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PAOLO COGNETTI racconta GIÙ NELLA VALLE (Einaudi)

dicembre 15, 2023

Giù nella valle - Paolo Cognetti - copertinaCome nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: PAOLO COGNETTI racconta il suo romanzo “Giù nella valle” (Einaudi)

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di Paolo Cognetti

Da anni volevo scrivere un libro tratto dal disco Nebraska di Bruce Springsteen. Non mi ricordo più nemmeno da quando: forse tre anni fa ho mandato a mio padre il video di My Father’s House, mentre da molto più tempo, a casa, io e Federica ci guardiamo quello di Highway Patrolman. In quel video ci sono immagini del primo film di Sean Penn, The Indian Runner, con un giovane Viggo Mortensen, Patricia Arquette e Valeria Golino. Il film di Penn è ispirato proprio alla canzone di Springsteen, che non fa da colonna sonora: è la sceneggiatura stessa. La title-track Nebraska, a sua volta, è ispirata a un film d’esordio, Badlands di Terrence Malick, tratto da una storia vera. Quella di due adolescenti che alla fine degli anni ’50 si danno a una fuga d’amore, e durante la fuga il ragazzo uccide 10 uomini a partire dal padre di lei. Insieme una love-story, un on the road e un horror. Insomma il disco ha radici e ramificazioni nella storia e nell’arte americane, da cui io come narratore provengo. E se un fatto ispira un film, un film ispira una canzone, una canzone ispira un altro film, perché non provare a scriverci un romanzo? Avevo in mente il modello altissimo di Non al denaro né all’amore né al cielo di Fabrizio De André (i modelli è sempre meglio sceglierseli altissimi, non ci vuole la modestia nell’arte), tratto dall’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Quell’album mi rassicurava sul fatto che il romanzo non sarebbe sembrato un’americanata: il disco di André è puro De André, secondo Fernanda Pivano perfino superiore alle poesie originali. E il mio romanzo sarebbe stato un romanzo italiano, mio, ambientato sulle Alpi. Però ci ho messo comunque un po’ di anni a maturare l’idea.
https://letteratitudinenews.files.wordpress.com/2016/12/paolo-cognetti.jpgEro poi infastidito da certe critiche mosse a La felicità del lupo (anche la rabbia è un bel motore per scrivere). Un romanzo che avevo scritto durante il lockdown del 2020, lontano dalla montagna, preso da un senso di nostalgia e di sconforto per la situazione che stavamo vivendo. Ne era uscito un libro pieno d’ossigeno, di vita all’aria aperta, di boschi, ghiacciai, neve, perché era il mio modo ogni mattina di alzarmi dal letto a Milano e andare in montagna, ignorando le sirene delle ambulanze fuori. E insieme all’aria c’erano i buoni sentimenti in quel periodo così difficile: l’amicizia, l’accoglienza, la comprensione, l’amore. Poi qualcuno l’ha definito un libro-coccola, un libro-carezza, e mi sono girate le scatole. I libri devono far male!, mi hanno detto (non sapevano, questi, dei lettori che mi scrivono da un letto d’ospedale, raccontandomi che per un’ora ho alleviato le loro sofferenze). D’accordo, ho pensato, adesso ve lo tiro io un bel cazzotto. Per cui in verità Giù nella valle non è proprio il mio Non al denaro, è più la mia Avvelenata.
Le canzoni del disco si prestavano benissimo al progetto, sono dieci racconti diversi ma non fai nessuna fatica ad accorparli e intrecciarli tra loro, perché hanno tutti lo stesso tono nero, e personaggi simili. Io ne ho tirati fuori tre: un poliziotto che nella mia storia è diventato un forestale, problemi d’alcol, anche se ha una moglie e cerca di rigare dritto (qui il verso decisivo di Highway Patrolman è stato ho sempre fatto un lavoro onesto, o almeno più onesto che potevo); suo fratello, che viene dalla stessa canzone, ma è il delinquente di un paio d’altre, in particolare Johnny 99 (dove beve vino e gin, uccide un guardiano notturno, e ha un soprannome dovuto al fatto che gli hanno dato 99 anni di galera); e la moglie del forestale, la Maria o Mary che Springsteen evoca in diverse canzoni, in particolare in The River. E come in The River i due si innamorano da giovani facendo il bagno al fiume, poi crescono, il fiume si secca, uno perde il lavoro, l’amore inaridisce… Un altro verso che ricorre in un paio di canzoni e che mi ha ispirato era questo: Poi ho smesso di pagare i debiti, era come essere derubati.
