Carrington scritto da Elvira Seminara per la collana Mosche d’oro di Giulio Perrone diretta da Nadia Terranova, Viola Lo Moro, Giulia Caminito. A questo punto la recensione potrebbe dirsi conclusa. Vi spiego perché.

Creativa a tutto raggio, corpo e mente unificati. Se esiste un’idea di artista sciamana, capace di penetrare l’universo in chiave arcaica, di conversare con gli astri e coi teschi, ridendo e sbeffeggiando, senza dividere realtà e visione, vita e morte, è lei. Evanescente ed esatta, luminescente e oscura”. Qui sta la chiave della riluttanza (per ora tutta mia, ma sfido i lettori a non darmi ragione) a mantenere sul piano di Todorov autore, narratore e personaggio del libro di Elvira Seminara. Riluttanza e pigrizia: come si fa a rincorrere quel refolo demoniaco di Leonora Carrington se, mentre lo stai afferrando, la sua cantatrice si mette in mezzo e per magia diventa lei? Magia qui sta per creatività, per arte, per capacità di immaginazione, per senso evocativo della scrittura, per invasione del sogno nella realtà. Evanescenza ed esattezza, appunto. Se un binomio serve a fare sintesi dello stile di Elvira Seminara, evanescenza ed esattezza è quello giusto. Solo che il virgolettato lo ha scritto appunto lei ma per presentare Leonora Carrington.

Raccontare uno scrittore per chi fa lo scrittore di mestiere è una sorta di strep-tease delle proprie ispirazione e scrittura. Non serve arrivare alle note finali per scoprire perché Leonora Carrington è stata scelta da Elvira Seminara (la visita alla casa della scrittrice e pittrice surrealista in Messico, cui probabilmente risale l’interesse) perché loro due in qualche modo si somigliano, perché c’è una consonanza nel ritrarre il mondo, scomponendolo e ricomponendolo in altre forme. E tra queste forme ci sono i segni del linguaggio. Per entrambe materia magmatica da lavorare bruciandosi i polpastrelli: perché il linguaggio, che non scortica il reale e incenerisce la membrana tra razionalità e irrazionalità, tra realtà e sogno, difficilmente potrà dire la verità.

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Leonora Carrington

Leonora Carrington- Dea della metamorfosi” racconta la vita di un’artista tra le più inquiete del Movimento Surrealista. “La vita di Leonora è già un romanzo, mi è difficile isolarne tratti e metterli in sequenza, in progressione regolare. Lei è già tutta nel minimo, era già lei a sette anni, e a ventisei si dichiarerà vecchia, con brutale saggezza”. L’ossimoro, dunque, è la forma della sua esistenza come l’iperbole e l’accumulazione sono la cifra della sua arte. Ricca, libera e ribelle Leonora Carrington è un’esistenza aritmica. Sopravvive a dosi massicce di Cardiazol, un farmaco somministratole nel manicomio di Santander dove viene rinchiusa dalla famiglia, poi scappa in America e non torna mai più nella sua aristocratica Europa. Maestra del rifiuto: dell’educazione paterna, di studi regolari, di amori rassicuranti, di ruoli predefiniti. Guai a darle della musa, nemmeno di Max Ernst, l’artista a cui fu legata da un rapporto d’amore squinternato e drammatico. Guai a imporle una scuola artistica: in lei il surrealismo viene prima di Bretòn, perché le è connaturato né saprà definirsi una surrealista. Felice miscellanea di visite allo zoo da bambina, dei racconti materni di fate e re celtici, della folgorazione per il Quattrocento italiano di Paolo Uccello, per l’alchimia e l’esoterismo, l’arte surrealista scorre nelle sue vene come una sorta di automatismo artistico. Man mano che si scorrono i capitoli di “Leonora Carrington- Dea della metamorfosi”, Leonora smette di essere reale e diventa un personaggio partorito da una fervida immaginazione. La verità dell’artista incontra la verità del personaggio e la metamorfosi è mitopoiesi naturistica: basti pensare al gioco amoroso tra Leonora sposa del vento e Max re degli uccelli. Leonora disegna animali e in animale si trasforma. Lei è la iena come si può ammirare in Autoritratto, il dipinto in cui l’irruzione dei simboli onirici è epifania del perturbante. Leonora chiusa dentro una cornice ideale tra la iena, animale necrofilo e cruento, e il cavallo a dondolo, sublimazione dell’intollerabile privilegio da ricca britannica (il padre le regalò la cavalla Winkie). Seminara cita anche il cavallo bruciato in La dama ovale quale esempio del metalinguaggio carringtoniano.  Come non pensare all’iguana di Anna Maria Ortese, fosse solo per suggestione, fosse solo per la disforia totemica che le bestie incarnano. Tutti i quadri di Carrington sono la rappresentazione del perturbante: non esiste sogno che finisca al mattino, pare dirci Leonora, e ogni sogno merita la veglia e la trasformazione in segno. Seminara coglie il dualismo tra pittura e scrittura, ne segue a zig zag i sentieri verticali, attenta a non smarrirne la direzione osmotica “In entrambi, testi e dipinti, quell’emozione di sperdimento e folle evanescenza, quella tensione prensile che cattura il lettore/osservatore e lo traspone in una dimensione altra, perturbante, insieme ludica e feroce, dai nessi privi di una logica ordinaria. E se i racconti godono di grande densità pittorica, i dipinti appaiono molto narrativi. Attraversare la forma è attraversare lo specchio. Alice di Lewis Carrol è il convitato di pietra della vita di Leonora Carrington e del racconto che ne fa Elvira Seminara. Ed è una vera fascinazione, perché chi legge la scrittrice catanese ha pensato ad Alice almeno una volta. Ha pensato a quanta ossessione del simbolo scomposto vi sia nella sua scrittura squarciata dalla luce dell’ironia e dal buio di esistenze disilluse. Ha pensato all’abbrivio polisemico di una scrittura tagliente e disarmante (anche in questo libro), l’unica con cui poter raccontare un personaggio come Leonora, sulla quale tanto si è scritto ma senza tanto consonantico furore.

