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ROMÀNS – Pier Paolo Pasolini

In occasione del quarantennale della morte di PIER PAOLO PASOLINI (Bologna, 5 marzo 1922 – Roma, 2 novembre 1975) pubblichiamo un estratto dell’introduzione del volume ROMÀNS, di Pier Paolo Pasolini (Guanda – a cura di Nico Naldini)

In collegamento con il forum di Letteratitudine dedicato al quarantesimo anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini

INTRODUZIONE

Se si fa attenzione alle date di composizione si vedrà che il racconto lungo Romàns e quello più breve Un articolo per il « Progresso » sono il primo risultato di mimesis realistica della narrativa pasoliniana. La realtà rappresentata: l’ambiente popolare friulano del dopoguerra con le tensioni sociali e ideologiche proprie di un impegno al rinnovamento in atto dalla fine del fascismo.
Un mondo sociale in cui vengono subito distinte, secondo gli schemi del realismo classico, alcune delle sue componenti: il ceto dei piccoli proprietari terrieri, quello dei contadini poveri, mezzadri e fittavoli di proprietà altrui, quello poverissimo dei braccianti. Più in basso ancora, e quasi occultato nella propria miseria, una specie di sottoproletariato di lavoranti a ore che potranno trovare un riscatto solo emigrando all’estero. Se non si tengono a mente queste divisioni di classe, che oggi sembrano del tutto superate ma che alla fine degli anni Quaranta si presentavano agli occhi di Pasolini con tutta la loro dinamica di conflitti nascenti, forse non si capirà il pathos sociale di questi racconti e quanta parte di esperienza del mondo popolare lasciano già intravedere. Il mondo degli « altri » cui Pasolini sentiva di dover sacrificare i suoi privilegi di classe e di cultura. E poiché sono gli altri « che fanno la storia », esigeva un mutamento profondo anche di se stesso. Semplificando all’estremo si potrebbe dire: Pasolini, cresciuto nel mito novecentesco dell’autonomia dell’arte in cui l’unico canone di giudizio era quello estetico e la cultura si svolgeva tutta sotto il segno del tecnicismo e della filologia, attraverso una serie di passaggi razionali ma in cui la passione aveva sempre indicato la strada giusta, aveva commisurato il gusto estetico alle virtù sociali e l’antirealismo tipico della letteratura del Novecento a un’arte asservita a ideali etico-fantastici al cui centro c’era il popolo, oggetto di pietà e di amore. Nessuna remora da parte di Pasolini a denunciare il proprio « populismo », l’« umanitarismo » – che gli furono rimproverati dalla cultura ufficiale della sinistra degli anni Cinquanta – e a considerare il messaggio dei Vangeli alla radice della rivoluzione socialista.
La negazione di ogni tipo di settarismo, la letteratura concepita come dialogo storico e non come monologo metastorico, il primato dell’esperienza esistenziale sul dogma dottrinario sono all’origine di ogni sua svolta, mentre la virtù cristiana della carità unita all’ordine razionale marxista gli aveva consentito non solo delle convinzioni, ma anche delle contraddizioni che hanno dato flessibilità intuitiva al suo pensiero.
« Cristo, facendosi uomo, ha accettato la storia » scrive nel 1954 al poeta cattolico Carlo Betocchi, « non la storia archeologica, ma la storia che si evolve e perciò vive: Cristo non sarebbe universale se non fosse diverso per ogni diversa fase storica. Per me in questo momento le parole di Cristo: ’Ama il prossimo tuo come te stesso’ significano: ’Fa’ delle riforme di struttura’. »
Un personaggio di Romàns si esprime quasi con le stesse parole: « Voi preti non capite quale missione abbiate, oggi, nel mondo. Come spiegarle che Cristo dicendo: conforta gli ammalati, sfama gli affamati ecc., per noi del nostro tempo, voleva dire: Fate delle riforme di struttura? Ma voi sembrate non credere all’universalità della parola di Cristo e al suo valore eterno: se Dio si è fatto uomo, è entrato nel tempo, vuol dire che ha accettato la temporalità, cioè la storia ». Leggi tutto…