“Abel” di Alessandro Baricco (Feltrinelli)
* * *
di Daniela Sessa
Capita che, per scrivere una recensione, venga voglia di saltare tutte le regole. Quelle che impongono almeno un approccio analitico. Ma come si fa a essere analitici, distaccatamente analitici, quando si ha tra le mani un libro di Alessandro Baricco? Se quel libro è un romanzo che arriva dopo otto anni, se “Abel” arriva non tanto spiazzando tutti (un libro di Baricco spiazza per DNA) quanto portando i lettori dentro un luogo che non c’è, con personaggi evanescenti e un ossimoro come trama? Vabbè, ci sta: la letteratura non dà né chiede certezze. Però, a tutto ci sarebbe un limite; ma si può tirare in causa il limite se il limite lo pone Baricco? Domanda retorica, perciò meglio andare avanti e porne un’altra, che suonerà anch’essa retorica, ma tant’è. Che senso ha scrivere una recensione se già Baricco ha raccontato tutto del romanzo: genesi, scelte, obiettivi? Nessuno, se non che, riflettendoci un po’, c’è un campo che Baricco ha lasciato alla critica, forse per vedere l’effetto che fa, forse per celia: trovare la chiave di lettura. Compito arduo, ambizioso e, diciamo pure, un tantino pericoloso.
“Abel” è il vento che si insinua dentro una stanza e sposta le tende. Baricco lo presenta come western metafisico: ecco l’ossimoro. Nei film western si spara e qui, in verità si spara subito: d’altronde il maestro del genere Sergio Leone faceva dire a Clint Eastwood “Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile…” eccetera. Nei film western ci sono polvere di terreno e di pistole e pure questi ci sono. Nei film western ci sono stelle attaccate ai gilet di camoscio, stivali con gli speroni, saloon e puttane: qualcosa pure in “Abel”. Poi ci sono i film di John Ford e di Quentin Tarantino: l’uno il fondatore dell’etica western (virilità, persino nelle donne, e senso dell’onore), il secondo il dissacratore che mescola pulp e paradosso dentro un mirabolante fiume di pallottole (la scena della sparatoria finale di “The Hateful Height” dura qualcosa come 15 minuti). Di metafisica, nemmeno l’ombra. Ogni tanto intorno al fuoco e con il cucchiaio affondato nella latta dei fagioli buoni, brutti e cattivi si lasciano andare a qualche confidenza. Niente di che, niente di paragonabile alla ricerca aristotelica dell’ente in quanto ente. Ed ecco la folata di vento di Baricco. Imbattersi a meno di cento pagine in Hume, tanto per citare l’episodio più stravagante, il cui principio di causalità incrocia la fondina di Abel e l’ordine del filosofo è un uomo morto. O come nei passaggi più letteralmente metafisici, quelli in cui metafisica coincide con Dio. Passaggi come questo “Siamo gli unici razionali, in un mare di rintronati… Fammi esplodere quella chiesa, David, e al resto ci pensiamo io, Joshua e Abel. E’ la casa del Signore, Lilith. Stiamo parlando di uno che è nato in una grotta, David. Se la caverà”. Ci sono pagine così nel romanzo di Baricco, stravaganti. Tanto che a un certo punto sarebbe quasi plausibile trovarci i paladini di Ariosto al posto dei capitoli e delle pagine, tanta erranza c’è nel racconto. E come nel mondo di Orlando tutto si perde e tutto si ritrova, tutto può incantarsi dentro un castello o tra gli alberi di una foresta così nel mondo di Abel tutto scivola in una dimensione spaziotemporale inafferrabile. Inafferrabile come l’oltre terreno, quello che rimane un mistero tranne che si prendano per buone le Scritture. Se c’è un modo per entrare dentro