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VIRDIMURA di Simona Lo Iacono (Guanda) – recensione #2

Virdimura - Simona Lo Iacono - copertina“Virdimura” di Simona Lo Iacono (Guanda, 2024)

[Simona Lo Iacono ha raccontato la genesi di “Virdimura” su questo post di Letteratitudine]

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di Emma Di Rao

Non c’è alcun dubbio che ogni opera di Simona Lo Iacono sia attraversata dal proposito dell’autrice di porsi in ascolto dell’“affaticato rumore del mondo” e di prendersene cura. Una cura sapientemente affidata alle parole scritte, quelle parole che, fissate nella forma definitiva, appaiono capaci di resistere allo scorrere del tempo e che non vengono del tutto cancellate nemmeno quando, incise con un bastoncino sulla sabbia, siano raggiunte dall’onda del mare.
Nel nuovo romanzo dal titolo “Virdimura”, edito da Guanda, la cura, intesa come medicamento dell’anima prima che del corpo, diviene addirittura il progetto di vita della protagonista che tra innumerevoli difficoltà, diffidenze e sospetti consacra la propria esistenza all’esercizio dell’arte medica. Restituita a noi da antichi documenti con un’identità che la connota come la prima donna ad aver ottenuto la licentia curandi, Virdimura ha il nome che il padre le aveva assegnato deducendolo da precisi segni esteriori, ovvero dal muschio affiorante dalla pietra, immagine in cui potrebbe cogliersi un’allusione al colore della speranza che fiorisce sulla durezza dell’esistenza e ne rompe la scorza. Leggi tutto…

NULLA D’IMPORTANTE TRANNE I SOGNI di Rosalia Messina (Arkadia) – recensione

Nulla d'importante tranne i sogni - Rosalia Messina - copertina“Nulla d’importante tranne i sogni” di Rosalia Messina (Arkadia)

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di Emma Di Rao

Nel romanzo “Nulla d’importante tranne i sogni” di Rosalia Messina, edito da Arkadia, non si sarebbe potuto immaginare uno sfondo più consono delle vicende di quello rappresentato dalla Sicilia, una scelta che, a nostro avviso, va ben oltre le memorie personali e biografiche dell’autrice. Isola chiusa in sé stessa ma protesa verso la terraferma, terra di dure asperità ma anche di rapinose dolcezze, luogo d’inquieta oscurità ma anche di luce inebriante, tale contesto geografico sembra correlarsi perfettamente con la fisionomia interiore dei personaggi ognuno dei quali risulta un groviglio di inestricabili contraddizioni incapaci di sciogliersi persino sotto quel tiepido sole d’aprile che si stende sull’incipit del romanzo. Un incipit che ritrae “una zona poco distante da Acireale… in mezzo ai giardini, alla zagara e ai fichi d’India”, rifugio ideale per la protagonista, Rosamaria Mortillaro, celebre scrittrice catanese, che assiste al nascere progressivo della villa in cui, al termine dei lavori di ristrutturazione, potrà, finalmente senza alcuna distrazione, dedicarsi al sogno che da anni coltiva con successo, ovvero alla scrittura. Un sogno che per Rosamaria Mortillaro, chiamata Ro da amici e familiari, ha radici lontane allo stesso modo in cui ha “radici lontane” quella rabbia inestinguibile di cui il personaggio è costante bersaglio da parte della sorella Annapaola, chiamata da tutti Nana. Leggi tutto…

L’OCCHIO MOLTIPLICATORE DEL CINEMA di Danilo Amione (Mimesis) – recensione

“L’occhio moltiplicatore del cinema” di Danilo Amione (Mimesis)

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di Emma Di Rao

Addentrarsi nella scrittura de “L’occhio moltiplicatore del cinema” di Danilo Amione, edito da Mimesis, equivale a scoprire, o riscoprire con stupore, un affascinante universo, qual è l’universo pertinente al cinema che con la realtà intrattiene un rapporto articolato, complesso e non facilmente definibile. Di sicuro, non un rapporto di mera documentazione di essa ma di immaginifica ricreazione attraverso le mutevoli e sempre nuove prospettive con le quali il racconto cinematografico riconsidera il destino individuale e collettivo.
Come si evince dal titolo di questo pregevole volume, il termine ‘moltiplicare’ non implica affatto un’idea di frammentarietà, ma, al contrario, allude all’irrinunciabile funzione svolta dal cinema di accrescere e incrementare il mondo reale nell’ambito di una visione complessivamente organica. Anche la suddivisione del testo in brevi capitoli, lungi dal configurarsi come una sequenza di isolati ‘sguardi’ su singoli artisti, scaturisce da una scelta che lo stesso Amione ascrive all’adozione di un “metodo olistico”, il più consono a quel fenomeno della globalizzazione che connota la nostra epoca. Leggi tutto…