Finisco qui di spiegare le citazioni perché è bello che i lettori le trovino da soli. A volte i miei lettori ne trovano alcune che non pensavo nemmeno di averci messo, e mi dico “Ma certo, questa scena l’hai presa da lì!”. Per esempio non mi era così chiaro di aver riscritto due scene di Rambo, quando un fratello scappa nel bosco con una moto da cross, o quando l’altro è inseguito dai cani da caccia. Me l’ha detto il mio amico Nicola Magrin. Scrivendo mi sono anche accorto di quanto fosse importante per me Lo chiamavano Trinità: anche lì c’è lo sceriffo, che in realtà è un delinquente travestito, che vive tranquillo finché non arriva suo fratello, che è un delinquente onesto, e gli manda all’aria la recita. Stessa situazione di Il buono, il brutto e il cattivo: quando Tuco, il brutto, va a trovare suo fratello Pablo, che fa il prete in una missione. E gli dice: vedi Pablo, dove siamo cresciuti io e te solo due strade potevi prendere, o il ladro o il prete, tu hai preso quella più facile. Per cui non venire a farmi la morale. Ecco, Tuco è diventato il mio Fredo.
File:Paolo cognetti.jpgInsomma si è capito che è un libro iper-letterario, iper-musicale e iper-cinematografico? Ma non vorrei che pensaste che è tutto frutto di roba vista al cinema. Ogni immagine che c’è dentro io l’ho vista coi miei occhi negli ultimi 15 anni, sono come delle polaroid. Soprattutto nei vari bar di montagna che ho frequentato, in tante valli diverse, tutte belle e tutte brutte allo stesso modo. Li ho frequentati per bere, mica per spiare. Ma lì ne ho viste, cose, che voi umani non potreste immaginare: un poliziotto ubriaco al bancone, in divisa, che si accasciava con la pistola nella fondina; un uomo con la testa spaccata da una roncola, carcere, tentato omicidio; un cervo appeso al verricello di un elicottero, perché era troppo grosso per portarlo giù a piedi; e ho sentito raccontare di discariche abusive lungo il fiume, cani da combattimento che scappano e fanno stragi, e così via. È tutto vero, o perlomeno inventato al bar. La montagna è stata per anni la mia miniera d’oro per questo semplice motivo: vedi cose che la città nasconde, almeno se non lavori in polizia, o forse al pronto soccorso. Per questo il giallo è un genere così importante per capire dove e quando viviamo.
Ho quasi finito, cos’è che mi mancava? Ah sì, un posto. Se avessi inventato un nome sarebbe sembrata un po’ troppo una favola nera. Mi serviva un posto reale anche perché io ho bisogno di descrivere luoghi che ho visto coi miei occhi. Ho scelto un fondovalle che conosco bene (ma la storia è ambientata nel fondovalle, non c’è nessuna montagna qui) e ci ho messo i nomi dei miei bar, e il paese immaginario del mio romanzo precedente, che è un ritratto del paesello dove abito in estate. Vedete un po’ che giochi di prestigio si possono fare con la scrittura.
Ho cominciato il 27 gennaio 2023 perché era il giorno del mio compleanno, facevo 45 anni. Per questo la poesia di Carver in apertura. È anche il Giorno della Memoria, come sappiamo. Vi racconterò una storiella su questo: il padre di una mia ex fidanzata (a cui voglio sempre un sacco di bene, se mai leggesse queste righe) si chiamava Libero per essere nato il 25 aprile 1945. Non ricordo più come i genitori lo volessero chiamare, ma una settimana dopo la Liberazione andarono in anagrafe a Milano e trovarono un impiegato che disse: Eh no, questo bambino è nato il 25 aprile, deve chiamarsi Libero! Una storia che mi è sempre piaciuta moltissimo. Se i miei avessero trovato un impiegato così mi chiamerei Memore, che sarebbe un nome un po’ difficile da portare ma andrebbe benissimo per me. Infatti mi ricordo tutto, a parte i vuoti di memoria dovuti all’alcol, che forse consumo proprio per non ricordarmi davvero tutto.
Sono una persona precisa (si deve, il mestiere di scrittore è talmente libero e solitario) e avevo pensato: Be’, ormai ho le idee abbastanza chiare, ci metterò un annetto a scrivere questo romanzo. Invece è successo che il 31 marzo era finito. Sono stati i due mesi di scrittura più intensi della mia vita e ne sono molto felice.
Sono anche contento che quella fluidità dalla scrittura sia passata alla lettura, tanti lettori mi dicono di averlo cominciato e finito in un colpo solo, un paio d’ore di divano e via. Spero vi piaccia!
Un abbraccio
Paolo