Al lettore di “Leonora Carrington- Dea della metamorfosi” lascio, ora et nunc, il piacere di avventurarsi nella storia dell’artista e letterata, cui spetterebbe l’onore, insieme ad altre come Remedios Varo, di far parte a pieno titolo del movimento surrealista. In fondo, fu proprio Carrington a voler rovesciare lo stereotipo delle donne musa “orbitanti ed emule del pantheon maschile”. Max Ernst andava quasi fiero della “beata ignoranza” di Leonora! Consiglio di leggere avidamente le pagine dedicate a “Il cornetto acustico”, a “Su e giù” e di soffermarsi sul lessico pirotecnico dell’autrice. Per autrice mi riferisco a Elvira Seminara: cadere nell’equivoco, a dispetto di grammatica, è facile. Più che altro tendenzioso e questo serve a fare una chiosa in forma di domande.

Leonora “eterea e indemoniata… travestita. Da iena. Giovanissima, beffarda e fiera” starebbe benissimo dentro un libro di Elvira Seminara, a rovistare tra abiti smessi da mettere in un suo quadro, magari gettato su una poltrona con gli stivaletti. Starebbe benissimo anche come diavolo di sabbia. Non solo perché il personaggio si spezza tra inconcludenze e prepotenze, ma perché questo spezzarsi e combinarsi è un fatto di linguaggio. Eliminare il punto di vista che è la rivoluzione narratologica compiuta da Elvira Seminara in “Diavoli di sabbia” (muovendosi un po’ più in là del narratore esterno alla Hemingway dei racconti e senza cedere alla teatralità, semmai alla semantica cinematografica del piano sequenza) per singolarizzare il dialogo come mise en presènce del personaggio, non ha qualcosa della combinazione dei soggetti sulla tela ossia della tecnica pittorica di Carrington? Se differisce il grado di investimento onirico, non è sempre una forma di sperimentazione di un nuovo rapporto tra autore, testo e fruitore?

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https://www.giulioperroneditore.com/wp-content/uploads/2022/09/Leonora-Carrington.jpgLa scheda del libro: “Leonora Carrington” di Elvira Seminara (Giulio Perrone Editore, 2022)

Pittrice, scrittrice, scultrice, creatura surreale. Per parlare di Leonora Carrington è bene rinunciare a ogni pretesa di etichetta e definizione. La sua vita – iniziata il 6 aprile 1917 nella contea inglese del Lancashire – è essa stessa un romanzo, tra l’infanzia ricca e insofferente in una villa gotica e le espulsioni dai collegi, le fughe e l’amore con Max Ernst, i soggiorni a Parigi e New York, il manicomio e la sua seconda vita, lunga quasi settant’anni, in Messico. Impossibile fermarla in un fotogramma, lei debordante e autarchica, in ogni età c’era già tutta: è già lei a sette anni, e a ventisei si sente vecchia. Sciamana geniale che conversò alla pari con astri e divinità, fantasmi e miti, avi e contemporanei, sempre in bilico tra gioco e delirio, sfida e abbandono. Alla ricerca – sempre – del segno esatto dentro la visione. Elvira Seminara accompagna sull’orlo Leonora Carrington, sino al baratro, ne segue lo sguardo cupo e incantato sul mondo, ne scruta le impronte magiche sulle tele, sulla pagina, sulla vita. La scrittrice catanese la evoca con la forza funambolica della sua scrittura rendendola viva e presente.
La invita a volare tra le Mosche d’oro e questa, più di ogni confessione o rivelazione, è una dedica d’amore: quanto sarebbe piaciuto, a Leonora, incarnarsi nell’insetto fastidioso e aureo, lei che volle disumanizzarsi sempre, che dipinse, tra artigli e code, se stessa in metamorfosi animale.

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Elvira Seminara vive tra Aci Castello e Roma. Tra i suoi romanzi, tradotti in diversi Paesi: L’indecenza (Mondadori, 2008); I racconti del parrucchiere (Gaffi Editore, 2009); Scusate la polvere (nottetempo, 2011); La penultima fine del mondo (nottetempo, 2013); Atlante degli abiti smessi
(Einaudi, 2015), I segreti del giovedì sera (Einaudi, 2020) e Diavoli di sabbia (Einaudi, 2022).

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