UNA MINIMA INFELICITÀ di Carmen Verde (Neri Pozza)

Una minima infelicità - Carmen Verde - copertina“Una minima infelicità” di Carmen Verde (Neri Pozza)

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di Emma Di Rao

Abituati da tempo al concetto leopardiano di un’infelicità cosmica non possiamo non stupirci che tale infelicità possa invece essere definita ‘minima’, come recita il titolo del romanzo di Carmen Verde “Una minima infelicità”, edito da Neri Pozza. E il titolo svela, in una sorta di critica collaterale, il progetto dell’opera: innanzitutto, l’unicità individuale di ogni essere umano e di ogni esperienza che lo riguardi, come si evince dall’uso dell’articolo indeterminativo che sottrae al termine ‘infelicità’ la valenza generale di categoria dello spirito; in secondo luogo, il pieno accoglimento, nel dispositivo narrativo, di quanto, non possedendo i caratteri della grandezza, subisce di solito una vera e propria deminutio.
La piccolezza del corpo di Annetta, le cui ossa rifiutano di crescere, è infatti il contenitore dell’esperienza e il punto di vista da cui si scruta il reale, ma diviene anche un’occasione privilegiata per rinvenire in quest’ultimo un supplemento di senso. Così, ancora una volta, è un difetto fisico, un difetto di natura, ad acuire leopardianamente, insieme al dolore, la consapevolezza di sé e del mondo circostante. Indicibile risulta la sofferenza derivante da tale condizione: piccolo è colui che è costretto a ricorrere al pensiero per “integrare ciò che di concreto manca al corpo. Una parte di noi è pura astrazione. Siamo spettri per metà”. Senza contare che ciò determina nella protagonista, che è anche voce narrante, un vero e proprio terrore dell’altezza, sia quella di Dio – “Dio è l’altezza suprema. Dio è l’Altissimo. Non è spaventoso?” – sia quella gigantesca del padre quando la solleva per gioco sulle proprie spalle. Leggi tutto…

RAPSODIA D’AUTUNNO di Alessandra Caneva (Ianieri Edizioni) – recensione

https://i1.wp.com/www.ianieriedizioni.com/wp-content/uploads/2022/07/COPERTINA-Rapsodia-dautunno-SITO.jpg?fit=583%2C959&ssl=1“Rapsodia d’autunno” di Alessandra Caneva (Ianieri Edizioni) – recensione

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di Emma Di Rao

Il romanzo di Alessandra Caneva, “Rapsodia d’autunno” (Ianieri Edizioni), ha un titolo che risuona del magico indefinito di quella stagione che nel proiettarsi verso l’inverno conserva ancora le sfumature dell’estate in una suggestiva mescolanza di suoni, profumi e colori. Una mescolanza simile alla dimensione composita dell’animo umano dove il passato si sovrappone al presente in un connubio inestricabile di volti, luoghi, odori, impressioni. Brandelli di vita e frammenti che permeano di sé la dimensione in cui si vive arricchendola di un significato ulteriore.
Lo si evince già dall’incipit in cui viene descritto “un vecchio armadio dietro la cucina, incassato in un antro oscuro di pochi metri quadrati”, scelto dalla nonna della protagonista, il cui nome è Luigia, non solo come rifugio in caso di terremoto ma anche come scrigno per conservare “foto, scritti, corrispondenza e lettere d’amore…”, destinati ai posteri. Ed insieme ad essi, i diari, preziose testimonianze di esistenze di cui l’io narrante, che è anche l’io personaggio del dispositivo narrativo, tenta di cogliere il significato, seppure si tratti di esili trame da ricostruire con l’ausilio di vecchie foto. Diari le cui interruzioni preannunciano tristemente le interruzioni subite da quelle vite che, pur consumandosi “dietro a passioni, dolori, battaglie, speranze”, non sono mai state prive di una “ragione di senso”. Leggi tutto…