l’esplosione dell’immaginazione, la fantasmagoria prestata alla classificazione del genere, la foresta di simboli baricchiana, la chiave è Abel. Ovvero la parodia della Bibbia malcelata nell’onomastica del mondo di Abel/ Abele con tanto di corvo/Crow nel cognome, con un Maestro e un angelo, una famiglia composta da Jacob, Lilith e David per citarne alcuni, con la donna amata Hallelujah. C’è una trama in “Abel” ed è la storia dello sceriffo Abel diventato famoso per aver sventato una rapina con il colpo Mistico, colpo simultaneo da due pistole, e che insieme ai fratelli va a liberare la madre dalla prigione. La trama inchioda perché Baricco è maestro nella narrazione. Ma c’è di più. Un bel po’ di anni fa, al Salone del Libro Baricco tenne una lezione sul silenzio e raccontò tra l’altro la storia di un bosco da cui si trae la legna per fabbricare i violini: le sue parole erano le note dei violini e l’unico rumore da opporre al silenzio, a tutto il silenzio. Leggere “Abel” è tornare dentro il bosco dei violini anche se con il fischio delle pallottole, con il gelo della bufera in cui Abel incontra il suo angelo, con la morte: di più c’è “una voce di cuoio e di agave che molte cose raccontava”. Nel romanzo la voce è di Betsabea, ma piace pensare sia la voce di Baricco, il cui ritorno alla scrittura è potentissimo. Ci si potrebbe chiedere se “Abel” sia il frutto di una ricerca spirituale o un modo per trastullarsi con la vita, la morte e le parole che le dicono. Ha ragione Emanuele Trevi quando scrive di una “torsione allegorica” riguardo l’operazione letteraria di Baricco. Cosa c’è di più allegorico di un Dio diventato la sella del cavallo di un pistolero? “Disse che nessuno sapeva quante storie contenesse quella sella, neanche lui, ma forse questo era il senso del lungo andare nella vita, scoprire quante storie camminano con noi”. Cosa c’è di più sirenico di una storia in cui alla fine capisci di essere entrato dentro il labirinto della scrittura e in cui Baricco assomiglia al signor Wood, un po’ medico un po’ sciamano, cui Abel deve raccontare una storia che non termina mai? In fondo si torna all’archetipo delle narrazioni, alle Mille e una notte. Le Mille e una notte del West.
* * *
La scheda del libro: “Abel” di Alessandro Baricco (Feltrinelli, 2023)
Ha ventisette anni, Abel, quando diventa leggenda. Ha messo fine a una rapina sparando simultaneamente con due pistole contro obiettivi diversi. Un colpo detto il Mistico, che pochi sono in grado di mettere a segno con la sua precisione.
È lo sceriffo della cittadina di un Ovest immaginario ed è innamorato di Hallelujah Wood, una donna che ha addosso una specie di mistero, mani piccole e labbra orientali. Anche lei lo ama: ogni tanto parte senza che lui sappia dove va – “passiamo senza fermarci, è inteso così” –, ma torna sempre. La madre di Abel, invece, anni prima se n’è andata per non tornare mai più. Ha preso i quattro cavalli migliori e ha lasciato lui, i fratelli e la sorella al loro destino.
Una bruja una volta gli ha detto: “Sarà molto doloroso, ma un giorno, Abel, te lo prometto, nascerai”.
Alessandro Baricco dà vita a uno straordinario romanzo che è una storia spirituale, sapienziale, e al tempo stesso un western dove la scrittura è geometrica e il racconto visionario.
* * *
Alessandro Baricco è nato a Torino nel 1958, si laurea in Filosofia con una tesi in Estetica. L’amore per la musica e per la letteratura ispireranno sin dagli inizi la sua attività di saggista e narratore.
