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LA RAGAZZA DELLE ARANCE di Jostein Gaarder (una recensione)

dicembre 30, 2014

LA RAGAZZA DELLE ARANCE di Jostein Gaarder (TEA – traduz. di L. Barni)

Vive solo chi osa farlo!

di Katya Maugeri

[…] Immagina di trovarti sulla soglia di questa favola, in un momento non precisato di miliardi di anni fa, quando tutto fu creato. Avevi la possibilità di scegliere se un giorno avresti voluto nascere e vivere su questo pianeta. Non avresti saputo quando saresti vissuto, e non avresti neppure saputo per quanto tempo saresti potuto rimanere qui, ma si trattava comunque soltanto di qualche anno. Avresti solo saputo che, se avessi scelto di venire al mondo un giorno, quando i tempi fossero stati maturi, come si dice, o “a tempo debito”, allora un giorno avresti anche dovuto staccarti da esso e lasciare tutto dietro di te. […] Cosa avresti scelto se ne avessi avuta l’occasione? Avresti scelto di vivere per un breve momento sulla terra, per poi, dopo pochi anni, venire strappato da tutto quanto e non tornare mai più? O avresti rifiutato?

Una lettera che narra la storia di Jan Olav. Un tram. Oslo. Una lettera scritta da Jan per suo figlio, prima di morire. “La ragazza delle arance” di Jostein Gaarder, romanzo delicato, struggente, fantasioso, pubblicato in Italia nel 2004. Uno di quei libri che diventano manuali di vita.
La lettera narra una storia d’amore, raccontata in prima persona, dal protagonista quando era uno studente universitario. L’incontro con una ragazza, il primo approccio e l’intensa evoluzione di un romanzo che non dimenticherete. Intenso sin dalle prime pagine, travolgente ed emozionante.
Un puzzle da ricomporre, pagina dopo pagina. La ragazza delle arance, una sconosciuta che Jan aveva incontrato per caso su un tram di Oslo quand’era diciannovenne. Il giaccone arancione perfettamente in tinta con il contenuto di un grosso sacco di carta che la ragazza reggeva tra le braccia: delle arance. L’emozione di voler far colpo sulla ragazza, il risultato buffo e ironico di un giovane inesperto che decide di volerla incontrare nuovamente. Inizia la ricerca nei luoghi in cui Jan crede di poter trovare la ragazza. A volte le sfugge altre riesce ad avvicinarla. La cerca anche oltre i confini della Norvegia.
Jan Olav è molto malato e decide di scrivere a suo figlio Georg una lettera per trasmettergli e raccontargli la sua passione per l’universo e l’amore per la vita, nonostante la malattia.
Georg ritroverà la lettera adolescente. Parole che sprigionano poesia, dolore, nostalgia, malinconia, ma che avvolgono il lettore con la meraviglia e il fascino dell’esistenza. Il romanzo diventa così un percorso che il lettore intraprenderà ponendosi delle domande, le stesse che Jan pone al figlio, su questo universo così misterioso, su questa vita così intensa, ma allo stesso tempo così fugace, breve, inafferrabile. Il mistero dell’universo racchiuso all’interno di una lettera, quella che un padre scrive per il proprio figlio, per timore di lasciarlo in balia di quesiti troppo complessi da risolvere cercando di tracciare un percorso, una mappa per non lasciarlo solo, quando solo inevitabilmente lo sarà, senza di lui. Un’atmosfera onirica accompagnerà il lettore durante l’intera storia che – passo dopo passo – assumerà colore, odore, quesiti da risolvere, realtà da accettare. Le riflessioni di Georg vi affascineranno a tal punto che sentirete anche vostra questa lettera scritta con entusiasmo e passione. Un padre che non teme la morte, che accetta il mistero dell’universo con tutti gli imprevisti che possono accadere durante un viaggio. Le domande di Jan diventeranno domande alle quali cercherete risposta riferendovi alla vostra vita.
imageUn romanzo di formazione. Con eleganza e delicatezza l’autore riesce ad affrontare temi importanti senza però superare il limite della fantasia, lasciando una porta aperta che conduce verso il “sogno improbabile” chiamato speranza. Un libro che vi condurrà lontano, alternando stati d’animo di tristezza e stupore, di fragilità e determinazione. Gaarder riesce, con incanto, a insegnare – non solo a Georg – che tutto ciò che possediamo è un dono prezioso da custodire, che la vita stessa rappresenta una fonte inesauribile di scoperta, di insegnamenti da captare, di domande alle quali rispondere cercando risposte senza timore di scoprire scomode verità. Un libro che viaggia tra dubbi esistenziali e certezze acquisite. Lo stesso Jan scriverà: “O sarei diventato un poeta, cioè una persona che celebra con le proprie parole questo mondo incantato nel quale viviamo, ma di sicuro te ne ho già parlato. Oppure sarei diventato medico, cioè una persona al servizio della vita”. Georg, attraverso la lettera, comincia a conoscere il padre, sentendolo quasi accanto a lui, annullando la distanza e la triste realtà. Un inno alla vita, il “carpe diem” che cerchiamo con coraggio di afferrare. L’autore spiega il perché delle cose e degli eventi a un figlio che “ascolta” le parole scritte in una lettera che diventa quasi la mano del padre, una mano che lo sorregge conducendolo lungo un percorso, chiamato vita, spiegandogli quanto sia importante scegliere, non accontentarsi, non temere le difficoltà.
“La ragazza delle arance” è un vortice di riflessioni sulla vita, sulla morte, sull’importanza di comprendere il reale significato degli eventi inaspettati, spesso offuscata dalla superficialità materiale. L’autore gioca con il caso, con il destino quasi come fossero delle pedine da spostare, rispettando le regole – questo cerca di trasmettere a Georg – perché solo così il destino potrà compiersi. Un crescendo di emozioni che vi lascerà senza fiato, un inno alla bellezza, quella che gli uomini dovrebbero imparare a contemplare, un inno alla gioia e la graduale presa di coscienza che la vita non va sprecata, nemmeno un giorno perché di questa favola nella quale viviamo non conosciamo l’evolversi degli eventi, non ne conosciamo la fine, e non possiamo permetterci di arrivare con bagagli vuoti e colmi di rimpianti.
Questo viaggio che Gaarder ci propone non ha come meta una soluzione finale con la quale risolvere ogni enigma, ma ci pone le domande giuste per intraprendere il cammino verso l’introspezione. E la sobrietà che caratterizza il suo stile, lascia un senso di meraviglia, di bellezza e d’incanto. Riesce a emozionare, a coinvolgere emotivamente il lettore, consente di ammirare ciò che la frenesia dei giorni cerca di allontanare.
La lettera di un padre che non si lascia intimorire dalla morte e, sebbene in modo bizzarro, decide di lasciare al figlio un’importante eredità emozionale, rassicurandolo, donandogli lo strumento giusto per affrontare ogni battaglia: ”Sognare qualcosa d’improbabile ha un proprio nome. Lo chiamiamo Speranza”.

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Katya Maugeri cura la rubrica “Sapore di libri presso il quotidiano online Sicilia Journal, diretto da Daniele Lo Porto 

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