ARROCCO SICILIANO di Costanza DiQuattro (Baldini + Castoldi) – recensione

Arrocco siciliano - Costanza DiQuattro - ebook“Arrocco siciliano” di Costanza DiQuattro (Baldini + Castoldi)

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di Emma Di Rao

L’esergo del nuovo romanzo di Costanza Di Quattro, “Arrocco siciliano”, edito da Baldini+Castoldi, è affidato a Jorge Luis Borges, chiamato in causa per fissare i tratti essenziali del gioco, e a Fedor Dostoevskij, che ci mette in guardia sulla presunta casualità di esso; infine, a sorpresa, a Gigi Proietti, chiamato a rammentarci le dolci amarezze del sentimento d’amore. Bastano già queste citazioni in apertura per comprendere che la penna raffinata e schietta della scrittrice racconterà le sfide raccolte dall’uomo per imporsi sul destino che sta in agguato o sul caso che scompiglia le carte o, più semplicemente, su quel labirinto intricato che è il nostro animo.
Il contesto del dispositivo narrativo è, ancora una volta, la terra natale dell’autrice, l’amatissima Sicilia, con i suoi assolati paesaggi immersi nella fissità di un tempo che sembra immobile e con i suoi incantevoli e misteriosi notturni, ma soprattutto con le sue inquietudini e con le sue contraddizioni. Pur radicate in un preciso spazio geografico e temporale, esse rimandano a una più ampia dimensione di carattere universale che vede l’uomo in lotta contro il fato o contro sé stesso, perennemente diviso fra slanci e ripiegamenti, vittorie e rinunce, in un groviglio di contrasti inestricabili. Leggi tutto…

GIOIA MIA di Tea Ranno (Mondadori) – recensione

Gioia mia - Tea Ranno - copertina“Gioia mia” di Tea Ranno (Mondadori)

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In libreria da domani, martedì 7 giugno, “Gioia mia” (Mondadori): il nuovo romanzo di Tea Ranno

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di Emma Di Rao

Pietre perse, così alla fine l’avevano chiamata, quella terra in pizzo alla collina”.
Nel nuovo romanzo di Tea Ranno, “Gioia mia”, edito da Mondadori, ad avviare la narrazione è, ancora una volta, una prospettiva dall’alto, segno di quella verticalità che si traduce in una visione intessuta di cielo e di mare o, più semplicemente, immagine che la scrittrice attinge dai luoghi  amati del suo vissuto.
Devastata dalla furia della pioggia, del vento e del fuoco, quella terra si era meritata la definizione di pietre perse a causa della sua spettrale e desolata aridità che il lettore può cogliere anche nel ricorrere di suoni sibilanti contenuti nei termini che la descrivono. Ad attenuare una raffigurazione così cupa interviene l’atmosfera, improntata al più tenero affetto, che si instaura fra don Nino Sapienza e la nipote, Luisa Russo, cui egli si rivolge con il lusinghiero e soave “gioia mia”, espressione da cui già nelle prime pagine del romanzo si evince la ricca umanità della protagonista. Leggi tutto…

SOLO SE C’È LA LUNA di Silvana Grasso (Marsilio)

solo-se-ce-la-lunaSOLO SE C’È LA LUNA di Silvana Grasso (Marsilio)

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Ogni pagina di questo meraviglioso romanzo possiede l’incanto e la magia che solo “i sentimenti di carta” sanno evocare