Come saggista esordisce con Il genio in fuga. Due saggi sul teatro musicale di Gioacchino Rossini (Il Melangolo, 1988; Einaudi, 1997). Castelli di rabbia (Rizzoli, 1991; Universale Economica Feltrinelli, 2007), suo primo romanzo, Premio Selezione Campiello e Prix Médicis Étranger, è un’autentica rivelazione nel panorama della letteratura italiana e ottiene il consenso della critica e del pubblico. Seguono Oceano Mare (Rizzoli, 1993; Universale Economica Feltrinelli, 2007), Premio Viareggio e Premio Palazzo al Bosco; il monologo teatrale Novecento (Feltrinelli, 1994; edizione speciale, 2014; “Audiolibri – Emons Feltrinelli”, 2011) da cui Giuseppe Tornatore trae il film La Leggenda del pianista sull’oceano; Seta (Rizzoli, 1996; Fandango Libri, 2007), portato sullo schermo da François Girard con una produzione e un cast internazionali, City (Rizzoli, 1999; Universale Economica Feltrinelli, 2007) e Senza sangue (Rizzoli, 2002; la graphic novel in “Feltrinelli Comics”, 2019, con Tito Faraci e Francesco Ripoli), tutti tradotti all’estero e recensiti dalle maggiori testate internazionali, dal ‟Guardian” al ‟New York Times”, da ‟Libération” a ‟Le Monde”. Tra i saggi, L’anima di Hegel e le mucche del Wisconsin (Garzanti, 1993); Barnum. Cronache del Grande Show (Feltrinelli, 1995) che raccoglie gli articoli comparsi nell’omonima rubrica curata ogni mercoledì sulle pagine culturali del quotidiano torinese ‟La Stampa” e Barnum 2. Altre Cronache del Grande Show (Feltrinelli, 1998), in cui sono raccolti gli articoli frutto della collaborazione con ‟la Repubblica”; è del 2002 Next. Piccolo libro sulla globalizzazione e sul mondo che verrà. Compare in televisione nelle trasmissioni culturali ‟L’amore è un dardo”, sull’opera lirica, e ‟Pickwick”, dedicata ai libri. Tra le attività teatrali che lo vedono autore, regista e interprete, dopo i successi di Totem (di cui Fandango Libri ha pubblicato il libro nel 1999, Rizzoli due videocassette nel 2000 e Einaudi una videocassetta nel 2003) e di City Reading Project per il Romaeuropa Festival 2002 che ha dato origine a un volume fotografico (Rizzoli, 2003), Baricco ha realizzato Omero, Iliade, in tre serate, realizzandone poi il libro (Feltrinelli, 2004). Nel 2003 pubblica per Dino Audino Editore la sceneggiatura di Partita Spagnola, di cui è autore con Lucia Moisio. Nel 2005 è socio di Fandango Libri. Dello stesso anno è il romanzo Questa storia (Fandango Libri, 2005; Universale Economica Feltrinelli, 2007) cui segue, l’anno dopo, I Barbari. Saggio sulla mutazione (Fandango Libri, 2006; Universale Economica Feltrinelli, 2008), precedentemente pubblicato a puntate su ‟la Repubblica”. Nel 2007 propone all’Auditorium Parco della Musica di Roma una lettura interpretata (e ridotta) di Moby Dick, poi confluita in Herman Melville. Tre scene da Moby Dick (Fandango, 2009; Feltrinelli 2017). Tra le sue opere più recenti: Emmaus (Feltrinelli, 2009), Mr Gwyn (Feltrinelli, 2011), Tre volte all’alba (Feltrinelli, 2012), Una certa idea di mondo (Gruppo Editoriale L’Espresso, 2012; Feltrinelli, 2013), Palladium Lectures (2 dvd + libro; Feltrinelli, 2013), Smith&Wesson (2014), La sposa giovane (2015), Il nuovo Barnum (2016), Seta (2016; edizione cartonata con le illustrazioni di Rebecca Dautremer), Melville. Tre scene da Moby Dick, con Ilario Meandri (Fandango, 2009; Feltrinelli 2017), The Game (Einaudi, 2018) e The Game. Storie del mondo digitale per ragazzi avventurosi (Feltrinelli, 2020; con Sara Beltrame).
Nel 1994 ha ideato e fondato la Scuola Holden a Torino, di cui è preside.
* * *
© Letteratitudine – www.letteratitudine.it
LetteratitudineBlog / LetteratitudineNews / LetteratitudineRadio / LetteratitudineVideo
Seguici su Facebook – X (ex Twitter) – Instagram