(Riproduzione riservata)

© Paolo Cognetti

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La scheda del libro: “Giù nella valle” di Paolo Cognetti (Einaudi, 2023)

Ci sono animali liberi, cupi e selvatici, altri che cercano una mano morbida e un rifugio. In mezzo, tra l’ombra e il sole, scorre il fiume. I due fratelli sono Luigi e Alfredo, un larice e un abete: a dividerli c’è una casa lassù in montagna, ad avvicinarli il bancone del bar. E poi Betta, che fa il bagno nel torrente e aspetta una bambina. In questo romanzo duro e levigato come un sasso, Paolo Cognetti scende dai ghiacciai del Rosa per ascoltare gli urti della vita nel fondovalle. La sua voce canta le esistenze fragili, perse dietro la rabbia, l’alcol e una forza misteriosa che le trascina sempre più giù, travolgendo ogni cosa. Lungo la Sesia come in tutto il mondo, a subire il dolore dell’uomo restano in silenzio gli animali e gli alberi.

Un padre ha piantato due alberi davanti alla sua casa, uno per ogni figlio. Il primo, un larice, è Luigi, duro e fragile, che in trentasette anni non se n’è mai andato dalla valle. Lui e Betta si sono innamorati facendo il bagno nelle pozze del fiume, tra le betulle bianche: ora non succede più così di frequente, ma aspettano una bambina e nell’aria si sente il profumo di un nuovo inizio. Lui ha appena accettato un lavoro da forestale, lei viene dalla città e legge Karen Blixen. L’altro albero è un abete: Alfredo è il figlio minore, ombroso e resistente al gelo, irrequieto e attaccabrighe. Per non fare più guai ha scelto di scappare lontano, in Canada, tra gli indiani tristi e i pozzi di petrolio. Ma adesso è tornato. Alfredo e Luigi in comune hanno due cose. La prima sta in un bicchiere: bere senza sosta per giorni, crollare addormentati e riprendere il mattino dopo, un bianco, una birra, un whisky e avanti ancora un altro giro, bere al bancone dove si scommette se l’animale che uccide i cani lungo gli argini sia un lupo, un cane impazzito o chissà cosa. Oltre all’alcol però c’è la casa davanti a quei due alberi. Adesso che il padre se n’è andato, Alfredo è tornato in valle per liberarsi dei legami rimasti: lui non lo sa, ma quella stamberga da un giorno all’altro potrebbe valere una fortuna. Col passo rapido e la lingua tersa dei grandi autori, Paolo Cognetti ha scritto il suo “Nebraska”.

Paolo Cognetti al Premio Strega 2017

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Paolo Cognetti

Paolo Cognetti (foto © Stephan Vanfleteren)

Paolo Cognetti è nato a Milano nel 1978. Tra i suoi libri: Sofia si veste sempre di nero (minimumfax 2012), Il ragazzo selvatico (Terre di mezzo 2013) e Senza mai arrivare in cima (Einaudi 2018 e 2019), La felicità del lupo (Einaudi 2021 e 2023) e Giú nella valle (Einaudi 2023). Nel 2021 ha curato L’Antonia su Antonia Pozzi (Ponte alle Grazie). Sempre nel 2021 è uscito il film-documentario Paolo Cognetti. Sogni di Grande Nord. Le otto montagne (Einaudi 2016 e 2018), è stato tradotto in oltre quaranta paesi e ha vinto il Premio Strega, il Prix Médicis étranger e il Grand Prize del Banff; il suo adattamento cinematografico, diretto da Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, ha vinto il Premio della giuria del 75° Festival di Cannes e quattro David di Donatello, tra cui quello per il Miglior film.

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