di Emma Di Rao

Silenziosa interlocutrice dell’umana infelicità, immagine vaghissima, colma di seduzione e incanto, l’astro lunare è il luogo letterario più propizio al canto e all’elegia, ma in quanto metafora visiva dell’indefinito è anche il luogo che più favorisce l’ampliarsi della visione e il poetico effetto della dissolvenza. Suggestiva appare inoltre la sua duplicità di luce e buio che sul piano espressivo si realizza come una vera e propria coincidentia oppositorum.
Al pari di tale impalpabile e sfuggente ambiguità della presenza lunare, il romanzo di Silvana Grasso, “Solo se c’è la luna” (edito da Marsilio), si presta di sicuro ad una lettura non univoca in virtù delle molteplici valenze allusive sottese alla narrazione. Se si volesse comunque ricondurre ad un fil rouge la sua complessa tessitura, lo si potrebbe individuare nel vagheggiamento costante di una Bellezza che è soprattutto voce interiore e risarcimento di ogni sofferenza del vivere terreno.
A tale Bellezza aspira intimamente il personaggio di Gelsomina, che, esercitandosi a scrivere sulla corteccia degli alberi il proprio nome, impara ben presto a intagliare e scolpire statuine destinate alle tombe, ma anche “visi d’uomo bellissimi, che in natura non esistevano, e non sembravano affatto di questa terra”. Un dono di natura, prezioso e unico, il suo: saper creare volti ideali di cui innamorarsi e con cui lenire un’esistenza amara, riscattando in qualche modo la propria diversità. Una diversità da intendersi come fuga verso l’altrove e diversione dal giudizio ordinario e convenzionale della società, anche quando assuma i tratti di una follia improvvisa e forse salvifica. Leggi tutto…

IL SANGUE DELLA MONTAGNA di Massimo Maugeri (recensione)

“Il sangue della Montagna” di Massimo Maugeri (La nave di Teseo)

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di Emma Di Rao

Non tutto ciò che vive in superficie ha reciso il suo legame col mondo sotterraneo da cui proviene. E allo stesso modo, non tutto ciò che del nostro io appare visibile ha smesso di comunicare con il sommerso magmatico della nostra coscienza. Di conseguenza, si vive in un precario e difficile equilibrio fra elementi contrastanti: corpo e anima, realtà e sogno, ombra e luce, devastazione e bellezza, razionalità e accettazione di forze oscure. Purché tale accettazione non comporti il rassegnato soggiacere ad esse.
Potremmo qui rinvenire una delle possibili chiavi di lettura del recente romanzo di Massimo Maugeri, “Il sangue della montagna”, edito da La nave di Teseo, come suggerisce già nella prima pagina quanto si legge sulla forza ineluttabile di una minaccia che accende di rosso la terra: “Imparerai che contrastarla serve a poco. Ma non ti inginocchierai di fronte a essa. Non le offrirai ricordi e oggetti come agnelli sacrificali”. Un incipit di suggestivo effetto in cui l’eroica resistenza dinanzi alla furia del vulcano richiama alla memoria l’opporsi della ginestra leopardiana al fuoco divoratore, quella stessa ginestra che sulla Montagna “con i suoi fiori gialli infilava un fendente cromatico al nero della lava”. Anche in questo caso, opporsi significa soltanto resistere, significa inchiodare lo sguardo, senza mai abbassarlo, sulla distruzione operata dal fiume incandescente che “squaglia la terra”. Leggi tutto…

IL SILENZIO DEI GIORNI di Rosa Maria Di Natale (recensione)

“Il silenzio dei giorni” di Rosa Maria Di Natale (Ianieri edizioni)

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[Segnaliamo: Rosa Maria Di Natale ospite della rubrica “Incontri con gli autori” di Letteratitudine]

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di Emma Di Rao

È dal “cuore della notte” che prende avvio il tempo narrativo de “Il silenzio dei giorni”, il romanzo d’esordio di Rosa Maria Di Natale (edito da Ianieri). E non poteva essere altrimenti dato che la ricerca della verità muove quasi sempre dalle zone più oscure e necessita di un complesso scavo interiore perché si giunga fino ad essa e la si faccia risalire verso la luce. Purché ci rammenti che è comunque illusoria la pretesa di una verità inconfutabile e che apparenza e verità sfumano impercettibilmente l’una nell’altra.
In una Milano che placa nel sonno la propria inarrestabile frenesia di metropoli, all’interno di una “redazione grigia come i corrimani delle stazioni dei treni”, la voce narrante di Giuseppe Giunta – “una volta Peppino”-, correttore di bozze, rievoca dinanzi “al capocronaca più rispettato” della città un tragico episodio avvenuto molti anni prima nella sua Giramonte, un piccolo paese etneo, e destinato a sconvolgere la vita della propria famiglia. Leggi tutto…

LA FELICITÀ DEGLI ALTRI di Carmen Pellegrino (recensione)

“La felicità degli altri” di Carmen Pellegrino (La nave di Teseo): finalista al Premio Campiello 2021, vincitore del Premio Letterario Internazionale Latisana per il Nord Est – Territorio Coop Alleanza 3.0.

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[ascolta la puntata radiofonica di Letteratitudine dedicata a “La felicità degli altri” (La nave di Teseo): Carmen Pellegrino in conversazione con Massimo Maugeri]

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di Emma Di Rao

Irriguardosa, sprezzante e finanche crudele appare talora la felicità degli altri nei confronti dell’endemica tristezza di alcuni, ingenerosamente esclusi dal consorzio umano. La loro colpa? Una perplessità che fin dalla stagione dell’infanzia rende sospeso il loro sguardo sul mondo. E’quanto adombrano, in una sorta di critica collaterale, il titolo e la copertina de “La felicità degli altri”, il recente romanzo di Carmen Pellegrino, edito da La nave di Teseo. Se poi si volesse individuare la nota dominante che informa di sé l’opera la si potrebbe cogliere nella malinconia. Una malinconia da opporre all’altrui felicità e da intendere come segno di un inquieto baricentro esistenziale. Una malinconia che non ha comunque il sapore negativo e consunto della nostalgia, ma interviene come motore emotivo dell’intelligenza.
La struttura autodiegetica, in cui la voce narrante coincide con l’io personaggio di Cloe, rappresenta la premessa perché quest’ultima costruisca una rappresentazione del proprio mondo come un luogo abitato prevalentemente dal disamore e dall’oscurità. Oscurità che si addensa fittamente intorno alle figure di “un fuggevole padre”, di una madre assente in modo “ingombrante” e di un fratello morto in tenera età. Desiderosa di risemantizzare il proprio vissuto, la protagonista sceglie di ricorrere a una tecnica appresa dall’archeologia, ovvero quella dell’anastilosi, “eseguita per gradi e con soprassalti improvvisi”, il cui esito potrebbe consentire di “rimettere in posto gli elementi originari ritrovati” o di seppellire nuovamente le rovine. Leggi tutto…

VIRITÀ di Giusy Sciacca (recensione)

“Virità, femminile singolare-plurale”di Giusy Sciacca (Kalòs)

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di Emma Di Rao

Se l’isola di Sicilia è “la meravigliosa terra della fecondità e della floridità”, come si legge nell’Introduzione di “Virità” di Giusy Sciacca, edito da Kalòs, anche le parole cui l’autrice ricorre per veicolare tale immagine risultano altrettanto feconde di promesse e floride di traboccante bellezza. E l’isola diviene così la splendida cornice in cui vengono incastonati gli struggenti monologhi ai quali venti personaggi femminili affidano le loro verità. Pronunciate con estremo coraggio e sottratte a una trama più ampia ed oscura, quelle piccolissime schegge di verità, quelle particelle minimali di vita, divengono simili a meteore che attraversano l’orizzonte informe dell’insignificanza, accendendolo di luce.
Ognuna delle figure che affollano le pagine di “Virità” nutre infatti un unico, irrinunciabile desiderio: condensare l’arco temporale della propria esistenza in un momento rivelatore, in un palpito segreto, che la emancipi dai ferrei vincoli imposti dall’apparenza o da un’anonima collettività. Mormorare con un filo di voce o gridare a perdifiato la propria verità è anche riconquista di un modo d’essere autentico e ancora intatto, troppo a lungo sepolto sotto la coltre dell’ignoranza e del pregiudizio. Leggi tutto…

LA TIGRE DI NOTO di Simona Lo Iacono (recensione)

“La tigre di Noto” di Simona Lo Iacono (Neri Pozza)

[Il nuovo romanzo di Simona Lo Iacono, “La tigre di Noto“, sarà disponibile in libreria a partire da domani, 29 aprile. Venerdì 30 aprile 2021, alle h. 19, il libro sarà presentato in anteprima nazionale con la partecipazione dell’autrice presso la Libreria Bonanzinga con diretta sulla pagina Facebook della libreria (locandina in coda all’articolo).

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di Emma Di Rao

“E cosa sarebbe stata, poi, la vita se qualcuno non l’avesse raccontata?”. In queste parole, contenute nel romanzo L’albatro di Simona Lo Iacono, è forse da ricercare il momento generativo dell’ultima fatica letteraria della scrittrice, La tigre di Noto, edita da Neri Pozza. A permearne il dispositivo narrativo è infatti la ricostruzione della vicenda biografica di Marianna Ciccone che, nata a fine Ottocento nella città di Noto, dedicò l’intera esistenza all’insegnamento universitario e alla ricerca scientifica, rivedendo il luogo natio, “stazione di partenza e di ritorno”, solo in tarda età. Pervenuta all’autrice “per ignoti transiti”, tale figura ha poi assunto valenza letteraria in quello spazio, raro e prezioso, in cui personaggio e autore si incontrano e in cui la scrittura sottrae il vivere terreno al buio dell’indifferenza e dell’oblio. Leggi tutto…

QUEL TIPO DI DONNA di Valeria Parrella (recensione)

“Quel tipo di donna” di Valeria Parrella (HarperCollins Italia)

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di Emma Di Rao

L’universo femminile viene ricreato in una singolare “configurazione a quattro”, quattro amiche ‘sorelle’, in “Quel tipo di donna”, il nuovo romanzo di Valeria Parrella, edito da HarperCollins. La negazione risoluta e perentoria contenuta nell’incipit, “No: noi non siamo quel tipo di donne lì, o quel tipo di uomini, dico quelli che stendono una tovaglietta sotto il piatto per mangiare da soli”, si coniuga con la constatazione di una solitudine quasi abituale: “Abbiamo mangiato da sole tante volte, che l’avessimo scelto o no, che ci sia piaciuto o no”. La voce che dà avvio al romanzo appartiene all’io narrante che, peraltro, coincide con l’io personaggio o, meglio, con una delle quattro protagoniste della vicenda al centro del dispositivo narrativo. Ed è lei che tratteggia con sguardo lucido la propria personalità, nonché quella di Carola, Camilla e Dolores, attribuendo le differenze di carattere alle costellazioni sotto il cui segno ciascuna di loro era nata: solari ed allegre, in quanto ‘gemelli’, Carola e Dolores, “donne di spettacolo e cultura”, al contrario, “monolitiche e riottose” le altre due, in quanto ‘capricorno’. Si comprende subito che non si tratta di una diversità che separa, ma che, al contrario, arricchisce e vivifica il rapporto amicale, come si affretta a precisare la voce narrante: “noi abbiamo salvato le gemelli dai casini, loro ci hanno salvato dalla noia”. Se l’io narrante – personaggio, “impiegata in un ufficio della Regione e amante”, dichiara di essere affetta da una singolare malattia, ovvero la mancanza assoluta di autostima, che la rende “sempre seconda di qualcun’altra” e single perennemente libera, sulla sua sorella ‘capricorno’, Camilla, apprendiamo che è ordinata, puntuale nelle consegne ed estremamente organizzata, salvo poi a cercare rifugio nel sesso, nel vino e nel sonno, “che hanno molto a che fare con l’oblio, e quindi con la morte”. Leggi tutto…

DONNAFUGATA di Costanza DiQuattro (recensione)

“Donnafugata” di Costanza DiQuattro (Baldini + Castoldi)

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di Emma Di Rao

Ancora una volta è un ‘luogo dell’anima’ ad accendere l’ispirazione di Costanza Di Quattro, che con “Donnafugata”, edito da Baldini+Castoldi, ha già ottenuto un ampio consenso di critica e di pubblico. Non può negarsi che il momento generativo del secondo romanzo possiede, rispetto a “La mia casa di Montalbano”, un respiro più complesso, ascrivibile verosimilmente a quella solennità che è propria della ricostruzione storica e che permea di sé parte del dispositivo narrativo. Eppure, tale diversità si attenua quando si tenga presente che anche in “Donnafugata”, come nel romanzo d’esordio, gli eventi narrati assumono rilevanza per il fatto che intervengono nella crescita interiore del protagonista. L’irrompere della storia – il periodo risorgimentale e la trasformazione politica che portò all’annessione della Sicilia al regno d’Italia – nell’esistenza di Corrado Arezzo De Spucches, settimo barone di Donnafugata, produce infatti in quest’ultimo una sottile inquietudine ed una lacerante perplessità, che tuttavia non gli impediscono di partecipare in modo ‘illuminato’ e costruttivo ai ruoli politici ed istituzionali affidatigli. Ed è forse in questa discrepanza fra l’essere e il dover essere che risiede la dimensione eroica, e persino tragica, di tale figura, collocata in un’epoca che avverte, in larga parte, estranea e in cui non rinuncia comunque ad operare. Leggi tutto…

TERRAMARINA di Tea Ranno (recensione)

“Terramarina” di Tea Ranno (Mondadori)

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In libreria da mercoledì 13 ottobre il nuovo romanzo di Tea Ranno che riprende le vicende di Agata, la tabacchera, narrate in “L’amurusanza“. Si intitola “Terramarina” e, come il precedente, è pubblicato da Mondadori. La recensione di Letteratitudine

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di Emma Di Rao

Era del tutto prevedibile che una rivoluzione, il cui motto è “cambiare il mondo a colpi di poesia”, avesse un effetto così dirompente da risultare inarrestabile, soprattutto perché l’amurusanza, da cui quella rivoluzione prende le mosse, è virtù che rinnova e si rinnova essa stessa, non solo elargendo a piene mani i suoi doni, ma seminando anche vita e contentezza. E dal momento che semina vita, era anche prevedibile che dovessimo aspettarci nuovi inizi, nuovi germogli: sono quelli che sbocciano, colmi di promesse felicemente mantenute dall’autrice, nel nuovo romanzo di Tea Ranno,  “Terramarina”, edito da Mondadori. Il titolo, che, in quanto tale, svela l’idea progettuale dell’opera, è contenuto anche nei versi posti in epigrafe, “A Terramarina vado abitando / quando non sono sveglia / e neppure dormo”, versi che delineano un luogo dai contorni imprecisi in cui l’animo, sospeso tra il sonno e la veglia, sogna di ritrovarsi.
Ad avviare la narrazione è una prospettiva dall’alto, dal “colmo di una collina” avvolta da una piovigginosa oscurità in cui s’incammina Agata Lipari, mentre osserva, triste e desiderosa di smemorarsi, il paesaggio che si stende dinanzi ai suoi occhi. Ed ecco che l’immagine del paese “adagiato sulla mano di Dio”, simile a un presepe, schiude subito l’atmosfera della vigilia di Natale, quando il gelo invernale non impedisce al cuore di accendersi di un’intima e raccolta gioia. Ma se l’animo è indurito da un dolore indicibile, come quello avvertito da Agata dopo la morte del  marito Costanzo, occorrerà un miracolo perché la felicità torni ad abitarlo. Leggi tutto…

UN RICORDO DI ELENA SALIBRA

imageIl mio ricordo di Elena Salibra

L’incrollabile fiducia nella parola che, composta di “sillabe e aria ancora in armonia”, appare strumento insostituibile per rappresentare l’interazione dell’io con il mondo, nella consapevolezza che la scrittura poetica è il risultato di una ricerca paziente e faticosa.

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di Emma Di Rao

Con il tempo, si sa, i ricordi sono destinati ad assumere contorni che si fanno via via sempre più sfumati ed evanescenti; in alcuni casi, invece, si fissano inspiegabilmente nella nostra mente divenendo quasi indelebili. Ed è proprio così che mi appare il mio ultimo incontro con Elena Salibra (nella foto accanto e in basso – n.d.r.) o, meglio, il primo, dopo circa quarant’anni: una conversazione telefonica alquanto breve, quasi volessimo entrambe, per un tacito accordo, sorvolare sulla nostra conoscenza giovanile, troppo remota per imbastirvi un dialogo che non risultasse faticoso a causa dello spazio temporale che avrebbe dovuto coprire. Fu perciò quasi con sollievo che ascoltai la sua cortese richiesta, promettendo senza esitare la mia collaborazione. Ancora oggi, ripensando a quel fugace contatto con Elena, tento di leggervi un’incrinatura, un inciampo della voce, un qualsiasi segno che tradisse l’angoscia per la drammatica contingenza che da tempo era intervenuta e che di lì a poco sarebbe giunta ad un esito infausto. Ma ogni volta il tono si confermava sereno, fermo, come di chi si è abituato da tempo ad esercitare un controllo su se stesso e su una realtà che, già allora, doveva apparire precaria e prossima a dissolversi. Leggi tutto…

SAURA. LE STANZE DEL CUORE di Tea Ranno (recensione)

“Saura. Le stanze del cuore” di Tea Ranno (Risfoglia)

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Una fiaba contemporanea sul conflitto generazionale

di Emma Di Rao

Non è di certo casuale, nella produzione letteraria di Tea Ranno, il frequente ricorrere dell’immagine di una ‘stanza’, quasi un leitmotiv che assume, di volta in volta, forme diverse: talora può trattarsi di una piazza buia e deserta, talora  di  una stanza del sole, altre volte della stanza di una torre che si accende dei colori del cielo, ma, sempre, essa è luogo dell’anima, un microcosmo vitalisticamente connesso con il mondo esterno da cui provengono voci, bagliori di luce, volti in cerca di interlocutori. Ed è un’immagine il cui significato occorre cercare non solo in quello sguardo dell’autrice che abbiamo già, in altra occasione, definito simpatetico, ma anche in una scrittura che non rimane mai intrappolata nei confini angusti della dimensione soggettiva, preferendo un sistema di rapporti vitali tra l’io e il reale, tra “il Mondo di Dentro’’e ‘‘il Mondo di Fuori”.
Nell’ultima prova letteraria di Tea Ranno, “Saura. Le stanze del cuore” (edito da Risfoglia), il leitmotiv della stanza-luogo dell’anima diviene addirittura il titolo e per di più nella forma plurale, quasi a segnare il potenziamento di una ricchezza interiore che, unita ad una fervida fantasia, permette all’autrice di penetrare ancora una volta nell’universo femminile per svelarne perplessità, misteri e intuizioni. Leggi tutto…

DANTE AL TEMPO DEL CORONAVIRUS

Portrait de Dante.jpgDomani, mercoledì 25 marzo 2020, sarà il Dantedì: giornata dedicata a Dante Alighieri e alla sua Commedia, sempre attuale giacchè… “l’esperienza dantesca risulta esemplare per ogni uomo che vada alla ricerca di se stesso…”

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di Emma Di Rao

Celebrare Dante Alighieri in piena emergenza, qual è purtroppo quella in cui ci troviamo, potrebbe configurarsi come una colpevole rimozione delle nostre drammatiche priorità attuali, ma se all’intento celebrativo, inevitabilmente limitato alla durata dell’occasione ufficiale del Dantedì, sostituiamo il più costruttivo progetto di leggere costantemente il Nostro al fine di acquisirne un’esaustiva conoscenza, riusciremo di certo a fruire di una preziosa occasione per lenire, seppure in parte, l’angoscia e il disorientamento odierni. L’esperienza dantesca risulta infatti esemplare per ogni uomo che vada alla ricerca di se stesso, gravato da una crisi che, pur riguardando la sua individualità, affonda le radici nel più vasto contesto di appartenenza. D’altronde, il ‘viaggio’di Dante non è forse metafora di quell’attraversamento di voragini infernali nelle quali ciascuno di noi può cadere, senza però rinunciare a sperare, anche laicamente, in una successiva purificazione e persino nella salvezza finale? Leggi tutto…

SENTIMI di Tea Ranno (recensione)

Le atmosfere surreali e trasognate di SENTIMI (Frassinelli) di Tea Ranno

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di Emma Di Rao

Oggi, più che mai, perché risulti possibile ‘sentire’ nel suo significato più autentico, appare necessario mettere tra parentesi il mondo con il suo frastuono, adottare una desueta lentezza, porsi in ascolto e attendere. Se poi subentrasse la notte, spettrale e nebbiosa, l’atteso disvelamento assumerebbe i tratti di un’atmosfera surreale quale si respira in “Sentimi” (edito da Frassinelli) di Tea Ranno, autrice il cui sguardo simpatetico su tutte le creature si coniuga con un impeto inesausto di trascrivere la vita.
Già nell’incipit del romanzo risulta evidente che l’io narrante coincide con l’io personaggio che è protagonista della vicenda, una giovane scrittrice la quale, tornata nel suo paese nativo, viene sorpresa, in una piazza deserta e buia per il subentrare della notte, da un tumultuoso intrecciarsi di voci femminili che, simile a una caotica onda polifonica, si acquieta nell’invito ad ascoltare. Leggi tutto…